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Pompei: dies irae
9 Novembre 2010
Beni culturali
Una rassegna di alcuni degli interventi sul crollo che ha rivelato al mondo la vergogna della nostra politica culturale. Berdini, del Fra, Sannino su l’Unità, ilfattoquotidiano.it, la Repubblica, 8 novembre 2010 (m.p.g.)

«È una Caporetto del managerialismo di eventi mediatici»

Luca del Fra - L'Unità

Il piano c'era eccome! Ed è stato anche operativo fino all'inizio dei commissariamenti» — spiega il professor Pier Giovanni Guzzo, e il professor Salvatore Settis gli fa eco: «Bisogna ricacciare in gola tutte queste scempiaggini sui manager a chi le sta dicendo». Arrivano secche come legnate le smentite alle dichiarazioni fatte dal ministro Sandro Bondi il giorno dopo l'ennesimo disastro avvenuto a Pompei. Il crollo della Schola Armaturarum sta facendo il giro del mondo e finalmente i riflettori si accendono sul sito archeologico che tutti ci invidiano e su cui è stato perpetrato uno scempio con piglio davvero manageriale. Il ministro ieri ha invocato un piano per la tutela di Pompei: non si era accorto che era stato già studiato e applicato, ma certo non dai suoi manager e commissari. A parlare è il professore Guzzo, ultimo vero sovrintendente di Pompei fino a inizio 2009: «Si figuri, abbiamo cominciato a lavorarci dal 1997 e per non gravare sul bilancio dello Stato il piano venne finanziato dal World Monument Found, a dimostrazione che anche archeologi e studiosi sanno amministrare e trovare risorse. Nel 1999 il piano è diventato operativo: dei 44 ettari di scavi di Pompei allora solo il 14% era in sicurezza e in pochi anni abbiamo più che raddoppiato arrivando al 31%». Di Pompei parla poco Guzzo, per non alimentare polemiche, ma tiene a precisare: «Tutela e manutenzione non finiscono mai, sono attività da aggiornare continuamente: purtroppo non sono né appariscenti né mediatiche». Insomma interessano poco i supermanager da copertina o da operetta del ministro.

E lui, Bondi, continua indefesso a difendere l'operato di Marcello Fiori, commissario subentrato a Guzzo e rimasto in carica fino a giugno scorso: «La situazione in alcune parti di Pompei è peggiorata durante il commissariamento — spiega senza tentennamenti Gianfranco Cerasoli, responsabile Uil per i Beni Culturali—; le domus su via dell'Abbondanza, guardando a sinistra verso porta Nola, sono a rischio a causa di un terrapieno che preme per le infiltrazioni d'acqua». E non si tratta nemmeno di costruzioni secondarie: «Parliamo delle Case dei casti amanti, dove di recente sono smottati lapilli, di Polibio, di Trebio Valente e perfino delle scale della Casina delle aquile malgrado siano state oggetto dell'intervento del commissario. Ma i tecnici si rifiutano di parlare». A Pompei si è commissariato in base a una falsa emergenza, come ha decretato la Corte dei conti, e poi si è poco badato alla messa in sicurezza: «Della gestione commissariale— spiega Biagio De Felice della Cgil che a Pompei ci lavora — mi ha colpito la mancanza di cultura e l'incomprensione dell'unicità del luogo. Hanno cercato di trasformare gli scavi in una "location" per eventi mediatici anche con spese folli, come i 7 milioni di euro per i discutibili lavori sul Teatro grande. Prendiamo il recupero della Casa dei casti amanti, con ologrammi e multischermi che potevano essere piazzati in qualsiasi altro luogo. Pompei e la sua straordinarietà sono rimaste sullo sfondo. Forse oggi bisogna ritrovare la vera Pompei». ologrammi, spettacolini, immagine.

