Fatto Quotidiano, 24 giugno 2013, con articoli di Ferruccio Sansa, Roberto Morini e Thomas Mackinson, dedicato ai danni gravissimi provocati a una delle più straordinarie isole del Mediterraneo. Ma le responsabilità non sono solo degli immobiliaristi che crescono all'ombra dei cappellacci, né solo dei Mazzarò locali, anche dei ministeri romani: in particolare del MIBAC. Come spieghiamo sinteticamente in una postilla
Sardegna oggi
di Thomas Mackinson e Ferruccio Sansa
Salvare la Sardegna. Ora o mai più. Sull’isola di Smeraldo stanno per riversarsi 50 milioni di metri cubi di cemento. Una colata senza precedenti, concentrata su coste tra le più belle e delicate del mondo. Luoghi che rendono unica la Sardegna e, proprio perché intatti, garantiscono la maggiore ricchezza economica di un’isola in gravissima crisi.
C’è la minaccia del cemento targato Qatar, uno schiaffo irrimediabile al paesaggio, ma anche all’orgoglio della gente sarda che vedrebbe la propria terra colonizzata con i soldi del petrolio. E ci sono imprenditori nostrani, come i Benetton, che alle origini della loro fortuna - prima di diventare i padroni delle Autostrade - amavano darsi un’immagine politically correct. Poi tanti grandi della finanza italiana, come il Monte dei Paschi o i Marcegaglia, che hanno chiesto di poter costruire o gestire alberghi. Insomma, nomi che contano nei salotti della politica e del potere nazionale, di fronte ai quali la gente di Sardegna pare disarmata.
Il grimaldello per aprire la porta è quello della crisi, come ricorda Stefano Deliperi, che con il Gruppo di Intervento Giuridico è una delle voci più appassionate e agguerrite nella difesa della terra di Sardegna: “Il 30% dei residenti in Sardegna in età lavorativa - dai 15 anni in poi – sono disoccupati o sottoccupati, mentre il 62,7% è privo di qualifica professionale. In tre anni (2008-2011) l’edilizia in Sardegna ha perso il 40,86% degli addetti, passando da 44.032 a 26.176 (dati Fillea Cgil)”.
La risposta della politica e della giunta di centrodestra guidata da Ugo Cappellacci sembra essere solo una: costruire. Non importa che l’attuale maggioranza tra pochi mesi scada e che decisioni tanto importanti non debbano essere prese da chi, forse, presto tornerà a casa. Non importa, soprattutto, che altre strade siano percorribili, “con vantaggi per l’ambiente e per l’economia”, come ricorda Deliperi. Una, per dire: la giunta di Renato Soru aveva previsto investimenti per mezzo miliardo per recuperare paesi e borghi dell’entroterra. Un modo per dare lavoro al settore edile, per portare il turismo oltre le coste, ma anche per risparmiare il paesaggio. Salvando i centri dell’interno - la vera anima della civiltà e della cultura sarde - altrimenti destinati all’abbandono. Eccole, allora, le principali minacce che incombono sulla Sardegna. Pericolose, soprattutto perché fatte con il benestare dell’amministrazione. A norma di legge.
Costa Smeralda, la grande preda è sempre lei il sogno degli immobiliaristi di mezzo mondo. Quella manciata di chilometri di granito affacciati sul blu. Ma stavolta l’incubo potrebbe diventare realtà: nel 2012 l’intera Costa Smeralda è stata acquistata (per 600 milioni) dalla Qatar Holding, il braccio finanziario della famiglia Al Thani, casa regnante del Qatar. “Con la benedizione di Cappellacci e degli amministratori di Olbia e Arzachena, è stato presentato un piano di massima per investimenti immobiliari da un miliardo”, racconta Deliperi. Un progetto che prevede tra l’altro: 500 mila nuovi metri cubi, il restyling della famosa piazzetta di Porto Cervo e dei quattro hotel “storici”, un “parco acquatico” a Liscia Ruja, un kartodromo, decine di ville extra-lusso, trasformazione di 27 caratteristici “stazzi” galluresi in ville esclusive. E subito sono partiti gli esposti delle associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e Amici della Terra e i provvedimenti del Servizio valutazione impatti della Regione autonoma della Sardegna. Sostiene Deliperi: “A nostro avviso il progetto viola il piano paesaggistico regionale e le altre normative di salvaguardia ambientale. Non ci risulta che siano stati svolti i necessari procedimenti sulle valutazioni di impatto sull’ambiente”. Risultato : la “Costa Smeralda 2” targata Qatar finora è stata bloccata dagli uffici tecnici della Regione.
