IGiandomenico Crapis il manifesto, 20-21 novembre 2016
DALLA CARTA NATA DALLA RESISTENZA
ALLO STATUTO ALBERTINO
di Mario Agostinelli e Giuseppe Vanacore
«Referendum. Se vince il sì alle riforme, alla camera siederanno deputati di regia, scelti dal governo e dai capipartito. E il nuovo senato non elettivo indebolirà i diritti sociali»
In base alla superiorità della Camera «elettiva» e l’invenzione di un senato di nominati (camera di seconda mano) senza legittimazione territoriale diretta, come si attuano i diritti sociali che la Costituzione ha programmato nella prima parte e ha posto in gestione a istituzioni locali autonome, partiti e forme associative riconosciute nella seconda? Uno stravolgimento che determina la definitiva soluzione di continuità con l’attività legislativa costituzionalmente orientata e che a partire dagli anni ’60 aveva prodotto la legge sul divieto di licenziamento (legge 604/66); lo Statuto dei lavoratori (legge 300/700); la riforma delle Autonomie locali (legge 382/75); l’abolizione dei manicomi (legge 180/78); la riforma delle pensioni, la riforma sanitaria (legge 833/78). Tantissime le norme che condizioneranno in senso negativo il nostro sistema democratico, con dissimulazioni che talvolta appaiono come un vero e proprio raggiro.
Innanzitutto non è vero che si abolisce il bicameralismo: è vero altresì che il senato non è più elettivo. La ragione non emerge mai con chiarezza nei dibattiti: eppure è semplice: l’articolo 57 della Costituzione attuale afferma che i senatori sono eletti a suffragio universale su base regionale.
Questa norma impedisce una legge elettorale con un premio di maggioranza a livello nazionale. Ed è per questa ragione – di inconsistenza di rappresentanza – che Renzi è approdato alla decisione di abolire l’elezione diretta del senato, prevedendone invece la nomina da parte dei consigli regionali. Ogni funzione del senato sarà così di puro complemento alla dinamica partitico-politica in corso in quel momento, senza alcun collegamento con la rappresentanza diretta e l’autonomia dei territori.
Con questa riforma costituzionale i livelli essenziali (non minimi!) di assistenza (Lea), enucleati della riforma sanitaria e posti a presidio del diritto alla tutela universale della salute (art. 32 Cost.) non assurgono a criterio costituzionale e si riducono a una scaramuccia tra il governo centrale e regionale all’atto della finanziaria.
Fuorviante l’obiezione che elevarli a tale rango rischierebbe poi di limitarli, perché è noto che i Lea rappresentano la garanzia di uguaglianza su tutto il territorio nazionale, tanto che un domani di fronte a tentativi di tagli – come è già successo – costituirebbero una robusta difesa e un argine invalicabile sotto il quale non sarebbe possibile andare. E’ bene sapere che il vincolo del pareggio di bilancio in costituzione vuol dire, invece, che l’esercizio di diritti fondamentali dipenderà dalle risorse correnti disponibili, mentre l’individuazione delle prestazioni sanitarie e sociali essenziali verrà affidata semplicemente ad un provvedimento amministrativo di competenza del governo, con una funzione solo residua e caritativo-compensativa delle Regioni. Sanità a gogò e privatizzazioni quindi, come voleva Formigoni.
Con l’alibi della semplificazione, si affidano alla legislazione esclusiva dello stato, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale della energia (materia finora concorrente), nonché le infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione. Anche il governo del territorio diventa di competenza esclusiva dello stato, così come la tutela e la sicurezza del lavoro (applicatelo alla TAV o alla discarica delle scorie, all’Ilva o a Seveso!).
Di fatto alle Regioni – a parte pochi residui – non spetterà la potestà legislativa sulla generalità delle materie: morte quindi all’alternativa di società fatta di «formazioni sociali» e di autonomie che sta scritta nella prima parte della Costituzione.
Ma c’è un’ultima osservazione che non ci deve sfuggire, la guerra. L’innovazione esplicita è che il senato, secondo l’articolo 78 della nuova Costituzione, viene escluso dal partecipare alla deliberazione della guerra e al conferimento al governo dei relativi poteri, in base a una gestione riservata al primo ministro e ai suoi deputati. E ciò è molto strano, perché il senato dovrebbe rappresentare le realtà territoriali (anche se in forme non dirette), dove ci sono le case e i corpi delle persone che più di tutti sarebbero colpiti dalla guerra.
