Studi che sembrano copia-incolla da Internet. Di più: relazioni stilate da dietro la scrivania, senza aver visto i luoghi. C’è chi si è dimenticato di un vulcano sommerso. Si presentano al ministero dell’Ambiente e permettono di piantare pozzi petroliferi a pochi passi da isole come Pantelleria, Favignana e Marettimo.
Lo dice in un comunicato anche la Northern Petroleum, una delle società interessate: “La legislazione italiana che vieta le trivellazioni off-shore entro le 12 miglia dalla costa avrà un effetto irrilevante...”. Come dire: le trivellazioni vanno avanti. Un mistero, gli abitanti sono contrari. Enti locali di entrambi gli schieramenti hanno votato “no”. Ma lungo le coste della sola Sicilia incombono 40 concessioni per ricerche ed estrazione petrolifera. Alcune con procedura in corso, altre già rilasciate. Insomma, si può cominciare. Da Pantelleria, per esempio. Proprio qui, domenica prossima, abitanti e frequentatori (tra cui gli attori Luca Zingaretti e Isabella Ferrari) si ritroveranno per protestare. “Vogliamo risposte e chiarimenti. Troppi punti sono oscuri”, chiede Alberto Zaccagni, uno degli organizzatori.
Il Fatto Quotidiano ne aveva parlato nel maggio 2010. Erano passati cinque giorni dal disastro della piattaforma della Louisiana quando l’allora ministro Claudio Scajola, con sfortunato tempismo, aveva varato un decreto “per semplificare le procedure per le attività di ricerca petrolifera svolte d’intesa con le Regioni”. Uno dei suoi ultimi atti prima delle dimissioni.
E dire che già l’Eni negli anni Ottanta aveva abbandonato i pozzi perché antieconomici. Stavolta, secondo l’associazione AltraSciacca, molti permessi sono già stati concessi in gran segreto, “senza la pubblicità prescritta”. I primi cinque arrivano nel novembre 2006 (governo di centrosinistra). “Ad aggiudicarseli sono stati la Shell e la Northern Petroleum (tra Marettimo e Favignana). Poi tocca alla Audax Energy e nel 2009 (era Berlusconi) alla San Leon Energy”, è la ricostruzione di Ignazio Passalacqua, consigliere provinciale di Trapani (centrosinistra), in prima fila contro le trivellazioni. Concessioni vecchie di anni, alcune forse scadute, ma ottengono una sospensione “sine die” pubblicata sul Bollettino Ufficiale degli Idrocarburi e delle Georisorse.
Tutti vogliono trivellare il mare siciliano. Colossi e società sconosciute: “La San Leon Energy è una srl con capitale di diecimila euro. La sede è in un paesino della Puglia. Anche il Fatto ha provato a contattarli, ma ai recapiti forniti rispondono altre società. Non solo: la ditta risulta inattiva ed è stata ceduta a una società madre in Irlanda”. Niente di irregolare, però elementi che, secondo le associazioni, suscitano allarme: “Come si fa a concedere a un soggetto di queste dimensioni sondaggi tanto delicati? In caso di disastro su chi rivalersi?”, si chiedono l’ingegner Mario Di Giovanna e l’associazione AltraSciacca. La Audax Energy, altra società che vanta diritti importanti, ha un capitale di 120mila euro e rientra nella galassia di imprese del geologo Luigi Albanesi. Un nome che ricorre in questa storia: come esperto, ha firmato studi per le società petrolifere. Anche le proprie. E qui Mario di Giovanna ha qualcosa da dire: “Niente di illecito, ma ci pare poco opportuno che lo stesso amministratore firmi le relazioni tecniche delle sue imprese”. Studi, come ha ammesso l’interessato, compiuti senza recarsi sul luogo, perché in Sicilia ci va, “ma al mare”.
Dopo le polemiche dell’anno scorso si era cercato di frenare le trivellazioni, ponendo limiti (da 5 a 12 miglia dalle coste e dalle zone protette) per le ricerche. Alcune domande erano state bocciate. La corsa, però, è ripresa indisturbata.