Dune di Badesi. Costruire perfino in riva al mare. Addirittura sulle dune. “A Badesi”, racconta Deliperi, “a poche decine di metri dalla battigia, stanno fiorendo ville sulle dune. E nell’immediato entroterra appartamenti”. Servizio completo. Ancora Deliperi: “Mancherebbero le necessarie procedure di impatto sull’ambiente (come certificato del Servizio valutazione impatti della Regione autonoma della Sardegna) e il piano di lottizzazione degli anni 70 del secolo scorso è ormai ampiamente scaduto”.
Il contrattacco degli ambientalisti è a colpi di carte bollate, interrogazioni al Parlamento europeo (del deputato ecologista Andrea Zanoni), al Senato e alla Camera (Cinque Stelle) e in Regione (l’indipendentista Claudia Zuncheddu). La Commissione europea e il Ministero dell’Ambiente hanno chiesto chiarimenti.
Piscinas – Ingurtosu. Siamo sulla costa occidentale, in una distesa di verde a perdita d’occhio. Poi profumo di mirto e davanti solo mare. Ma il paesaggio cambierà se arriveranno 40-50 mila metri cubi di ville, residence, centro benessere, campo da golf. Nelle aree minerarie di Ingurtosu e Piscinas, a ridosso delle splendide dune costiere di Piscinas – Scivu. E le norme per la tutela del paesaggio? “Non sono state rispettate”, scrivono ambientalisti e comitati nei loro esposti. Ancora una volta la sorte del paesaggio sardo è nelle mani dei giudici.
Tuvixeddu. La più importante area archeologica sepolcrale punico-romana del Mediterraneo (oltre 2.500 tombe dal VI sec. avanti Cristo fino all’Alto Medioevo). Dentro Cagliari. All’estero ne farebbero un’attrazione capace di richiamare centinaia di migliaia di turisti (e tanto denaro). In Italia invece neanche sappiamo che c’è. C’è voluto il giornale inglese Times per tirare fuori la storia. Se digiti “Tuvixeddu” su internet ti compare il sito della società costruttrice: “Abitare non è mai stato così piacevole”, con tanto di immagini della futura colata. L’accordo del 2000 prevedeva 400 mila metri cubi affacciati sulla necropoli. Un progetto caro alla potentissima famiglia Cualbu, sostenitrice di Cappellacci, ma con amici nel centrosinistra. Marcello Sanna, che abita a pochi metri la descrive così: “Qui non è solo una questione di ambiente e storia. Ma di rispetto dei morti”. Ma dopo anni di dispute legali le ruspe affilano di nuovo i denti.
Capo Malfatano. Una lingua di terra e di vegetazione bassa, piegata dal vento. Una manciata di case di pietra, i furriadroxus, testimonianza di una comunità unica: anziani pastori, tutti uomini, che hanno speso qui ogni giorno della loro vita. Ecco cos’è Capo Malfatano, nell’estremo sud della Sardegna. Per rendervene conto potete vedere su internet il bellissimo documentario “Furriadroxus” di Michele Mossa e Michele Trentini. Un luogo perso in fondo alla Sardegna, ma gli appetiti delle grandi imprese sono arrivati fin qui: il progetto prevede 140mila metri cubi di cemento, come dieci grandi palazzi, sui 700 ettari incontaminati del promontorio. Un’operazione voluta da colossi nazionali del settore: società della famiglia Toti, dei Benetton, del Monte dei Paschi. Per capire cosa ne verrebbe fuori basta vedere il sito www.silvanototi.com . Anche la Mita che fa capo ai Marcegaglia era pronta a gestire gli alberghi. Ma il progetto per adesso è fermo dopo la sentenza del Tar. La parola al Consiglio di Stato. Una buona notizia per i vecchi abitanti dei Furriadroxus che temevano di dover lasciare le loro case dopo una vita. Per far posto ad alberghi e centri benessere.