Rendiamoci conto di un tremendo paradosso: rimane il bicameralismo, quello dello Statuto Albertino, ma con un rovesciamento. Con la riforma proposta, la camera dei deputati diventa lei la camera alta. Con l’Italicum in essa siederanno infatti dei deputati di nomina «regia», che cioè saranno nominati dall’alto, ovvero dal governo e dai capipartito, e sarà così assicurata la continuità del potere, e sotto l’ombrello dei minor costi della politica, si farà garante che tutto resti com’è.
Il senato, che si presentava come il punto forte della «riforma» rivela invece la sua funzionalità a colpire la democrazia sociale della Costituzione antifascista. Grazie a Renzi che ci sta dando tutto il tempo per compiacerci del No.
«Il parabolico. Premier Millecanali è riuscito a battere Berlusconi»
L’esposto presentato dal Comitato per il No al referendum costituzionale sulle violazioni della par condicio di questa campagna in corso è davvero il minimo sindacale. La costante negazione di un corretto diritto all’informazione meriterebbe qualche attenzione generale in più. Anche da parte delle forze di sinistra, che talvolta sembrano ignorare la gravità di quello che accade.
Stiamo parlando della torsione filogovernativa di grande parte dei media. Questi ultimi, oggi persino in misura maggiore rispetto all’età berlusconiana, sono diventati una componente di una sorta di sistema politico allargato, piuttosto che un rigoroso contropotere.
Ecco il perché si è sentita l’esigenza di ricorrere allo strumento dell’esposto, cui l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è tenuta a rispondere, e non con qualche richiamo flebile e burocratico.
La legge 249 che istituì l’Agcom introduce meccanismi sanzionatori affidati ad un organismo che si voleva “cattivo” e determinato. La normativa sulla par condicio è aggirata bellamente attraverso la costante presenza nelle reti e nelle testate di Renzi, il quale usa molti travestimenti: statista europeo, presidente del consiglio, leader di partito, esponente di punta del Sì.
È così che salta ogni conteggio delle presenze radiotelevisive. Renzi, infatti, quando parla sembra una star delle telepromozioni, in cui il conduttore del programma a un certo punto apre il siparietto pubblicitario, forte della presa sul pubblico del programma stesso.
Sono forme sofisticate di manipolazione, che le istituzioni preposte alla vigilanza dovrebbero sorvegliare. E punire, quando necessario. Le ultime due settimane prima del voto sono decisive nella formazione dell’opinione elettorale. Ecco, quindi, che si esige un comportamentale adeguato alla bisogna. Adesso, subito. Altrimenti, come già è accaduto in passato, il «riequilibrio» è richiesto a cose fatte.
Un punto, poi, merita un chiarimento. Il concetto di «riequilibrio». Con l’invito a Matteo Salvini, Fazio non pareggia la presenza della scorsa domenica di Renzi. Renzi è il Sì. Salvini, con rispetto parlando, non sintetizza le ragioni del No.
Serviva uno dei costituzionalisti prestigiosi che diedero vita alla campagna contro la revisione della Costituzione. O il presidente dell’Anpi, altrettanto decisivo. La forma è sostanza. E viceversa. O Salvini è una sineddoche, la parte per il tutto? Insomma, la Rai e Fazio non possono cavarsela così. Siamo seri.
