Per i nostri beni culturali e ambientali, per la cultura in genere, sono stati cinque anni orrendi. Con Buttiglione che, adesso, riesce a fare, talora, persino peggio di Urbani: nei giorni scorsi ha nominato un consiglio di amministrazione della Holding Cinecittà, composto da ignoti (evidentemente di area); tranne (?) un doppiatore e la ex moglie di un politico molto in vista. Il ministro-filosofo, dopo aver messo il responsabile, da decenni, delle Biblioteche, Franco Sicilia, a capo del Dipartimento dei Beni culturali e paesaggistici, ha stilato una norma ad personam per cercare di tenerlo in attività oltre i 70 anni.
Possibilità, quest’ultima, invece negata ad Adriano La Regina per la Soprintendenza archeologica di Roma e ad Antonio Paolucci per il Polo museale fiorentino. Cioè a due specialisti della materia di valore internazionale (anche se il primo, chiamato “Signor no”, risultava particolarmente “scomodo”, diciamolo, nella sua autorevolezza e quindi da pensionare appena possibile per la gioia degli immobiliaristi vecchi e nuovi).
Non basta: il ministro Buttiglione ha nominato direttore generale dei Beni storici e artistici - al posto di Mario Serio, per anni figura di rilievo - non uno dei soprintendenti più in vista rimasti, bensì l’ennesimo quadro amministrativo. Un bel bilancio. Ma vediamo, in sintesi, i misfatti del 2001-2005.
Sul piano finanziario: nel terribile quinquennio berlusconiano, tagliati con l'accetta i fondi per gli investimenti; dirottati quelli del Lotto del mercoledì dai restauri alle spese di sopravvivenza degli uffici; Fondo Unico dello Spettacolo ridotto in cinque anni del 27 per cento; risorse del Ministero precipitate (dal 2002 in specie) del 57 per cento, ecc. Quindi “buchi” di organico a tappeto, fra i tecnici in specie. In compenso, denari a pioggia distribuiti a ben 45 Comitati, per esempio al Comitato per il IV Centenario della nascita della beata Giovanna Maria Bonomo (150.000 euro) o a quello Nazionale “Viaggio dei Re Magi” (100.000 euro). Molti di più, pacchi di milioni, ne ha dispensati la società Arcus, una SpA, dove comanda soprattutto Pietro Lunardi, ministro delle Infrastrutture, e dove i Beni culturali non mettono lingua: difatti una bella fetta di euro è finita a Parma «capitale della musica» dove Lunardi potrebbe candidarsi a sindaco e dove il centrodestra progetta una sorta di anti-Scala, col sostegno di Mediaset e di Fedele Confalonieri che ha mollato Scala e Filarmonica.
Sul piano delle leggi: ridotto e peggiorato, col Codice Urbani e con altro, il livello della tutela rispetto alle due leggi Bottai del '39 (patrimonio storico-artistico e paesaggio), alla legge Galasso (piano paesistici), ecc.; ribaltato il principio plurisecolare della inalienabilità dei beni culturali pubblici, (salvo eccezioni certificate dalle Soprintendenze); travolto in pochi attimi il Regolamento Melandri elaborato in proposito in un anno di lavoro, tutto ciò al fine di far agire liberamente la Patrimonio SpA per la vendita di quei beni; approvati devastanti condoni edilizi e ambientali; prime privatizzazioni di Musei italiani contro il motivato parere dei direttori di tutti i maggiori musei del mondo, ecc. ecc.
Sul piano politico-amministrativo: spoil-system e accantonamento o trasferimento di soprintendenti e di alti funzionari sgraditi; devitalizzazione totale del Consiglio Nazionale dei BC, non convocato per mesi e mesi; guerra aperta ad alcuni soprintendenti, per esempio a Pier Giovanni Guzzo di Pompei al quale è stato messo vicino quale city-manager nientemeno che il direttore del Museo di Mondragone paese natale del ministro di An, Mario Landolfi, col fine (agognato anche dal sottosegretario Martusciello) di accorpare Pompei e Napoli nominandovi una figura di archeologo che non abbia la personalità, che diamine, di Guzzo; fusione o minaccia di fusione di Soprintendenze storiche (Etruria Meridionale, Ostia Antica, ecc.) in un calderone regionale, contro ogni criterio scientifico.