Stintino, spiaggia Pelosa sarà ben poco virtuosa
di Roberto Morini
La Turisarda potrà costruire altri 40mila metri cubi di cemento davanti alla spiaggia più bella del nord Sardegna, la Pelosa di Stintino, in una delle zone più belle del Mediterraneo, capo Falcone, in faccia alla splendida isola-parco dell’Asinara. Aumenterà così del 20 per cento la volumetria di quello che è giustamente considerato uno degli ecomostri sardi più noti, l’hotel Roccaruja.
Il lungo serpentone alto quattro piani costruito dai Moratti negli anni Sessanta, quando in mezzo a quelle dune non si era ancora visto nemmeno un mattone, passato poi sotto il controllo dell’Eni attraverso Snam, quando i petrolieri di stato facevano ancora gli imprenditori turistici, è finito nel 2000 in mano a una società sarda, la Turisarda, appunto. Di volontà di eliminazione dell’ecomostro riferirono tutti i giornalisti presenti alla conferenza stampa durante la quale il sindaco di Stintino Antonio Diana aveva presentato nel giugno 2010 quello che aveva battezzato “Puc salva coste”. Diana, il politico che nell’ultimo decennio ha partecipato più di tutti gli altri alle decisioni relative al cemento sulle coste di Stintino, prima come assessore all’Urbanistica poi, dal 2007, come sindaco, rieletto l’anno scorso per il secondo mandato, in quella conferenza stampa aveva parlato di svolta ambientalista. Aveva annunciato che l’albergo sarebbe stato demolito e ricostruito più lontano dalla spiaggia, che la Pelosa sarebbe rinata anche attraverso la cancellazione della strada che ora separa la spiaggia dall’albergo e dalla lunga e ininterrotta teoria di ville costruite in quarant’anni a Capo Falcone.
Una spiaggia ormai dimezzata nella sua superficie, trasformata in duro campo di sabbia umida e battuta dalle centinaia di migliaia di turisti che la calpestano ogni estate in ogni suo centimetro, rendendola impraticabile per chi non sia disposto a conquistarsi un posto al sole alle 7 del mattino. “L’hotel Roccaruja – aveva detto in quella occasione Antonio Diana – dovrà essere sottoposto a un radicale adeguamento con un progetto meno impattante”. Eppure a Stintino la distanza tra parole e fatti era stata osservata più volte. Come quando, negli anni Novanta, il Comune di Stintino aveva sfregiato uno dei panorami più belli del mondo con l’installazione di un filare di lampioni che spezzava, e continua a spezzare, una vista fino ad allora mozzafiato. Ora dietro le parole ambientaliste viene lanciato un aumento di cubature di cui nessuno si era accorto.
Il vero contenuto del Puc del Comune di Stintino viene alla luce solo ora perché a puntare la lente d’ingrandimento sui numeri del piano urbanistico ci ha pensato un geometra sassarese, Alfonso Chessa, con un esposto alle procure della Repubblica di Cagliari e Sassari e al Tribunale di Brescia. Chessa si riteneva vittima indiretta del grande crac Bagaglino-Italcase, un fallimento da 600 milioni di euro che in primo grado aveva visto la condanna di alcuni dei nomi più grossi della finanza nazionale, da Cesare Geronzi a Roberto Colaninno a Stena Marcegaglia, poi assolti in appello da una sentenza che confermava solo le condanne di Mario Bertelli, titolare del gruppo turistico bresciano travolto dal fallimento, e di alcuni imprenditori locali. Secondo il geometra sassarese, infatti, il Comune di Stintino aveva trasferito nel 2006 le cubature precedentemente attribuite al Country Village, il villaggio turistico di Bertelli, ad altre aree, tra le quali quella dell’hotel Roccaruja. Proprio nella causa relativa al fallimento Bagaglino-Italcase, Chessa era poi diventato perito del Tribunale di Brescia, che si era trovato svalutati, perché non più edificabili, i terreni che avrebbe dovuto vendere per tentare di pagare i numerosi creditori. E aveva già denunciato, con una serie di esposti, quell’operazione da lui ritenuta illegittima.