«Le mille balle blu. Nei Tg Rai il governo da solo doppia tutti gli altri protagonisti. Dal premier pioggia di insulti: "Non voterei no neanche ubriaco". Il Comitato all’autorità garante: intervenire subito, negli ultimi giorni cruciale un’informazione»
Una presenza del governo in tv «abnorme», una «vistosa violazione delle leggi» sulla par condicio durante le campagne elettorali. È durissimo, ma soprattutto molto dettagliato il nuovo esposto del Comitato per il No che arriva all’Agcom, dopo il «buffetto» imbarazzante che la stessa autorità negli scorsi giorni aveva impartito alle tv in cui dilaga la presenza del fronte del Sì. Soprattutto grazie ai suoi massimi esponenti, premier e ministri. L’esposto, il secondo, è firmato dai costituzionalisti Alessandro Pace e Roberto Zaccaria, e dai rappresentanti del No Alfiero Grandi e Vincenzo Vita. È corredato da tabelle che vale la pena léggere con attenzione per verificare quella che viene definita «la vistosa sovraesposizione del presidente del consiglio e di esponenti del governo nell’informazione diffusa dalla concessionaria pubblica», con particolare riferimento ai principali Tg (Tg1, Tg2, Tg3, RaiNews). Una situazione particolarmente delicata, visto che siamo a meno di due settimane dal voto e cioè nel cruciale momento in cui gli «indecisi» si fanno un’idea di cosa votare. Spesso grazie alla tv.
Il «tempo di antenna», cioè la somma del tempo di notizia e quello di parola, di Renzi e del governo in totale «è superiore al 42 per cento». Nel dettaglio: «Nelle tre edizioni principali dei telegiornali Rai di domenica 13, lunedì 14, martedì 15 e mercoledì 16, il presidente del consiglio ha avuto rispettivamente 62 secondi di tempo di parola, 63 secondi, un minuto e 34 secondi ed un minuto e 22 secondi. Una quantità di tempo di parola che da sola doppia quella totalizzata da tutti gli altri soggetti politici».
Ormai siamo all’ultimo miglio della campagna referendaria. Per questo il Comitato chiede all’Autorità di intervenire «prontamente ed incisivamente» per ripristinare il diritto dei cittadini a «un’informazione imparziale». Anche per evitare il ridicolo delle sanzioni a futura memoria, quelle che arrivano fuori tempo massimo a voto celebrato, grande classico dell’autorità garante dell’era berlusconiana.
Ma se in tv il premier fa un gioco sempre più duro grazie a direttori compiacenti, anche fuori non scherza. I sondaggi, che lo penalizzano (da ieri non sono più pubblicabili) gli suggeriscono di tentare il tutto per tutto per la rimonta. E quindi via a insulti, sarcasmi, sfottò all’indirizzo del fronte del No: altro che «restiamo al merito della riforma», i suoi comizi ormai sono show che finiscono per aizzare gli spettatori contro gli avversari politici. Come ieri a Matera. Il premier ha definito il No «l’ennesima accozzaglia di tutti contro soltanto una persona». Renzi si rivela sempre più un talento da palco: ammiccamenti, persino imitazioni (D’Alema è il bersaglio preferito): «Stanno mettendo insieme un gioco delle coppie fantastico. Meglio di Maria De Filippi. Abbiamo fatto capire a Berlusconi e Travaglio che si vogliono bene a loro insaputa, D’Alema e Grillo, uno che sostiene la politica e uno l’anti politica. E poi Vendola e La Russa», ieri ha detto. Poi però, stavolta a Caserta, gli è toccato fermare i suoi dal cacciare in malo modo un signore che lo contestava. Al grido già sentito (alla Leopolda) «fuori, fuori». Poco prima aveva detto, a proposito dei referendum propositivi: « Se uno vota 5 Stelle come fa a votare No? Nemmeno ubriaco». I deputati M5S replicano a stretto giro: Renzi mette insieme volti diversi?, «Agli italiani basta vedere la sua faccia per sapere quale sia la scelta giusta».
PERCHÉ LA RIFORMA È DANNOSA
DA UNA PROSPETTIVA FEMMINISTA
di "Femministe per una Costituzione Fica"
«Con il nostro No ci uniamo ad altri soggetti insubordinati ed esclusi, a chi cerca vie d’uscita dal precariato, a chi vuole accogliere i migranti e a chi costruisce reti di intimità e cura al di fuori della famiglia nucleare!»
“Il 4 dicembre mi tengo libera. Io voto no”: è uno degli slogan che lanciamo come “Femministe per una Costituzione Fica”. È un invito esplicito a non astenersi e a votare No, perché “questa riforma ci tocca e quando le donne dicono No, è No”.
