Il ministero contro se stesso. Lo Stato che rinuncia a difendersi. E che abbandona al loro destino i vincoli che aveva emesso per meglio tutelare un patrimonio naturale, ma anche storico e archeologico come il promontorio del Conero, nelle Marche, rischiando pure di dover pagare un sacco di soldi. È il paradossale esito di una vicenda che si trascina da un paio di anni e che, salvo sussulti dell’ultim’ora, dovrebbe concludersi oggi, quando scade il termine entro il quale l’Avvocatura dello Stato potrà costituirsi in giudizio presso il Consiglio di Stato contro alcuni Comuni e un gruppo di costruttori, un’associazione industriale e diversi ordini professionali i quali vorrebbero annullare il vincolo posto dalla Soprintendenza marchigiana. Vincolo che arrivò dopo un prezioso lavoro di salvaguardia: comprendeva un’estensione molto vasta, e questa venne considerata un’anomalia, ma non lo era, perché rispettava una consuetudine antica quanto il ministero e risalente a Giovanni Spadolini, il quale prese un provvedimento che copriva quasi per intero il lago di Bolsena. Il termine sta per scadere, ma dai vertici dei Beni culturali non giunge nessun segnale. Anzi ne arrivano in direzione contraria: non è un mistero, infatti, che diversi uffici centrali del Ministero hanno manifestato più volte la propria opposizione a quel vincolo, ribadita persino in una serie di lettere all’Avvocatura dello Stato.
La vicenda ha inizio nel settembre del 2003 quando le Soprintendenze (oltre quella regionale, anche quelle territoriali) raccolsero in un unico provvedimento la grande quantità di vincoli che da tempo tutelavano il Conero. Un vincolo paesaggistico esisteva già, ma ad avviso dei soprintendenti, non dava sufficienti garanzie per proteggere il promontorio dagli appetiti edificatori. Infatti quel genere di salvaguardia, centrato sugli aspetti naturalistici, era stato fortemente indebolito dal fatto che a custodirli fossero stati chiamati i Comuni, cioè gli enti locali che erogano le concessioni edilizie e che più sono oggetto delle lusinghe di chi costruisce (gran confusione ha poi creato il nuovo Codice promosso da Urbani). Inoltre, questo il ragionamento delle Soprintendenze, il Conero è un territorio di pregio per mille motivi. È vero che si tratta dell’unica emergenza montuosa (572 metri) in un territorio tutto pianeggiante, la lunga striscia di costa che va dal Gargano a Trieste. Ma è anche vero che questa posizione a picco sul mare ne ha fatto nei secoli luogo di avvistamento, una specie di faro in mezzo alle onde, dove dall’antichità sono sorti templi e poi chiese, eremi e monasteri. Nel verde della macchia mediterranea si trova, per esempio, la chiesa romanica di Santa Maria di Portonovo. Gli scavi hanno portato alla luce una necropoli usata fin dal mille a. C.. E l’importanza storica di tutto il sito è documentata dalla raffigurazione del Conero sulla Colonna Traiana a Roma e in un affresco nel Duomo di Siena.
Il Conero si è salvato dagli assalti speculativi degli anni Sessanta e Settanta. Nel 1987 è stato istituito un parco regionale, che ha contribuito a proteggerlo, anche se negli anni successivi si è cominciata a sentire la pressione di quella "città diffusa" che si espandeva lungo la pianura a ridosso dell’Adriatico.
Dopo il 2000 si scatena l’assalto. I Comuni che abbracciano il promontorio - Ancona, in primo luogo, e poi Sirolo e Numana - hanno preso a concedere licenze edilizie, faticosamente contrastate dalle varie Soprintendenze che si facevano scudo del solo vincolo paesaggistico. Nel settembre 2003, appunto, si è deciso di alzare una barriera protettiva più resistente: un vincolo in base alla legge 1089 del 1939, che tutelava il Conero in quanto bene di valore storico, artistico e archeologico. Ma al solo annuncio del provvedimento si è scatenata l’offensiva dei Comuni (Ancona, Sirolo, Numana e Porto Recanati) e delle associazioni dei costruttori, che insieme hanno presentato ricorso al Tar. Dopo una serie di giudizi, in un primo momento favorevoli alla Soprintendenza (a fianco della quale si erano schierate Italia Nostra e un’associazione anconetana), il Tar delle Marche ha dato ragione ai quattro Comuni e ai costruttori, ma non nel merito, bensì per un cavillo procedurale: difetto di notifica.
Ora la parola spetta al Consiglio di Stato, il quale si trova a decidere senza che il ministero per i Beni culturali faccia valere le proprie ragioni, anzi mostrando chiaramente che del problema di quei vincoli non vuol proprio saperne. L’attuale direttore regionale, Mario Lolli Ghetti, ha avanzato una proposta: difendiamoci in giudizio e, se vinciamo, dichiariamoci disponibili a rivedere il vincolo. L’idea è stata trasmessa al Ministero, che però non l’ha girata all’Avvocatura e non ha neanche risposto a chi l’aveva formulata. Italia Nostra spera in un ripensamento del ministro Rocco Buttiglione, che pure ha espresso tutta la sua contrarietà ai tagli che la Finanziaria prevede per il patrimonio storico-artistico. Altrimenti, addio vincolo. E non solo: i costruttori, vedendo l’arrendevolezza dello Stato, hanno anche chiesto un risarcimento danni per i mancati guadagni provocati dal vincolo. Se vinceranno, costruiranno e poi passeranno pure a incassare.