Ora, dopo il Puc, il nuovo esposto presentato da Chessa fa emergere la conferma di quella scelta, fatta nel 2006 quando l’attuale sindaco era ancora assessore all’Urbanistica nella giunta guidata da Lorenzo Diana. Nel Puc l’ipotesi di demolizione e ricostruzione dell’ecomostro esiste, ma sembra poco allettante per i proprietari dell’albergo: la premialità aggiuntiva in caso di demolizione e ricostruzione è infatti di soli 6mila metri cubi. Mentre i 40mila metri cubi, che si aggiungono agli attuali 200mila, sono immediatamente utilizzabili, senza nessuna demolizione, senza nessuno spostamento lontano dal mare.
A sua difesa il Comune sostiene di aver addirittura ridotto la volumetria che l’attuale proprietario del Roccaruja avrebbe a sua disposizione, dai 50mila metri cubi concessi nel 2006 ai 40mila del Puc. Ma Chessa afferma, norme e carte alla mano, che il diritto di costruire, in base alla lottizzazione avvenuta negli anni Sessanta, era scaduto nel 1978 ed era stato rinnovato solo fino al 1992. Da allora i proprietari avevano perso la possibilità di realizzare nuove costruzioni.
Lo scontro legale arriva a raffinatezze normative e verifiche sul campo come quella relativa all’esistenza o meno delle opere di urbanizzazione: strade, fogne, acquedotto. Secondo il Comune erano già quasi terminate e quindi il nuovo cemento sarebbe un diritto acquisito anche se l’area è a meno di trecento metri dal mare. Secondo Chessa quelle opere non ci sono, non ce n’è traccia. E all’occhio del profano sembra abbia ragione lui. Secondo il Comune invece ci sono. Ma in un atto della Regione, servizio Tutela del paesaggio, che nel 2006 autorizzava le nuove costruzioni approvate dal Comune negandone l’impatto ambientale, si affermava: “Resta fermo che tutte le opere di urbanizzazione (…) dovranno essere specificamente autorizzate”. Pare dunque che dovessero essere ancora realizzate.
C’è un altro fatto che solleva dubbi sull’operazione. Nel 2003, tre anni prima delle delibere con cui il Comune autorizza per la prima volta l’aumento di cubatura per il Roccaruja, Turisarda srl vendeva a Forrazzu srl un terreno di 16mila metri quadri di fronte alla Pelosa. Secondo alcuni a prezzi stracciati. I protagonisti hanno sempre difeso la correttezza dell’operazione. Un altro passaggio di proprietà tra le due società è registrato alla fine del 2006, pochi mesi dopo le due delibere favorevoli a Turisarda. In quel periodo Antonio Diana è assessore all’Urbanistica e contemporaneamente amministratore unico della Forrazzu srl. Si dimette da quell’incarico societario nel giugno 2007, quando viene eletto sindaco di Stintino. E resta socio al 25 per cento. Chiara e immutata una domanda di fondo: chi difenderà quel che resta di questo meraviglioso angolo di Sardegna che rischia di diventare una striscia di cemento senza soluzioni di continuità?
“Basta consumare terra, rischiamo catastrofi”
intervista al ministro dell'Ambiente, di Ferruccio Sansa
Il territorio non regge più. Ce ne siamo accorti tutti. In pochi anni per colpa di frane e alluvioni abbiamo rischiato che si ripetesse un Vajont. Basta. Serve una legge che difenda senza tentennamenti il nostro territorio. Per questo abbiamo presentato il disegno di legge per contenere drasticamente il consumo del territorio”.
Andrea Orlando (Pd), è ministro dell’Ambiente da pochi mesi. Al suo arrivo c’era stato chi aveva puntato il dito sulla sua mancanza di esperienza specifica. Proprio al dicastero che deve affrontare nodi come l’Ilva. Ma ecco che Orlando si appresta a presentare un disegno di legge sul consumo del territorio più severo di quello (molto criticato) lanciato da Ermete Realacci. Una disciplina che raccoglie consensi anche tra gli ambientalisti.
Ministro, che cosa prevede il vostro testo? Vogliamo ridurre drasticamente il consumo del territorio.
Come, concretamente? Tanto per cominciare prima di consumare suolo il pianificatore dovrà dimostrare il recupero e il riuso dell’esistente. Secondo, sarà fissato - regione per regione - un limite all'estensione massima di terreni agricoli consumabili. Ancora, si prevede l'istituzione di un Comitato interministeriale che controlli e monitori il consumo.
