La Repubblica, 13 gennaio 2016
È un riforma? «Lo sa come si chiama la corazza della tartaruga? Carapace. La mia risposta allora è: questa riforma è il carapace del potere». Comincia così l’intervista con il professor Gustavo Zagrebelsky.
Dicono che sarà divertente vedere alleati lei, Rodotà, Berlusconi, Brunetta e Salvini. Non è una compagnia imbarazzante?
«Ma davvero a qualcuno è venuto in mente di dire questo? E a chi?».
A Orfini e Boschi, e non solo...
«Ma fanno torto alla loro intelligenza».
E perché mai?
«Perché confondono la Costituzione con la politica d’ogni giorno. Si può essere lontanissimi politicamente e concordare costituzionalmente ».
Non mi dica che pure Berlusconi difende la Costituzione...
«Io non faccio processi alle intenzioni. Non la colpisce il fatto che a favore della riforma sia il governo e tutta la maggioranza e contro siano tutte le opposizioni, destra e sinistra, senza eccezione?».
E che ci trova di strano?
«Soffermiamoci sul punto. La Costituzione dovrebbe essere la regola della convivenza tra tutti. Di tutti con tutti. Una garanzia reciproca. Invece, nel nostro caso, la riforma della Costituzione è stata promossa dal governo, imposta dal governo e votata dalla maggioranza del governo. Questi dati di fatto non le fanno sospettare che questa cosiddetta riforma della Costituzione sia una “blindatura” di un giro di interessi che ha conquistato il potere e se lo vuole tenere stretto?».
Ammetterà che senza questa “blindatura” non si sarebbe mai riusciti a cambiare la Costituzione in modo condiviso.
«E con ciò?».
Renzi e i suoi ritengono che cambiarla serva all’Italia.
«In realtà dicono che l’Italia aspetta da 30 anni questa riforma. Sarebbe più giusto dire che a qualcuno, e tra questi ora i nostri “riformatori”, la vigente Costituzione non è mai piaciuta».
Invece lei perché la difende a ogni costo?
«Qui tocchiamo la vera posta in gioco. È in corso da 30 anni un’involuzione che ha rovesciato la piramide della democrazia. La base, cioè i cittadini, le loro associazioni, le strutture sociali, contano sempre di meno, e sempre di più contano i vertici, che siano i vertici dei partiti o delle istituzioni. Questa è un’involuzione che tecnicamente si può chiamare il passaggio dalla democrazia all’oligarchia».
Il suo timore qual è? Il partito unico? Il leader unico? L’opposizione azzerata? Il suo pessimismo cosa nasconde?
«La mia è una pura constatazione. I partiti, a cominciare dal Pd, che dovevano essere canali di organizzazione e partecipazione politica, sono stati distrutti. In essi domina ormai il “caro segretario” che controlla il partito e attraverso di esso opera nelle istituzioni. I sindacati sono in grave difficoltà e chi governa, invece di preoccuparsi, se ne compiace. La maggioranza del Parlamento opera sotto la sferza del governo. La legge elettorale, Porcellum o Italicum che sia, mette nelle mani del segretario del partito la selezione dei candidati sulla base di un rapporto di fedeltà personale. E il governo è composto da ministri a disposizione del leader. Non le pare che tutto ciò comporti una concentrazione del potere al vertice e una privazione alla base?».
Renzi e Boschi le risponderebbero che queste sono le analisi dei professoroni che vogliono mantenere lo status quo.
«Lo status quo è per l’appunto quello che ho appena detto, ed è proprio ciò che noi vogliamo combattere. Onde, se vogliamo usare l’abusata categoria dei conservatori, siamo noi gli innovatori e sono i sedicenti innovatori costituzionali a essere paradossalmente i veri conservatori o, per essere espliciti, i blindatori ».
Davvero pensa che modificare l’attuale Senato risponda a questo progetto?
«Guardi che la riforma costituzionale non tocca solo il Senato, ma in generale redistribuisce i poteri in maniera tale che il baricentro si sposta radicalmente a favore dell’esecutivo. Il Parlamento risulterà sottomesso alle iniziative del governo. Gli organi di controllo, Corte costituzionale e perfino il presidente della Repubblica, ricadranno nell’orbita di Palazzo Chigi. Non di per sé, ma per l’effetto congiunto della riforma costituzionale e della legge elettorale. La verità è che i problemi istituzionali vanno visti nella complessità di tutti i loro elementi».
Per questo parla di riforma “esecutiva”?
«Viviamo in un tempo esecutivo. Ha notato come vengono denominati i vagoni di lusso nei treni ad alta velocità? Executive, non legislative, or judiciary... Segno dei tempi».
Esecutivi di cosa?
«Se guardiamo la letteratura internazionale si direbbe degli interessi dei grandi gruppi economico-finanziari e militari. Vuole qualche citazione?”.
No, per carità... Ma con riguardo al nostro Paese?
«A vederli da qui appare solo la mediocrità della nostra classe dirigente. Che qualità di interessi sono quelli che emergono, per esempio, in questi giorni dalle indagini sul sistema bancario?».
Dice Renzi «se perdo il referendum lascio la politica». Che effetto le fa?
«Un po’ di megalomania».
E perché?
«Per due motivi. Primo: sembra una parodia del generale De Gaulle del 1969. Anche lì un referendum, guarda caso sul Senato, dal cui esito il Generale fece dipendere la sua permanenza in carica. Secondo: il proprio futuro politico scommesso sulla riforma della Costituzione. Renzi ha posto quella che tecnicamente si chiama una questione di fiducia sulla riforma. In questo modo ha dichiarato ufficialmente che questa riforma non è costituzionale, ma è governativa».