In cosa il No femminista è diverso dagli altri No
Una riforma come quella proposta ostacola il nostro agire politico come femministe, perché riduce gli spazi di democrazia e confronto. Limita la politica a una questione di governabilità e rafforza i poteri dell’esecutivo, espressione di una minoranza che si fa maggioranza schiacciante e decide per tutti. Come femministe lavoriamo nei territori per avere maggiore partecipazione, per creare alternative all’autoritarismo, al maschilismo che ancora dilaga nei posti di lavoro e nei luoghi della politica, alle misure di austerità che con tagli alle spese sociali e con privatizzazioni colpiscono le donne più degli uomini. Per tutto questo diciamo “no” e da qui partiamo per rinnovare la nostra attuale Costituzione. Sono altre, infatti, le modifiche alla Costituzione che potremmo sostenere: dall’eliminazione del pareggio di bilancio all’inserimento di una chiara formulazione del diritto alla casa, alla riscrittura dell’articolo 29 che definisce la famiglia “società naturale”, fino a chiarire che il lavoro su cui si fonda la Repubblica non è solo quello produttivo, ma anche quello riproduttivo.
I punti più dannosi della riforma da una prospettiva femminista
Con questa controriforma torniamo a una concezione del potere come qualcosa che appartiene a un piccolo gruppo di persone che con una legge elettorale iper-maggioritaria può facilmente ottenere una maggioranza decisiva alla Camera dei deputati (340 su 630 seggi). Sarà solo questa Camera a dare la fiducia al governo e a deliberare lo stato di guerra. Sarà un’artificiosa maggioranza a controllare l’elezione del presidente della repubblica, dei giudici costituzionali e dei membri laici del consiglio superiore della magistratura. In altre parole, non ci saranno contrappesi al “capo” – come lo chiama l’Italicum – che “guida” la lista che vince le elezioni. Il Senato diventerà una farsa, dovendo rappresentare istituzioni territoriali svuotate di ogni autonomia dal governo centrale. L’unica cosa certa è che non avremo più il diritto di eleggere i componenti del Senato. Non si tratta delle “dittatura della maggioranza”, ma dello strapotere di una minoranza. Per di più questa minoranza approverà le leggi secondo procedimenti legislativi molto complessi. Sarà sempre più difficile quindi esercitare alcun controllo politico. Questa riforma infatti parla una lingua burocratica che allontana la cittadinanza dalla cosa pubblica. Noi invece troviamo fondamentale che la Costituzione sia scritta in un italiano facilmente comprensibile a tutte/i.
Il nostro No si coalizza con il No di altri gruppi
Con il nostro No ci uniamo ad altri soggetti insubordinati ed esclusi, a chi cerca vie d’uscita dal precariato, a chi vuole accogliere i migranti e a chi costruisce reti di intimità e cura al di fuori della famiglia nucleare. Non abbiamo niente a che spartire con chi, come Salvini e Adinolfi, strumentalizza questo voto per perseguire campagne razziste e omofobe. Noi ci uniamo a tutte le donne, gli uomini e le soggettività che assumono il conflitto fra i sessi come un terreno per lottare contro altre diseguaglianze e discriminazioni. Diciamo No con chi si batte contro il verticalismo del potere, le facili guerre, il parlamento ostaggio del governo, lo svilimento del diritto di voto, l’aumento dei procedimenti legislativi, i governi di false maggioranze. E poi, non dimentichiamoci, che questa è una riforma voluta da un governo sostenuto da un parlamento eletto con una legge elettorale già dichiarata incostituzionale.
Per noi, questa volta, è importante non astenersi
Quello del 4 dicembre non è un voto per elezioni amministrative o politiche. Per alcune di noi è difficile trovare rappresentanza istituzionale e, quindi, l’astensione o l’annullamento della scheda elettorale può sembrare la scelta migliore. Questo referendum è diverso. Non solo non c’è quorum, ma si vota per respingere una controriforma che, in nome della governabilità e dell’efficienza, renderà l’Italia sempre più facile preda dei biechi interessi, nazionali e sovranazionali, delle politiche di austerità neoliberiste indirizzate dalle grandi società finanziarie come J.P.Morgan o dai gruppi alla Bilderberg. L’attuale Costituzione resta una delle migliori al mondo, per i suoi contenuti, le finalità e anche per la forma. La Costituzione, infatti, deve essere facilmente comprensibile a tutte e tutti in modo che ciascuna possa verificare che venga rispettata e attuata. Una Costituzione illeggibile, quale quella profilata dalla riforma, è utile solo a chi vuole evitare che si rivendichino i diritti e i principi in essa garantiti. Noi vogliamo andare oltre, non possiamo certo tornare indietro.