Le associazioni ambientaliste, come il Wwf, chiedono che ogni comune predisponga un “bilancio” del consumo del proprio suolo... Sono previsti censimenti comunali delle aree già interessate all’edificazione, ma non utilizzate e dove è possibile fare rigenerazione e recupero dei terreni. Sarà anche vietato per cinque anni trasformare i terreni agricoli che hanno usufruito di aiuti di Stato o Comunitari.
Basteranno cinque anni? La proposta di Realacci, che pure viene dal mondo dell’ambientalismo, è stata bersaglio di critiche perché non abbandonerebbe la logica delle compensazioni. Nel nostro decreto c’è un punto chiave: i comuni potranno utilizzare i proventi di concessioni e autorizzazioni edilizie solo per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, per il risanamento dei centri storici e la messa in sicurezza del rischio sismico e idrogeologico. É un passo avanti epocale. Finora i comuni erano istigati a cedere il suolo, a far costruire perché gli oneri potevano essere utilizzati per far quadrare i bilanci. Ora basta.
Non si potrebbe osare ancora di più e premiare chi non costruisce? Le premesse ci sono. Viene incentivato il recupero del patrimonio edilizio rurale evitando la costruzione di nuovi edifici con finanziamenti in materia edilizia. Ed è istituito il Registro dei Comuni che non prevedono un incremento di aree edificabili. Con le leggi di stabilità si potranno prevedere premi ai comuni virtuosi.
Ministro, dobbiamo crederle? Possibile che d’un tratto ci si ricordi dell’ambiente? La questione non era più rinviabile. Abbiamo rischiato tragedie, il nostro territorio non regge più.
È pensabile che la lobby del mattone che ha tanti appoggi nel centrodestra, e anche nel suo Pd, pieghi il capo? Non nego che le lobbies del cemento abbiano ancora peso politico e che magari ci sia chi vorrebbe reagire alla crisi con la solita soluzione: il mattone.
Appunto, non finirà con le solite belle intenzioni e il nulla di fatto? É un momento ideale per voltare pagina: in Italia ci sono milioni di case nuove invendute. Non si può costruire ancora. Non solo: oggi non costruire, risparmiare il suolo può portare più denaro e lavoro. Pensi che l’85% del nostro patrimonio di 2 miliardi di metri quadrati di abitazioni richiede una riqualificazione. É un’occasione straordinaria per imprese e lavoratori. Ancora: la principale industria del nostro Paese è il turismo, che si tutela proteggendo il territorio. Infine: riducendo il consumo del territorio diamo un forte impulso all’agricoltura, un settore in espansione.
Insomma, meno cemento più sviluppo? Sì.
Perdoni la diffidenza, ma voi siete alleati con il centrodestra dei condoni... Il condono non ci sarà mai. E sul consumo del suolo non ho avuto ostacoli. Chissà, forse le mire delle grandi imprese si sono concentrate sulle infrastrutture.
O forse sono tutti convinti che non arriverete in fondo e resteranno belle parole? Può darsi che qualcuno creda che il cammino sia troppo lungo. Che speri in emendamenti. Ma io credo che non sarà così, e i punti essenziali del nostro disegno di legge potremmo proporli con un decreto perché diventino subito legge. Ora o mai più. Difendere il territorio oggi significa uscire dalla crisi. Ed evitare tragedie. Gli italiani lo sanno e ci sosterranno.
SUOLO CONTRO TUTTI
di Thomas Mackinson
Non c’è più tempo, non c’è più lo spazio. Ogni quattro secondi - il tempo di terminare questa frase - 32 metri quadri di suolo vengono coperti dal cemento che viaggia ormai alla velocità media di quasi 90 ettari al giorno. Ogni cinque mesi divora una superficie grande come la città di Napoli, in cinquant’anni ha ricoperto un’area come il Trentino e il Friuli messi insieme e di questo passo, tempo vent’anni, avremo cementificato pure la Basilicata.