L'inadeguatezza della gestione commissariale in cifre: 1'80% delle risorse è stato destinato alla cosiddetta valorizzazione invece che alla tutela. È il caso delle Case di Polibio e dei casti amanti dove proprio durante i lavori condotti inopinatamente con mezzi pesanti è avvenuto il primo crollo: entrambe presentate in pompa magna, ma per visitarle occorre una prenotazione e un biglietto supplementare senza riduzioni per anziani e bambini, alla faccia della diffusione della cultura. Malgrado Pompei avesse già una video sorveglianza efficace, ne è stata progettata un'altra che tra le insule pompeiane prevede tralicci così invasivi che i responsabili dei lavori si sono dimessi per la vergogna. Pompei segna la vera Caporetto del managerialismo bondesco, ma Mario Resca, manager di McDonald Italia che l'ineffabile ministro ha trapiantato alla nuova direzione per la valorizzazione del patrimonio, già poche ore dopo l'ultimo crollo invocava un manager da affiancare ai sovrintendenti. Idea ripetuta da Bondi anche ieri: «È la peggiore delle sciocchezze —sbotta il professore Settis—, la vera sfida è trovare professionalità specifiche che abbiano capacità amministrative. Sono stato rettore della Normale di Pisa per 11 anni e nessuno si è mai sognato di volermi affiancare un supermanager”. La realtà è che a Pompei manager e commissari c'erano, a mancare sono stati i sovrintendenti: «Sono state calpestate e si vogliono calpestare competenze in nome di un managerialismo buono per qualsiasi cosa, senza odore e colore, senza qualità».

Una gara per Pompei, ma di bighe

Paolo Berdini – ilfattoquotidiano.it

Appena sei giorni prima del crollo della domus dei Gladiatori sulla via dell’Abbondanza, la cronaca locale del Mattino di Napoli dedicava un’intera pagina al “futuro” del sito archeologico più famoso del mondo. Affermava il sindaco di Pompei, Claudio D’Alessio che “dopo la proposta, mai andata in porto , di allestire set cinematografici nell’area archeologica, l’antica città romana potrebbe diventare punto di riferimento per gli appassionati di cavalli. Potrebbe essere una delle tante iniziative per riportare Pompei al centro dell’attenzione nazionale e internazionale. Ho già avviato uno studio per valutare quali siano le reali condizioni per realizzare un concorso ippico.”. L’articolo diceva poi che si tratterebbe “una sorta di corsa delle bighe dell’antica Roma, riproposta in chiave moderna”.

Straordinario davvero. Il sito archeologico più visitato al mondo e che incassa qualcosa come 20 milioni di euro all’anno, ha bisogno delle bighe per ritornare al centro dell’attenzione. Non ha bisogno di sistematica opera di manutenzione, di completamento dello scavo nelle aree ancora non indagate, di servizi moderni e sempre sofisticati utilizzando le moderne tecnologie, di offerte culturali per aiutare a comprendere la storia urbana dell’antica città. Ha invece bisogno secondo il primo cittadino della corsa delle bighe. Poi arrivano i crolli e veniamo a sapere che, guarda caso, non ci sono i soldi per fare la normale manutenzione.

Il problema è sempre il solito. La pubblica amministrazione viene sistematicamente demolita dai fondamentalisti liberisti che ci governano e da un’opposizione imbelle. Stanno distruggendo le scuole e l’università pubblica, i tagli alla sanità sono ininterrotti; il patrimonio pubblico viene svenduto a pochi soldi. Nel silenzio della politica del palazzo si stanno trasferendo ricchezze dal pubblico al privato: prospera infatti l’istruzione pubblica, le cliniche private ricevono sempre maggiori finanziamenti e il patrimonio immobiliare dello stato andrà a pochi immobiliaristi.