REFERENDUM, UNA LETTERA APERTA
A FABIO FAZIO
di Giandomenico Crapis
Caro Fazio, Lei è garbato, è simpatico, duetta alla perfezione con Littizzetto, ha varato con scelta indovinata un gradevole talk show con Salemme, Marzullo e Frassica, ha ripreso, sia benedetto, il «Rischiatutto» di Bongiorno. Lei invita gli attori e le attrici che piacciono, gli artisti emergenti, i cantanti che vanno, gli scrittori che vendono, gli sportivi di successo. Con loro la conversazione è piacevole, leggera, divertente, a volte anche interessante. Insomma, Fazio, Lei fa un bel programma, complimenti, e i risultati gliene danno atto. Però quando sceglie di cimentarsi con la politica Lei non funziona più. Di Pietro direbbe che con la politica Lei non ci «azzecca» niente. Tanto che, non di rado, quando invita i politici inciampa, scatena il caso, combina qualche guaio.
Invita Renzi, come la scorsa settimana, in piena par condicio elettorale: una dimenticanza. E l’Agcom l’ha bacchettata. La dimenticanza, perdipiù, è recidiva, infatti era successo anche a maggio scorso: altra ospitata, altra polemica, altro intervento Agcom, perché anche allora c’erano elezioni amministrative alle porte. Ancora: nel 2014 ci sono le primarie Pd per la scelta del segretario. E Lei che fa? Decide di offrire il palcoscenico della sua trasmissione ai candidati: Renzi, naturalmente, poi Cuperlo. Ma dimentica Civati, che però non se la prende più di tanto e le risponde con l’ironia.
Insomma pare proprio che quando Lei ha a che fare con par condicio o campagne elettorali, insomma con la politica, si confonda, sfiori l’incidente, perda d’un tratto quell’equilibrio che invece dispensa altrove con sapienza. Quella che la porta a selezionare per il suo programma un parterre di ospiti sempre nuovi, scelti con cura ed attenzione.
Virtù che smarrisce quando ha a che fare con i politici. Per dire: il premier in un anno è venuto da Lei già tre volte: non le sembra sinceramente un po’ troppo per una trasmissione della domenica sera? Faccia uno sforzo di fantasia e se proprio deve invitarli, questi politici, vada a scovare quelli meno noti, il cui lavoro magari meritevole si svolge lontano dal teatrino e senza riflettori. Le riuscirebbe molto meglio.
Anche perché, poi, Lei è troppo gentile, tanto educato, così poco incline al contraddittorio vivace, per avere a che fare con la politica. Sicchè lo spettacolo non è mai all’altezza: se alla star di turno basta far raccontare qualcosa di sé e dell’ultimo disco (o film, o libro), al politico devi pur rivolgere qualche domandina cattiva, impertinente, guardi che perfino Vespa lo fa. Metterlo, magari un pochino, in difficoltà. Una cosa che non è mai stata nelle sue corde.
La comprendiamo, ognuno ha il suo carattere. Ma se inviti Renzi per fagli fare uno spot per il sì, e l’Agcom ti rimprovera, poi devi invitare per il No un esponente del maggior partito di opposizione, e se non c’è Grillo puoi chiamare pur sempre Di Maio, che è vicepresidente della Camera, o un Di Battista, ma non Salvini. È l’abc del giornalismo. Altrimenti sorge il dubbio che tutto ciò non accada a caso, ma sia il frutto di una strategia. E noi questo non lo vogliamo pensare.
Veda Fazio, Lei ci piace molto quando fa quello che sa fare, meno quando si mette a fare cose che non sa fare. Ci perdoni l’impertinenza se ci permettiamo di rivolgerLe, con sincerità ma con affetto, un dolce rimprovero: lasci perdere la politica. Non fa per Lei.