Dati e previsioni della pubblicazione più completa mai realizzata in Italia sul consumo di suolo e sulla rigenerazione del territorio che il WWF ha presentato insieme alla sua proposta di legge per “fermare la rapina del territorio” proprio mentre in Parlamento partiva una delicata discussione sullo stop al cemento. L’indagine è condotta dall’Università dell’Aquila e si basa sul confronto tra estratti originali delle cartografie storiche del secondo Dopoguerra e le carte regionali digitali d’uso del suolo. Monitora 13 regioni, il 58% del territorio nazionale, quindi è significativa dell’andamento generale dell’urbanizzazione: “Il tasso medio - spiega Bernardino Romano, professore di Pianificazione territoriale e curatore della ricerca - è passato dall’1,9% degli anni 50 al 7,5. La media pro capite è triplicata ai quasi 380 m2/ab. Il che porta a stimare oggi l’ammontare delle aree urbanizzate sui 2,5 milioni di ettari”.
Il paradosso è che altro cemento proprio non serve. Secondo Adriano Paolella, direttore generale di WWF Italia ci sono 210mila capannoni inutilizzati, 6.700 chilometri di ferrovie dismesse, 5 milioni di abitazioni vuote. A fronte di questa situazione è ormai maturata nel Paese una domanda sociale, diffusa e organizzata, che aspira ad una riqualificazione degli insediamenti urbani e del territorio. Il WWF l’ha colta con la campagna “Riutilizziamo l’Italia” che in cinque mesi ha prodotto 575 schede di segnalazione di ambiti di patrimonio inutilizzato e altrettante proposte di riuso. Il censimento può essere “il primo contributo per avviare un grande processo di recupero del territorio italiano dopo quello dei centri storici nel Dopoguerra”. Sempre che arrivino le risposte politico-normative che si cercano in Parlamento.
Perché se lo spirito del tempo è cambiato, questa sensibilità nuova chiama in causa la politica. In Parlamento, nel giro di poche settimane, si sono materializzate 11 proposte di legge sul consumo di suolo accompagnate da furibonde polemiche. Le iniziative corrono su un binario parallelo. Sul fronte parlamentare si è aperto un caso intorno alla proposta “Norme per il contenimento dell’uso di suolo e la rigenerazione urbana”, primo firmatario Ermete Realacci (PD), che ammette la possibilità di consumare nuovo suolo previo pagamento di un “contributo per la tutela del suolo e la rigenerazione urbana” (art. 2), l’attribuzione di quote di edificabilità e di diritti edificatori per compensare i proprietari di immobili ceduti al comune o per incentivare le trasformazioni, i recuperi e le demolizioni (art. 6). Tanti, compresa Italia Nostra , hanno preso le distanze; altri gruppi parlamentari si sono precipitati a depositare proposte alternative. Quelle di Pd, M5S e Scelta Civica hanno in comune l’eliminazione dei proventi delle concessioni edilizie per il finanziamento della spesa corrente dei comuni. Sel ha fatto propria al Senato quella elaborata dal WWF che chiede l’istituzione di un registro del consumo di suolo presso l’Istat e spinge sul recupero, indicando strumenti di fiscalità urbanistica che penalizzano chi spreca suolo e premiano chi riusa. Poco o nulla si sa, invece, di quella del Pdl. Intanto a muoversi è stato il governo che lo scorso 15 giugno ha approvato una versione rivisitata del Ddl dell’ex ministro Mario Catania, presentato alla fine della scorsa legislatura. Il testo mantiene il focus sulla tutela dei terreni agricoli ma fa riferimento anche al paesaggio. Salutato da tanti come un interessante passo avanti su cui avviare la discussione, definisce il suolo “bene comune” e “risorsa non rinnovabile” (art. 1) e ascrive a riuso e rigenerazione il primato in materia di governo del territorio (art. 2). Due principi che vanno al cuore del problema. Sempre che le contrapposizioni tra paladini del verde (sinceri e non) non blocchino tutto, lasciando ancora e sempre il suolo contro tutti.
Non lasciamo sola la Sardegna
di Ferruccio Sansa
Non lasseus assola sa Sardigna. Si deppeus ponni de bona voluntadi e aggiudai sa genti sarda. Cust'Isola non deppit accabbai pappada de su ciumentu.
Non lasciamo sola la Sardegna. Prendiamo questo impegno. Non abbandoniamo quest’isola che rischia di finire in pasto al cemento: 50 milioni di metri cubi di nuove costruzioni sulla costa significano la fine. Non porteranno turismo, ma un’umiliante colonizzazione compiuta con i soldi del Qatar o della nostra finanza.
