Realizzare nuovi porti turistici riconvertendo quelli commerciali dismessi. Una soluzione semplice, economica, sostenibile per combattere la cementificazione delle coste italiane rispondendo, allo stesso tempo, alla continua richiesta di nuovi posti barca. Va in questa direzione il protocollo sulla nautica sostenibile sottoscritto da ministero dell'Ambiente, operatori del settore ed enti gestori delle aree protette.
''I porti in disuso - spiega Stefano Donati, della direzione Protezione Natura e Mare del Minambiente - sono un centinaio. La loro conversione può consentire la creazione di circa 30.000 nuovi posti barca, senza aumentare le superfici cementificate sulle coste''. Anche secondo Legambiente, le infrastrutture dedicate alla nautica da diporto sarebbero tra i principali responsabili dell'impatto ambientale, in un settore generalmente sano e poco incidente sull'inquinamento marino.
Colpa, secondo Sebastiano Venneri, vicepresidente di Legambiente, di un ''malcostume dilagante per cui la realizzazione di queste strutture spesso non ha niente a che fare con le esigenze della nautica''. Le richieste dei diportisti mirano soprattutto all'aumento dei 140mila posti barca presenti oggi in Italia. ''Richieste legittime - commenta Venneri - alle quali si potrebbe rispondere senza aumentare il volume commerciale a terra, riutilizzando le strutture già esistenti".
"Oggi, invece, la costruzione di porti turistici - aggiunge Venneri - nasconde speculazioni commerciali, con tutto l'impatto sull'ambiente che ne deriva: erosione della costa e artificializzazione del litorale con ricadute sull'ecosistema e sull'economia locale''. Il problema di fondo sta, secondo il vicepresidente di Legambiente, nella pianificazione dei porti turistici, ''sottratta al controllo nazionale e affidata alle autonomie locali, comuni e regioni".
"Naturalmente - spiega Venneri - ogni comune vuole il suo porto turistico ed è così che ci troviamo di fronte a situazioni come quella del Porto di Villasimius che si è mangiato la Spiaggia del Riso e altri esempi di cattive realizzazioni''. Ma non mancano i buoni esempi, come il Porto di Acciaroli voluto dal ''sindaco pescatore'', Angelo Vassallo, ''realizzato con grande garbo e delicatezza e senza nulla togliere all'atmosfera propria del borgo marinaro della località, a dimostrazione che volendo tutto si può fare, nel rispetto dell'ambiente'', sottolinea Venneri.
A favore della cultura e dello sviluppo di una nautica sostenibile, il protocollo sottoscritto dal ministero dell'Ambiente prevede anche la realizzazione di campi boa a basso impatto. Anche in questo caso, si tratta di realizzare posti barca attraverso l'ancoraggio di cavitelli al fondale, evitando così il ricorso al cemento o a strutture che potrebbero impattare in maniera significativa sull'ecosistema.
Sul versante inquinamento, ogni barca ha la possibilità di raccogliere le acque nere e grigie, ma il problema di fondo è di nuovo nei porti, non sempre attrezzati per lo smaltimento, e nella normativa: è infatti obbligatorio per i costruttori predisporre la barca alle casse di raccolta delle acque nere, ma l'acquirente può scegliere se acquistare le casse oppure no.
E mentre il mare è in grado di smaltire perfettamente i reflui, un problema più grave è rappresentato dall'inquinamento chimico causato dagli oli esausti e dalle vernici, sebbene il loro impatto rappresenti sempre una percentuale relativamente contenuta (per farsi un'idea, basta pensare che il lavaggio di una cisterna causa, da solo, un danno ambientale pari a quello derivato da tutti i turisti da diporto).
Per migliorare la sensibilità dei diportisti in materia di difesa dell'ambiente marino, ''sarebbe utile -spiega Stefano Donati, della direzione Protezione natura e mare del Minambiente- prevedere un corpus di norme ambientali per il rilascio della patente nautica. In genere, il diportista tende a non essere ben informato. Al massimo si informa quando ha già commesso delle infrazioni''.