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Vittorio Emiliani
Archeologia a beneficio dei privati
22 Febbraio 2009
Beni culturali
La protesta contro il commissariamento dell’archeologia romana è necessaria perché il nostro patrimonio culturale rimanga un bene pubblico. Da l’Unità, 22 febbraio 2009 (m.p.g.)

Una ventina di giorni fa per il ministro Bondi e per il sindaco Alemanno le aree archeologiche romane versavano in una emergenza così disastrosa da esigere la nomina subitanea di due commissari straordinari "anche a fini di protezione civile": l’immancabile Guido Bertolaso e l’assessore comunale all’urbanistica Marco Corsini, vice e "attuatore" delle misure previste. Stavano crollando Fori, Domus Aurea e Palatino? No, secondo i maggiori archeologi. Grande come una domus appariva il conflitto di interessi dell’assessore Corsini che passava, oplà, da controllato a controllore delle Soprintendenze romane.

Venti giorni dopo, non v’è ancora traccia del decreto di nomina. È svaporata quella drammatica emergenza? Mistero. L’hanno sottolineato venerdì in una affollatissima riunione i tecnici delle Soprintendenze archeologiche di Roma e di Ostia. Nei ruoli ministeriali mancano ben 122 archeologi, ma nemmeno un posto di archeologo è stato messo a concorso, dal ’98, nel Centro-Sud. Si tagliano fondi e, commissariando, si possono mettere le mani nei ricchi incassi dei monumenti di Roma e Ostia (circa 20 milioni annui). Il commissariamento come pretesto per affidare a gestioni privatistiche questi beni altamente redditizi e lasciare gli altri allo Stato? È il modo migliore per svuotare le Soprintendenze abilitando il Campidoglio ad un nuovo "sacco" dell’Agro Romano e del litorale. Si comincia da Roma, poi il resto d’Italia viene da sé. La lotta in corso delle maggiori associazioni è esemplare: come opporsi alla privatizzazione della "polpa" dei beni culturali e allo smantellamento della tutela.

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