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Stefano Baia Curioni
Perché i musei e i monumenti sono importanti
23 Ottobre 2010
Beni culturali
“Il senso del patrimonio non può essere solo il traino al turismo”: alcune considerazioni contro la deriva economicista di chi governa i beni culturali. Su patrimoniosos.it, 23 ottobre 2010 (m.p.g.)

Un recente editoriale del Giornale dell'Arte denuncia con veemenza e amarezza la consistenza dei tagli imposti dalla Finanziaria alle attività culturali, l'incoerenza di tali provvedimenti rispetto all'ampiezza del patrimonio artistico del paese e al suo potenziale valore per il suo sviluppo, l'arbitrarietà della loro distribuzione. Non è una critica nuova: la contrazione delle risorse pubbliche, la riduzione degli spazi di azione dello stato nel campo culturale sono tendenze ormai denunciate da anni, certamente non solo in Italia. Anche gli argomenti che hanno animato il dibattito si sono ormai codificati in schieramenti ("beniculturalisti" contro "economicisti") che impediscono una visione più chiara dei problemi. Da un lato si denuncia la farraginosità, l'inefficienza, la neghittosità, la mancanza di incentivi della struttura pubblica, che accompagnano una gestione largamente inadeguata del nostro patrimonio culturale e in generale di ogni produzione culturale "pubblica" (dal cinema alla lirica) e si saluta l'avvento salvifico del privato.

Dall'altra si risponde ricordando la complessità di un territorio in cui pullula la ricchezza e la stratificazione storica, in cui esistono migliaia di musei, pievi, chiese, teatri, ville, castelli, evidenze archeologiche. archivi, biblioteche, che chiedono attenzioni, risorse, restauri, protezione cui nessun privato può provvedere, e producono una farragine di esigenze sotto cui la struttura pubblica soccombe in un momento di risorse scarse. Così mentre il dibattito tecnico e culturale è in stallo, la forza delle cose prosegue a mietere risorse con un abbrivio apparentemente inarrestabile. Secondo la visione oggi dominante, il senso di musei, istituzioni, luoghi d'arte sembra oggi condizionato dalla loro capacità di essere agenti per lo sviluppo, di attrarre turismo e consumo, di produrre ricchezza. A parte i problemi tecnici posti da quest'ordine di valutazioni, e senza nulla togliere alla necessità di vedere le cose "anche" in questa prospettiva, l'impressione è di essere di nuovo alle prese con la consueta, esasperante, tendenza all'unilateralità: è fin troppo ovvio che la posta in gioco più importante non è il turismo ma l'educazione, la diffusione delle opportunità, la capacità di convivenza.

C'è bisogno di una svolta, che parta dalla consapevolezza della centralità del problema. La cultura e le arti stanno ponendo una questione centrale al pensiero economico e politico contemporaneo, e lo fanno mettendo in gioco la loro possibilità di fiorire o di decadere, portando con sé i destini complessivi delle nostre collettività. La risposta a questa interrogazione chiede cura e umiltà, chiede di unire i saperi e i pensieri per dare forma a una ecologia delle arti e della cultura capace di preparare le condizioni istitutive delle arti nel futuro. Se non altro per consentire alle arti di offrirci ancora la possibilità — citando Agnes Martin — "di attraversare la vita con gioia" offrendoci "un'esperienza completamente soddisfacente, anche se elusiva...". La posta in gioco più importante sono l'educazione, la convivenza, le opportunità.

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