Ce ne dimentichiamo facilmente, basta scendere dal traghetto che ci riporta a casa alla fine delle ferie. Ma alla Sardegna dobbiamo molto. Non solo vacanze felici. Il blu della sua acqua per tanti di noi è la misura di ogni mare. Il profumo che ci accoglie all’arrivo appena si apre il portellone della nave resta dentro per mesi, anni. Ricorda che c’è un altrove dove tornare e rifugiarsi. Anche solo nei pensieri.
Questa è la Sardegna che appartiene alla sua gente, ma cui tutti siamo legati. Una terra grande, con una sua cultura. Una lingua (noi abbiamo azzardato un passaggio nella variante campidanese).
Arriva l’estate, la stagione del riposo, della leggerezza. Del distacco da pensieri e fatiche. Forse ormai crediamo che questo bisogno dentro di noi, proprio nel corpo, sia suggerito dal calendario del lavoro, delle fabbriche (dove ci sono ancora). No, non è così. Le stagioni dell’uomo sono dettate da quelle della natura. Ce ne accorgiamo soprattutto in estate: questo risveglio che sentiamo nei muscoli (ahimè, quando ci sono) è lo stesso che vediamo negli alberi, nell’aria, negli animali. L’estate riavvicina al mondo, ricorda che ne siamo parte. Allora le vacanze - giuste, sacrosante, spesso dimenticate per colpa della crisi - potrebbero farci riallacciare un legame essenziale. Con il mondo, ma anche proprio con la terra... avete presente quelle zolle rosse, luccicanti che emergono quando l’aratro è appena passato nei campi... ecco quella. Un’appartenenza che a volte temiamo possa svilire il nostro essere uomini e che, invece, può essere fonte di consolazione e compagnia. Come diceva Vladimir Nabokov: “Mi sentii tuffato di colpo in una sostanza fluida e lucente che altro non era se non il puro elemento del tempo. Lo si condivideva con creature - proprio come bagnanti eccitati condividono la scintillante acqua del mare - che non erano te, ma a te erano unite dal comune scorrere del tempo”. Non sembrano parole scritte nel mare della Sardegna?
Il ministro Andrea Orlando, intervistato da noi ha preso impegni di rilievo. Ha ricordato l’importanza della terra che ci dà la vita e, se maltrattata, ce la toglie. Prendiamo anche noi un impegno, in italiano o in sardo: non abbandoniamo la Sardegna e la terra dove viviamo. Ricordiamocene mentre ci tuffiamo. Buona estate.
Postilla
E' giusto sollevare l'allarme sugli scempi che stanno avvenendo in Sardegna, Da tempo: da quando, grazie anche ai cedimenti dei suoi alleati, Renato Soru è stato battuto dall'uomo di Berlusconi, Cappellacci. Da quando, nell'indifferenza dei troppo deboli supporters di Soru, Cappellacci e i suoi hanno cominciato a tentar di demolire l'argine eretto in difesa delle coste della Sardegna e dei suoi paesaggi: il Piano paesaggistico regionale, approvato nel settembre 2006 e da allora vigente. Non riuscendo a demolirlo per via giudiziaria hanno tentato via via di svuotarlo con leggi derogatorie incostituzionali (le quali però, fino alla dichiarazione d'incostituzionalità, venivano applicate dagli immobiliaristi e dalle autorità locali loro succubi), e con lo smantellamento dell'ufficio regionale costruito per redigere vil piano e gestirne l'attuazione. Ma gli argini del PPR hanno retto: allora i berlusconiani e i loro nuovi alleati hanno avviato un processo di "revisione e adeguamento" del piano, dichiaratamente orientato a indebolire, moderare, alleggerire i maledetti "vincoili" volti alla tutela del paesaggio della Sardegna, Spiace doverlo affermare, ma in questa vicenda lo stesso Ministero per i beni e le attività culturali, che dovrebbe "copianificare" con la Regione per garantire il rispetto dell'articolo 9 della Costituzione, si appresta a coprire gli interessi economici dello sfruttamento del paesaggio sardo a vantaggio non solo degli emiri dei regni lontani, ma anche dei numerosi locali avvoltoi, grandi e piccini, che stanno arrotando becchi ed artigli. E' quindi soprattutto al titolare del MIBAC, più che a quello dell'Ambiente, che i valorosi giornalisti del Fatto quotidiano avrebbero dovuto, e dovrebbero, rivolgersi