Si potrebbe continuare, ma conviene invece parlare della reazione, che tutti gli addetti ai lavori, partecipando a convegni, firmando appelli motivati, preparando contro-progetti, si attendevano dal centrosinistra sulla linea della “terapia d'urto” chiesta da Prodi al tempo delle primarie. I documenti di programma che sono circolati sin qui non recano l'impronta di una netta discontinuità rispetto ad alcune politiche del centrodestra. Certo, propongono di riportare i finanziamenti ai livelli ante-Berlusconi, ma bisognerà trovare le risorse, e non possono certo bastare l'8 per mille e il recupero del Lotto del mercoledì, che Veltroni volle aggiuntivo. Dicono recisamente di no ad altri condoni, ma poco parlano della “ricostruzione” di un apparato di garanzie, di organismi e di leggi semidiroccato, della riqualificazione del Ministero. Nella tutela, allo Stato subentrerebbero - vecchio disegno “federalista” - le Regioni, pur avendo davanti il disastro del modello regionale siciliano. Vi si parla inoltre soprattutto di ”valorizzare”, con un economicismo ed un produttivismo applicato ai beni culturali e ambientali che a volte ricorda sinistramente il De Michelis dei “giacimenti culturali” non mai abbastanza deprecati negli anni '80 e quel ministro-pianista, Mario Pedini, il quale coniò la dannata espressione: «I beni culturali sono il nostro petrolio».
Ora, il petrolio, a parte che inquina moltissimo, è lì per essere sfruttato fino all'esaurimento, mentre il patrimonio storico-artistico-paesaggistico è lì - secondo l'art. 9 della Costituzione - per essere anzitutto tutelato e, se debitamente, conservato (cosa che accade sempre di meno), all'interno della tutela, valorizzato. Rischia dunque di passare nel programma dell'Unione una linea che, ponendo la “produttività” (economica, occupazionale, turistica) quale metro essenziale di valutazione, distingue nel contesto italiano, i beni suscettibili di «fornire reddito» da quelli che proprio non ne potranno dare (musei medi e minori, la maggior parte delle chiese, centri storici svuotati ma vincolati, archivi, biblioteche, a meno di non venderle). Si rischia di confondere il Bel Paese e il suo patrimonio, fonte di crescita culturale, civile, sociale, con l'industria turistica mossa da quel formidabile complesso di centri storici, di abbazie, di castelli, di pievi, di musei di ogni tipo, di torri, tutti legati nel “palinsesto” del paesaggio storico e naturalistico. Il turismo, lasciato libero di dilagare, ci ha regalato massacri paesistici e ambientali non meno dell'industria pesante e quello “culturale” sta travolgendo, per esempio, i centri di Firenze, di Venezia, in parte di Roma, piegandoli a bazar, a fiera permanente. Vanno fortissimo le grandi mostre di consumo (con gli Impressionisti, poveretti, in tutte le salse, per «idioti da viaggio», sferza «Le Monde»), mentre i musei, spesso molto belli, battono il passo, o meglio, crescono sempre i soliti noti. Un caso esemplare: sull'onda del “valorizzare” è stato prestato, per molti mesi, ad una mostra milanese lo splendido Caravaggio di Sant'Agostino a Roma; negli stessi giorni la chiesa ha mostrato seri cedimenti strutturali. Qual è il vero compito dello Stato? Valorizzare i quadri come merce, oppure salvaguardare, in ogni senso, il patrimonio? A noi la risposta sembra una sola, la seconda.