Sarà per il bianco panama del conte Carandini, ma le fotografie del sopralluogo pompeiano del nuovo ministro della cultura evocano (non senza ironia) le immagini dei ricchi e distratti milordi che passeggiavano tra le rovine alla fine del Settecento, in una tappa del loro Grand Tour. La sensazione di spaesamento aumenta quando si leggono le dichiarazioni di Carandini, il quale si dice finalmente «ottimista»: e non c'è da stare allegri se l'ottimismo del reintegrato presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali si basa sulle contemporanee esternazioni di Galan, il quale si guarda bene dal citare il contenzioso con Tremonti e preferisce invocare l'intervento dei privati (notoriamente in fila col libretto degli assegni), citando a mo' di esempio l'impegno del candidato Lettieri a sponsorizzare ben tre domus (!).
Eppure qualche segnale positivo c'è davvero. Proprio di fronte alle rovine della schola armatorum Sandro Bondi cercò di dar la colpa del crollo agli archeologi della Soprintendenza, e invocò la messianica figura di un manager e la taumaturgica realizzazione di una fondazione. Oggi, il suo successore Giancarlo Galan dichiara che l'idea della fondazione non lo entusiasma per nulla, perché non ne vede i vantaggi, e che ritiene invece necessario assumere subito trenta archeologi e quaranta tecnici specializzati. Chissà se il dilettantismo dei milordi lascerà spazio ad una vera politica della tutela, ad un vera progettazione di un'economia della tutela. Se lo facesse, Pompei potrebbe diventare un laboratorio per tutto il Paese.