Ma perché così interessati alla Sicilia? No, non pare che sotto l’isola si nasconda un mare di oro nero. Le ragioni sono altre: le royalties che le compagnie pagano alla Sicilia sono tra le più basse d’Italia (l’Emilia Romagna con quantità inferiori di idrocarburi incassa 33 volte di più), che già vanta royalties tra le più basse del mondo. Lo dicono i produttori nei loro siti: “La struttura delle royalties in Italia è una delle migliori del mondo. Per i permessi offshore le tasse sono solo del 4 per cento, ma nulla è dovuto fino a 300.000 barili l’anno”. E pensare che in Libia si arriva all’85 per cento, in Norvegia e Russia all’80.
Così nel rapporto annuale di una delle società, la Cygam, il nostro Paese viene eletto “il migliore per l’estrazione di petrolio off-shore”, forse anche per “l’assenza di restrizioni e limiti al rimpatrio dei profitti”.
Par di capire: di petrolio ce n’è pochino, magari si provocano danni ambientali. Ma il profitto è garantito. Ai petrolieri.
LUCA ZINGARETTI
POZZI NEL MEDITERRANEO, UN GIALLO PER MONTALBANO
“Ci stiamo giocando alcuni tra i tesori del Mediterraneo, diamo il via libera a pozzi di petrolio che nasceranno ovunque. E tutto questo sta avvenendo nello stile aumma aumma, come i compagnucci della parrocchietta”. Luca Zingaretti, il commissario Montalbano, è tornato sul luogo del delitto, la Sicilia. Anzi, nella sua Pantelleria: “Quando sono sbarcato qui la prima volta, appena sceso dall’aereo ho capito che il mare per me sarebbe diventato questo, così scuro, difficile da raggiungere. Stupendo”. Ma stavolta sarà una vacanza di protesta: domenica 14 manifestazioni anti-trivellazioni petrolifere.
Ma Zingaretti ci tiene a fare una premessa: “Non vogliamo difendere soltanto Pantelleria, perché qui viviamo o abbiamo la casa. No, protestiamo contro le trivellazioni che mettono in pericolo molti tratti delle coste italiane. Dalla Sicilia alla Riviera Romagnola”.
Montalbano riuscirà a risolvere il giallo delle trivellazioni a Pantelleria?
Non ci illudiamo di fermare la corsa al petrolio. Ma in Italia ci stiamo giocando il nostro mare senza che se ne parli, senza che nessuno se ne accorga. Non ci rendiamo conto di che cosa vuol dire mettere decine di pozzi di petrolio in un mare come il Mediterraneo.
Ce lo dica lei…
Avete visto che disastro terribile è successo in Louisiana perché si è guastato un pozzo petrolifero. Pensate se la stessa cosa succedesse nel Mediterraneo che è, appunto, un mare chiuso. Qui, se si rompe un impianto, la marea nera invade le coste di tutti i paesi. E poi nessuno parla di quelle vere e proprie bombe di profondità che vengono utilizzate per rilievi sottomarini con effetti devastanti sulla flora e la fauna.
Un rischio ambientale enorme…
Noi abitiamo in mezzo al mare, l’Italia è fatta di mare. È l’elemento centrale del nostro Paese, quasi la sua anima. Altrove è la campagna, sono i monti. Da noi credo davvero sia il mare. Dobbiamo trattarlo con maggiore cura. Ma non è soltanto una questione ambientale, è molto di più.
I sostenitori del petrolio dicono che porta denaro e autonomia energetica…
Ecco il punto. I pozzi a due passi da gioielli come Pantelleria, Favignana, Marettimo non convengono a nessuno, nemmeno da un punto di vista economico . La vera ricchezza del nostro Paese, che resta il più bello del mondo, non sarà mai il petrolio, ma semmai il turismo. E, in zone come queste, anche attività come la pesca. Ora immaginatevi concretamente l’impatto dei pozzi di petrolio sull’economia legata al mare: si rischiano migliaia di posti di lavoro.
Eppure qualcuno le deve aver date le concessioni a queste imprese...
Questo è il punto. Non si capisce chi abbia dato il via libera al petrolio. E come. Sembra impossibile: si parla di operazioni da decine di milioni di euro e a portarle avanti sono società con pochi euro di capitale. Non si riesce a sapere in base a quali criteri si affidino le concessioni. I politici, gli amministratori dovrebbero dare, a tutti noi, delle risposte. Invece niente, silenzio. Contano sul fatto che la gente si stufi di chiedere, che si arrenda. Ma stavolta non sarà così.