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Sandro Roggio
Una fiction fondata sul consumo dei paesaggi
1 Settembre 2011
Sardegna
Un grido di dolore dalla Sardegna, dove la crisi di quel turismo e «la condanna a morte del sistema insediativo minore» appaiono come le due facce della stessa medaglia. La Nuova Sardegna, 31 agosto 2011

La crisi del turismo e la condanna a morte del sistema insediativo minore – dallo spopolamento più che dalla manovra del governo – sono questioni che stanno insieme. E andrebbero trattate insieme, con decisione: il momento non consente il punto interrogativo nel titolo – quale futuro? – dello stesso dibattito da quarant'anni. Non mancano le visioni coraggiose sul turismo, ma in genere l'approccio è titubante e rituale. Nessuno sa più di tanto sul fenomeno – molto aleatorio – e d'altra parte la confusione rende più facile il grande o piccolo affare mentre il frullatore omogeneizza tutto nel mercato delle vacanze: gelatai e palazzinari, albergatori e faccendieri.

Dovremmo ammettere che non ce l'hanno detta giusta. Perché c'è qualcosa che va oltre le difficoltà globali. Il turismo avrebbe segnato la svolta, e invece eccoci qua. Ci hanno detto che avrebbe prodotto benessere e bellezza e invece solo qualcuno si è arricchito e la bruttezza è diffusa e socializzata; che ci avrebbe collegati facilmente con il mondo e invece abbiamo meno navi; che le filiere si sarebbero evolute e invece è il tripudio di congelato dell'Atlantico in ogni mensa. Abbiamo immaginato la stagione lunga e invece si sono allargate le schiere di case vuote a prezzi inarrivabili per le giovani coppie.

L'occupazione nel turismo è di 40/50 giorni: per fare un anno di lavoro ci vogliono dieci estati. Meglio di nulla, dicono nei centri delle ferie dorate, dove la Caritas è più attiva che altrove. Il Pil relativo al turismo è poca roba e dovremmo leggerlo in confronto ai costi elevati della metropoli turistica sparpagliata, energivora e dissipatrice, a regime per un un mese e mezzo. Poi c'è il capitolo del quanto sfugge al fisco.

Meno arrivi, meno presenze, meno tutto, e i dati peggiori sono ovviamente nei luoghi più marginali e inaccessibili senza mezzi propri. Le ragioni della crisi sono confuse, ma qualcosa si capisce nell' incerto complesso di cose, come nella canzone di Paolo Conte. La Sardegna ha prezzi inammissibili, come se la rendita del metroquadro costituisse ormai il modello: come spiegare altrimenti un chilo di ravioli a 28 euro? E se fosse che l'isola ha perso fascino perché la “troppa Sardegna” – secondo Giuliano Amato – è una sceneggiata mediocre, invadente, debordata oltre le marine dei vip? E se fosse che le risposte deprimono i mercati – come si dice oggi ? (se le istituzioni locali chiamano Briatore a consulto vuol dire che siamo molto vicini ai riti propiziatori per l'estate che verrà).

Racconti ingannevoli da decenni. Come se avessero messo in giro bond-spazzatura, appendendo il futuro di più generazioni a una fiction fondata sul consumo dei paesaggi. E' vero: ci sono eccellenti operatori turistici, ma sono pochi e ai bordi del ciclo edilizio.

Le comunità piccole sono il pesante lato b. L'altra Sardegna: quei comuni passati per numerose avversità e sfide epocali (la formula “vidazzone/paberile” per l'uso della terra ha tenuto uniti pastori e contadini). La proposta di privarli di assemblee civiche è insensata – e infatti accantonata – , ma è servita a evidenziare il deserto che avanza oltre la scorza costiera. Ci riguarda tutti e dovunque stiamo dovremmo preoccuparci di territori senza presìdi. Di paesi privati del futuro solo perché la bassa densità abitativa non merita riguardi e servizi. Lo spopolamento, si sa, procura disservizi. Se non ci sono i numeri non vale metterci un bancomat ad Abinei, il paese-metafora di Giorgio Todde, fermo a 808 abitanti; figurarsi un maestro, un medico, un carabiniere. E più si toglie e più si fiacca l'orgoglio di stare lì, la voglia di provare a resistere senza la prospettiva di un lavoro, difficile da realizzare senza sostegno. L' umiliazione inflitta ai pastori è inaccettabile ed è un grave errore che non si vada in soccorso di quel disagio, anche con generose rinunce. E qualcuno prima o poi chiederà conto dei fondi europei pensati per aiutare le comunità più deboli e spesi per opere inutili in aree più fortunate. O la Sardegna si farà carico con ogni mezzo di salvare ogni parte dell'isola – dove sia bello vivere – o non c'è futuro. E i turisti, appunto, preferiscono i luoghi autentici e abitati con piacere.

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