Il gioco è pericolosissimo, perché rischia di minare lo stesso ruolo dello Stato nel nostro paese. Ma è un gioco che fa comodo a molti. A conferma della crisi che attraversa l’Italia vale la pena di riportare dalla stessa pagina del mattino il giudizio entusiasta espresso dalla presidente degli albergatori Rosita Matrone che afferma: “Nel 2008 presentammo come associazione un progetto simile all’ex soprintendente Pietro Guzzo. Proponemmo di realizzare una passeggiata a cavallo all’interno degli scavi. Guzzo non ci ha mai risposto, solo perché, all’epoca, la soprintendenza si è sempre dimostrata chiusa verso le proposta e che arrivano dall’esterno”. Il problema dello sfascio dell’Italia è dunque riconducibile alla rigidità dello stimatissimo ex soprintendente Guzzo.

Una comoda scorciatoia che nasconde le mire sulla privatizzazione di alcuni servizi di Pompei e di parti dell’area archeologica che da tempo sta prendendo forza. Di fronte all’incapacità delle amministrazioni pubbliche a svolgere funzioni “normali”, la soluzione del potere politico ed economico è soltanto quella di demolire ancora di più uno Stato in declino. C’è invece da cimentarsi con il tema difficilissimo -a causa dei guasti che tocchiamo quotidianamente con mano- della ricostruzione delle amministrazioni pubbliche. Tagliando sprechi e inefficienze, ma mantenendo gelosamente le prerogativa di delineare un futuro di cultura e bellezza e non di speculazioni e corse delle bighe.

La gestione emergenziale promette ovunque servizi che non ci sono

Conchita Sannino – la Repubblica

E di rischi trattenuti già a lungo sotto lo stesso cielo archeologico, su cui si posa adesso la carezza autoassolutoria di un ministro. «Ma perché le pietre di un cedimento archeologico sono coperte? Forse per nascondere i pezzetti di affreschi, per raccontare balle? Mah, sarebbe come se a L´Aquila avessero coperto le macerie», sbotta un esigente Pietro Armeni, veneto, al seguito di famiglia ed amici, uno dei 3770 visitatori di ieri, una media ben inferiore agli altri mesi autunnali e agli altri periodi storici. Ma certo: per il fato ostile di un giorno, colpa dell´inverno malinconico che sembra d´un tratto non rispondere più alle invitanti rappresentazioni di Pompei risorta, come dovevano attestare i 79 milioni di euro spesi negli ultimi due anni e mezzo.

Denaro mirato in gran parte su spettacolari concerti, iniziative di promozioni, efficaci promozioni, assai meno per il monitoraggio dei rischi e la messa in sicurezza del sito. È oltre queste transenne che, in una domenica livida, i turisti assaporano il gusto di affacciarsi su macerie millenarie e insieme freschissime. Chissà che lì intorno, anzi lì sotto, nella vertigine tra i crolli di ieri e di oggi, non si aggiri furioso il fantasma di Crescenzio, gladiatore cui inneggiavano le scritte sui muri "parlanti" della città antica, lo stesso atleta che l´eruzione avrebbe sorpreso con la nota dama dal collier di smeraldi, ingioiellata di troppi monili per essere lì, alla settima ora, più o meno l´una del pomeriggio del 24 agosto dopo Cristo, nel quadriportico di Porta di Stabia. Lo racconta anche ieri Mattia Buondonno, la guida dei record, il "Philipe Leroy" degli Scavi che suscita le emozioni dei visitatori illustri, da Bill Clinton al lupanare a Mel Gibson che gli parla in aramaico, da Meryl Streep al matematico Nash che gli faceva, in ogni casa, sempre la stessa domanda.

Ma è abbacchiato anche lui, stavolta. Dallo stesso ingresso da cui, ogni giorno, "Philipe Leroy" dipana la sua favola per cultori e turisti, comincia invece una storia triste, forse preoccupante. Partendo dal Teatro Grande furiosamente rifatto in pochi giorni e tante notti di lavoro dallo staff della Protezione civile. La visita al cuore malato di Pompei.

