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AA.VV.
Da Brera lettera aperta sul Cristo di Mantegna
1 Settembre 2006
Beni culturali
Dopo la gazzarra mediatica dei giorni scorsi, la posizione di chi quotidianamente combatte per la tutela dei nostri bb.cc. Da il manifesto, 1° settembre 2006 (m.p.g.)

Sulla querelle del sì del ministro Rutelli al trasferimento del «Cristo morto» di Mantegna dalla Pinacoteca di Brera alla mostra di Mantova organizzata da Vittorio Sgarbi, pubblichiamo la lettera aperta a «un ministro, a un assessore e ai loro variopinti cortei» firmata dai funzionari storici dell'arte della Pinacoteca. La lista aggiornata delle adesioni si può consultare su www.patrimoniosos.it.

Il Cristo Morto di Mantegna andrà a Mantova. E non per una autonoma decisione - discutibile ma legittima - di un ministro intimidito, o irritato, dall'onda montante di polemiche sempre più roboanti, ma a seguito di un teatrino vergognoso che lascia sul terreno, oltre che la dignità di tante persone, alcuni fondamentali principi non solo della tutela ma della cultura. Perciò noi, «i funzionari che mentono al loro ministro» (Sgarbi, Corsera 27 agosto), che abbiamo condiviso con la direttrice della Pinacoteca le ragioni del no al prestito, che siamo stati i grandi assenti in questo coro di interviste dove i più variegati esperti hanno espresso giudizi incisivi ma non sempre informati dobbiamo spiegare il perché di una posizione che continuiamo a ritenere corretta.

Naturalmente, per non deludere le aspettative, iniziamo con un argomento squisitamente da burocrati.

L'articolo 48 della legge che siamo chiamati a far rispettare (ma, evidentemente, non siamo tenuti a rispettare noi stessi e meno che mai vi paiono tenuti gli assessori comunali, o i presidenti di comitati...) riguarda mostre ed esposizioni e al comma 3 recita «L'autorizzazione è rilasciata tenendo conto delle esigenze di conservazione dei beni (cosa ben diversa dallo stato di conservazione) e, per quelli appartenenti allo Stato, anche delle esigenze di fruizione pubblica...». Un soprintendente dunque si esprime sui prestiti tenendo conto di entrambi questi due elementi. Ciò è avvenuto per il Cristo Morto nel novembre 2005. Spiace che i nostri interlocutori non abbiano il tempo per leggere con attenzione la corrispondenza: nella lettera allora inviata in risposta alla richiesta del comitato organizzatore è contenuto un fermo diniego che non poggia sullo stato di conservazione del dipinto tanto dibattuto sui giornali. La tela forse non sta «da Dio», come sostiene il nostro assessore, ma non ha problemi immediati di conservazione. Altrimenti non sarebbe esposta nelle sale di Brera o sarebbe stata restaurata, come quasi tutti gli altri dipinti presenti nel museo. Ma è un'opera estremamente delicata e come tale è stata definita nella lettera. Si tratta di una tempera a colla, tecnica per la quale Mantegna utilizzava tele molto sottili, prive di preparazione, sulle quali stendeva una impalpabile pellicola pittorica non protetta da una vernice finale. Tale tecnica ne detta insieme le caratteristiche estetiche (colori polverosi, intonazione cupa..) e la delicatezza strutturale, che si concretizza nella tendenza del colore a sfarinarsi ed a cadere. Qualsiasi restauro ambisse a risolvere tale problema finirebbe probabilmente per alterare le caratteristiche materiali dell'opera. E perciò anche il suo aspetto.

