il manifesto, 24 novembre 2016
Lo schieramento dei media, messo in campo dal governo per orientare l’esito del referendum, è impressionante. Le distorsioni cognitive ricercate dai canali dell’informazione sono palesi ed evocano consuetudini manipolatorie d’altri tempi.
La confezione dei telegiornali obbedisce ad una precisa strategia di persuasione per la determinazione delle preferenze di voto. Nelle reti pubbliche si raggiunge un livello pervasivo di propaganda a favore del capo di governo (l’unico che è ripreso mentre parla ad un pubblico che plaude) e di annebbiamento delle altre posizioni in campo (quasi mai associate a manifestazioni con gente in carne ed ossa). L’uso manipolatorio dei media rientra nel clima di un plebiscito che accarezza la maggioranza silenziosa disponibile all’acclamazione.
Nelle reti pubbliche senza alcuna garanzia di contraddittorio, Renzi monopolizza qualsiasi spazio dell’informazione per cercare una estrema resistenza al potere.
I servizi dei telegiornali riprendono il capo solitario che parla, gesticola, imita, insulta. E per un tempo illimitato è lui solo che recita e occupa la scena di qualche teatro tramutato in un non-luogo che ovunque mostra le stesse scatole. All’esibizione del leader, riprodotta in video per interminabili secondi, segue un minestrone, con un infinito collage di citazioni spesso banali dei nemici. Lo schema è ben collaudato: la prima notizia è sempre il capo che, nella sua ubiquità, si propone come simbolo di vivente energia, contro tutti gli altri, richiamati solo in un secondo tempo con l’assemblaggio pigro di anonime veline.
Non è casuale questo impianto scenografico che si ripete ossessivamente grazie alle telecamere amiche che seguono ogni spostamento del premier e possono farlo solo mescolando con astuzia funzione politica e carica di governo. L’accozzaglia, di cui parla Renzi, non è più un concetto astratto, un mero simbolo polemico. Diventa una immagine tangibile e viene mostrata nella sua concretezza dal servizio della Rai che obbedisce a una logica. Solo il capo parla con la sua voce, gestisce i tempi del suo intervento, gli altri che si oppongono sono rumori di fondo riprodotti in un minestrone, spesso insignificanti.
Renzi monopolizza l’intero tempo del si, mentre il minutaggio del no è distribuito in una miriade di voci che vengono ad arte moltiplicate perché così suscitano confusione, eccentricità. E spesso nel calderone delle altre posizioni compare anche Alfano, con il suo sì che inopinatamente si trova ospitato nel calderone dedicato al no. Dietro questa scelta confusionaria risiede una strategia ponderata.
Il capo, con la voce autonoma che si esibisce ovunque, e il coro di voci anonime che fanno da contorno: questo è lo schema. Se a vincere la contesa sarà proprio l’anonimo no, con il coro degli insignificanti attori non protagonisti, a dicembre si realizzerà un miracolo politico. Cioè si avrà una di quelle inattese prove di resistenza popolare al conformismo del potere destinata a fare epoca negli studi di comunicazione. Gli osservatori internazionali non dovrebbero perdere l’occasione di sorvegliare in presa diretta come in una democrazia squilibrata si prova la costruzione di un regime personale.