Proprio a ridosso del teatro, ecco lo spreco e l´abbandono, insieme. Lo spreco di quei grandi prefabbricati trasformati in eterni camerini per attori, lasciati lì, impatto non sostenibile al costo di alcuni milioni di euro, che adesso insistono sull´area del Quadriportico. L´abbandono è quello, a pochissimi metri, dei graffiti antichi, uno di un gladiatore, l´altro raffigura una nave, che stanno sui muri come duemila anni fa: zero copertura sulla parete, zero protezione. Ancora più avanti, prima di svoltare sulla via di Stabia, ecco le assi di legno che chiudono alcuni accessi, sghembe, pericolose, chiodi in evidenza. Sono anomalie su cui indaga, da tre mesi, la Procura della Repubblica di Torre Annunziata. Che stamane, tra l´altro, aprirà un fascicolo «dovuto» sul crollo della Schola Armaturarum. «Il disastro riporta con i piedi per terra lo Stato, ammesso che lo voglia vedere - spiega Biagio De Felice, architetto, voce della Cgil nel grande parco archeologico -. Ci avevano imposto finora la Pompei delle emergenze, poi quella delle apparenze, con decine di milioni spesi nella sola comunicazione. Qui non si tratta di individuare capri espiatori, perché la gestione della Protezione civile, tra sprechi e opinabilissime scelte, ha migliorato alcuni servizi. Qui si tratta di capire quali sono le priorità e a quale prezzo "vendere", o fingere di vendere, il prodotto Pompei. E infine: a beneficio di chi?».

Il denaro speso in questi anni, a sentire De Felice, «ha svuotato la cassa della Soprintendenza, non un soldo dal governo». Prima le gare ad evidenza pubblica dell´allora commissario Renato Profili, l´anziano prefetto poi "destituito" senza motivazioni ufficiali e morto un anno fa; poi la gestione del supercommissario Marcello Fiori e del suo gruppo, uno staff non privo di competenze irrituali, come quella del geometra Nicola Mercurio, già autista del ras del Pdl campano, Nicola Cosentino, e poi capogruppo di quel partito nel piccolo centro di Sant´Antonio Abate, dove almeno grazie a Mercurio arrivavano un po´ di fondi per i resti romani dell´antica Villa in paese. Pazienza se gli archeologici avevano immaginato addirittura di seppellirlo di nuovo, quel sito, pur di non disperdere i fondi in troppi rivoli.

Invece. «Pompei viva», recita continuamente la scritta scolpita nel bronzo dei cancelli nuovi, levigati e bruniti, sugli ingressi di casa del Menandro o dei Casti Amanti, uno slogan che resta il timbro della gestione commissariale, dei poteri in deroga e di una managerialità controversa sulla gestione di materia delicata come la città disabitata, eppure viva, dei pompeiani. Ma basta inoltrarsi lungo gli altissimi lastroni, avanzare sul cocciopesto vero delle antiche dimore o su quello finto prodotto dallo staff dell´ultima gestione romana, e ti accorgi che le Pompei sono due, almeno. Una è la versione patinata, un po´ hollywood, un po´ Adro per via di quel simbolo «Pompei Viva» ripetuto ossessivamente sugli spazi riaperti, stesso titolo della Fondazione (omonima) che non c´è ancora, e di un pacchetto di distinte e affascinanti fruizioni che non ci sono (ancora). L´altra, è la Pompei che si ripiega, a rischio di sbriciolamento.

Alla Regio VI, tredicesima insula, altre quattro assi in legno fradicio ostruiscono il passaggio a una casa. Otto metri oltre, è l´insula XII a denunciare il bisogno di consolidamento: la lunga colonna che sostiene il piano superiore appare gravemente lesionata, il blocco appare letteralmente spaccato in più parti eppure miracolosamente regge: sta in piedi grazie alla forza di gravità che ne impedisce il collasso orizzontale. Ma se arrivasse una scossa di terremoto, neanche tanto elevata di grado, sicuramente queste pietre rotolerebbero giù. Per fortuna, il vulcano non gioca.

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