Mantegna amò e utilizzò molto tale tecnica ma, oltre al Cristo Morto, solo altre quattro tele sono passate attraverso cinque secoli senza subire restauri snaturanti: la sua è dunque una delicatezza e una unicità che vanno preservate perché fanno parte integrante dello statuto specialissimo delle opere d'arte che non sono pura immagine, ma documenti storici in sé, con la loro consistenza fisica e i loro materiali. Siamo perciò certi che nessun tecnico responsabile, storico dell'arte o restauratore che sia - e tutte le valutazioni effettuate sul dipinto lo confermano - potrà negare i rischi connessi a questa specifica tecnica. E se li tacerà o li ignorerà si renderà colpevole del vecchio, obsoleto peccato di omissione, che sarà vecchio e obsoleto ma peccato resta. Nessun medico sensato autorizza un novantenne, seppure in buona salute a salire sull'Himalaya. E nessuna compagnia di volo accetta a bordo donne all'ottavo mese di gravidanza. Perché ci sono dei rischi. Noi ci riteniamo controllori di volo responsabili.

La stessa lettera però puntava su di un altro, decisivo argomento, e cioè l'importanza dell'opera per il museo. Non solo per le aspettative del pubblico, interessato a un numero ristretto di capolavori tra i quali si conta anche il Cristo Morto, ma anche per il ruolo che quest'opera gioca in una sala che dà conto della dialettica tra Mantegna e Bellini. Un museo è strumento complesso di conoscenza, dal quale non si possono togliere indiscriminatamente dei pezzi senza produrre vuoti di senso o salti di ragionamento. In altre parole senza danneggiarlo come strumento di cultura.

Il teatrino messo in piedi in questa occasione, la perizia che dice la verità, la decisione mutata sono però atti gravissimi anche per questioni di ordine generale, che vanno oltre il caso specifico del Cristo Morto. Pensiamo ad esempio al prevalere delle logiche «culturali» della mostra (ci sono rimaste nel cuore le motivazioni addotte dall'assessore che invocava il dipinto in quanto «icona pop che richiama centinaia di migliaia di visitatori») sul museo, ridotto a puro serbatoio per aumentare un circuito di affari che finisce naturalmente per penalizzarlo. Brera potrà anche avere un pubblico potenziale di 15 milioni di visitatori, ma difficilmente supererà i 250mila attuali se le sue opere più amate andranno costantemente in tournée a tutto vantaggio economico degli organizzatori di mostre.

Pensiamo anche al primato che si attribuisce, spesso in modo puramente strumentale, a un tecnicismo asettico, fondato solo sul dato «oggettivo» della relazione tecnica, che solleva il funzionario, o il politico di turno dal dovere, soprattutto etico, di una scelta ragionata sul futuro dei beni che gli sono affidati. Ma non basta. In questi giorni si è screditato senza appello e senza prove l'operato di un ufficio e di conseguenza di tutti gli uffici preposti alla tutela, che questa normativa sono chiamati ad applicare nei confronti di interlocutori meno potenti, e si è compiuto così un ulteriore passo avanti nel sistematico svuotamento di senso dei soprintendenti e delle soprintendenze, messe sotto tutela nelle decisioni con risonanza mediatica, salvo essere poi mandate sole in trincea nella faticosa gestione del quotidiano. In questo stesso senso va l'annunciata decisione di istituire una commissione di esperti per decidere sui prestiti, che per ora assomiglia a un doppione di qualcosa che esiste già, il Comitato tecnico scientifico composto da soprintendenti ed esperti esterni e interni, chiamato a decidere anche sui prestiti importanti. In specifico, paradossalmente, sul caso opposto del soprintendente scriteriato che presta con leggerezza i capolavori del museo a lui affidato. Ma ci chiediamo, e lo chiediamo ai nostri interlocutori, di fare con schiettezza i conti del dare e dell'avere, e di quanto la «pubblica utilità» sia stata accresciuta da quanto avvenuto.

Sandrina Bandiera, Raffaella Bentivoglio, Matteo Ceriana, Simonetta Coppa Emanuela Daffra, Cecilia Ghibaudi, Letizia Lodi, Valentina Maderna, Isabella Marelli, Amalia Pacia, Ede Palmieri, Cristina Quattrini, Paola Strada, Sandra Sicoli, Andrea Carini, Sara Scatragli - Soprintendenza per il Patrimonio storico Artistico ed Etnoantropologico, Pinacoteca di Brera.

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