la Repubblica, 28 marzo 2018. Matteo Renzi ha rottamato. Ma così piccolo, e così inconsapevole, che non provoca molte speranze
Nello zoo delle nostre istituzioni è riapparso un animale che credevamo estinto: il Parlamento. Soffocato durante la lunga stagione bipolare dalla dittatura dei governi, con un presidenzialismo di fatto se non anche di diritto. Imbavagliato dai decreti legge, dall’abuso dei voti di fiducia (108 nei 57 mesi della legislatura scorsa), da canguri, ghigliottine e altre diavolerie procedurali inventate per bloccare il dibattito in aula. Deformato nella sua capacità di rappresentare gli italiani dai premi di maggioranza, concessi in dote a questo o a quel partito. Screditato dal trasformismo degli eletti (566 cambi di casacca nell’ultimo quinquennio: un record). Infine preso in ostaggio da leader che abitavano fuori dalle aule parlamentari (nella XVII legislatura fu il caso di Grillo, Berlusconi, Renzi).
E adesso? Intanto il Parlamento che si è appena insediato vanta tre primati assoluti. Perché è il più giovane della storia repubblicana (con un’età media di 44 anni alla Camera, 52 al Senato). Perché ospita il maggior numero di donne (34,6%: il doppio rispetto al 2008, 4 punti percentuali in più rispetto al 2013). E per il suo tasso d’innovazione, dato che il 65% dei parlamentari sono new entry rispetto alla legislatura scorsa. Non è poco, in un tempo segnato dai furori popolari contro la “casta” dei palazzi romani; giacché questo triplice primato raccoglie quantomeno una domanda di ricambio, d’apertura. Tanto più che alla presidenza del Senato ora siede una donna, ed è un’altra prima volta. Anzi: è l’incarico più alto mai conquistato da una cittadina italiana nell’architettura dello Stato.
E a proposito dei nuovi presidenti delle Camere. La loro rapida elezione suona come una prova d’efficienza, oltre che di disciplina nelle votazioni. Non era previsto, non era scontato.
Del vecchio Parlamento si ricorda l’impasse durante l’elezione del capo dello Stato, con i 101 franchi tiratori che nel 2013 tradirono Prodi. Ma si ricordano altresì i veti incrociati che sulle prime impedirono la scelta dei timonieri di Montecitorio e di palazzo Madama. Fu la pensata notturna d’un capopartito (Bersani) a sbrogliare la matassa. Stavolta no, nessuna decisione solitaria. L’elezione di Fico e Casellati scaturisce da una strategia comune fra leader d’opposti schieramenti. È dunque un successo della democrazia parlamentare, giacché quest’ultima - diceva Kelsen - esige un compromesso permanente, un reciproco parlarsi ed ascoltarsi.
C’entra qualcosa la nuova legge elettorale col vento che all’improvviso spira sulle Camere? Probabilmente sì, nonostante tutti i suoi difetti. Perché il Rosatellum ha un impianto proporzionale, dopo 25 anni di maggioritario. E perché il proporzionale genera un clima favorevole al negoziato fra i partiti, senza maggioranze artificiose, senza un sospetto di carte truccate. Del resto, con tre forze più o meno equivalenti, il negoziato è d’obbligo, non c’è altra soluzione. Specie se ciascun attore è minoranza rispetto agli altri due.
Eccolo infatti il responso delle urne: la geografia politica disegna tre grandi minoranze. E nessuna maggioranza autonoma in nessuna assemblea legislativa (la volta scorsa, invece, il Pd controllava la Camera). Ma dov’è la casa delle minoranze? Nel Parlamento, non certo nel governo, cui l’opposizione non ha accesso. Quindi il Parlamento torna ad essere il fulcro del sistema, il suo baricentro, come nei gloriosi anni Settanta.
Sarà per questo che il presidente Fico, nel suo primo discorso, ha evocato la « centralità » del Parlamento, ripetendo uno slogan che sembrava consegnato agli archivi della storia. Sarà inoltre la sua fresca esperienza sui banchi dell’opposizione che l’ha spinto a promettere tutela per ogni opposizione, rifiutando le scorciatoie e gli strappi del passato. E sarà forse l’esempio del Senato - che ha corretto il proprio regolamento sul volgere della legislatura scorsa - a spronare anche la Camera verso un’analoga riforma, come ha annunziato, per l’appunto, il suo nuovo presidente. In ogni caso, d’ora in poi lo spazio parlamentare si dilata, mentre l’esecutivo finirà per dimagrire. Significa che l’opposizione potrà ben esercitare un ruolo attivo, al di là della mera testimonianza. Potrà farlo il Pd, sempre che non vada all’opposizione di se stesso. Ma l’ultimo paradosso della democrazia italiana è esattamente questo: il sistema (parlamentare) salvato dai partiti antisistema.