Per il Foro e il Palatino l’assessore all’urbanistica del Comune di Roma, già aspirante alla carica di commissario per il patrimonio archeologico della città, ha rivelato nel corso di un’intervista quello che sarebbe stato il suo programma: «un piano di interventi organici, perché oggi, al Foro, non ci sono neppure le indicazioni per individuare i monumenti. Lì la gente va a fare una passeggiata, le coppiette si baciano, si siedono su un sasso e non sanno neppure su che cosa si stanno sedendo».
Al di là di ogni banalità e semplificazione, che si possono pur concedere all’intervistato, viene riproposto il luogo comune del Foro privo di indicazioni idonee a facilitare la comprensione delle rovine. I monumenti recano tuttavia da molti anni targhe che ne consentono l’identificazione per dare modo al visitatore di leggerne la descrizione in una guida archeologica di sua scelta, con qualunque livello d’approfondimento e in qualsiasi lingua. Per illustrare il significato d’ogni rilevante segno della storia nel Foro Romano sarebbe necessario installare una selva di tabelloni scritti in più lingue e dotati di disegni, con il risultato di svilire inutilmente il fascino dei luoghi. Mentre tali informazioni sono facilmente reperibili in guide a stampa, l’aura infranta di un paesaggio amato e ricercato così com’è da tanti visitatori di tutto il mondo non sarebbe in alcuna maniera recuperabile.
Del resto la superficialità sembra essere di norma nelle vicende che stanno affliggendo il patrimonio archeologico di Roma. Sono state sbrigativamente adottate dal Governo, con il beneplacito della Regione, misure straordinarie previste dalla nostra legislazione per far fronte a gravi calamità nazionali. È stato necessario, per ottenere questo, rappresentare un’immagine alterata della realtà, e si è così reso ridicolo agli occhi del mondo l’impegno posto dall’Italia nella cura delle antichità di questa città. Si insiste infatti nel sostenere che il Palatino sia gravemente afflitto da problemi di stabilità, che i suoi monumenti principali, come il palazzo dei Cesari, siano a rischio di collasso, e che questo sarebbe dimostrato dal fatto che non sono più visitabili vaste aree una volta aperte al pubblico.
Ma le cose non stanno proprio così. Parte del Palatino è chiusa perché il personale di custodia non è sufficiente per il controllo dell’intera zona monumentale, la quale ha una superficie di 36 ettari. Si tratta quindi di una precisa, e antica, responsabilità governativa. In qualche caso si sono avuti distacchi di pietrisco o di frammenti di malta che, in attesa dei consolidamenti, rendono impraticabile qualche monumento senza tuttavia impedirne la piena osservazione dai percorsi di visita, che sono sicuri e agibili. Tale situazione si riscontra soprattutto per le arcate severiane, all’estremità sud-occidentale del Palatino. L’intera area palatina potrebbe essere resa accessibile facilmente e con poca spesa. Sarebbe però necessario desistere dall´incomprensibile criterio di lesinare le assunzioni del personale di custodia in un settore strategico per l´economia nazionale. La cosa è poi particolarmente insensata e miope nei riguardi di Roma.
Gravi rischi di crolli si ebbero in passato in seguito a dissesti che si erano manifestati nella domus Tiberiana sul fronte del Palatino verso il Foro e sul versante di S. Teodoro. Vi si pose riparo, con annosi, consistenti ma accorti lavori eseguiti nel rispetto dei caratteri monumentali. Non vi sono al momento preoccupazioni analoghe per le strutture prospicienti il Circo Massimo. Interventi di consolidamento restano tuttavia da fare sull’angolo nord occidentale, presso il tempio della Magna Mater.
Attualmente non sussistono per il Palatino problemi tali che possano giustificare l’adozione di procedure amministrative concepite per la protezione civile. La cura dei monumenti romani comporta cospicue esigenze di spesa per la manutenzione, per i restauri e per le opere di conservazione, come si è sempre fatto con le necessarie cautele. A queste esigenze si può oggi sopperire rendendo disponibili gli ingenti introiti che a Roma i monumenti stessi, e per primo il Colosseo, procurano con i biglietti d’ingresso e con altre forme di provento. L’elusione delle norme di trasparenza negli appalti, invocata per attuare interventi immediati in nome di un’inesistente emergenza, rischia non solo di favorire comportamenti discutibili, ma anche di provocare danni ai monumenti e ai suoli archeologici con opere ingiustificate e costose. Una fitta serie di carotaggi incautamente eseguiti alle falde del Palatino, verso il Circo Massimo, ha devastato la volta intatta e splendidamente decorata di un ninfeo già noto dal Rinascimento, ma di cui si era persa l’ubicazione esatta. Per vanità di gloria, risultata effimera e fallace, e sorvolando sui danni, il ninfeo è stato identificato con il Lupercale in una conferenza stampa tenuta il 20 novembre 2007 dal precedente ministro dei beni culturali.
Altre notizie non vere, riprese dalla stampa di tutto il mondo, riguardano presunti danni causati dal terremoto di questi giorni a una delle arcate delle Terme di Caracalla. Si tratta in realtà di una vecchia lesione consolidata definitivamente con un restauro di oltre mezzo secolo fa. La lesione sanata non è in alcun rapporto con i danni che sono stati accertati da qualche tempo e che sono dovuti alla mancanza di ordinarie manutenzioni, quali la caduta di frammenti di mattoni e di pietrisco dalla sommità di alcuni muri. Le Terme di Caracalla, come il Palatino e gli altri monumenti antichi di Roma, richiedono continuità di cure, che evidentemente in qualche caso sono venute a mancare. Non è bello, però, imputare questi danni ad eventi che altrove hanno procurato vere tragedie.