Non ci sono i soldi, ma i lavori del Mose accelerano. Il giorno dopo l’avvio ufficiale del cantiere, con l’occupazione da parte della ditta Mantovani (Consorzio Venezia Nuova) dello spazio acqueo davanti a Punta Sabbioni, la polemica non si placa.
«Si fanno forzature proprio quando il Comune chiede con un ordine del giorno di sospendere i lavori e il Cipe taglia i finanziamenti statali», accusa il deputato dei Ds Michele Vianello. Intanto il Magistrato alle Acque ha stanziato un milione di euro per una polizza che garantisca le future dighe da «attacchi terroristici». Da innocuo braccio di laguna, le tre bocche di porto potrebbero diventare una centrale appetibile per azioni terroristiche con macchinari, edifici e cabine di regia per il sollevamento delle paratoie. Un cantiere che durerà dieci anni e bloccherà in buona parte la navigazione e gli spostamenti dei mezzi in laguna.
Intanto da ieri l’area vicina a Punta Sabbioni è stata consegnata (per tre anni) alle imprese del Consorzio. Che la occuperanno con una trentina di draghe, motopontoni, rimorchiatori. Secondo il progetto dovranno costruire nel canale di Treporti, a ridosso della diga di Punta Sabbioni, due porti rifugio per consentire alle imbarcazioni di entrare in caso di maltempo con le paratoie sollevate. Un’opera che non era prevista nel progetto definitivo, aggiunta al Comitatone dello scorso anno. Perché cominciare dalla fine? «E’ chiaro che è partita una corsa per vedere chi fa prima», dice Pietrangelo Pettenò, capogruppo di Rifondazione, «credo che sia il momento di fare qualcosa. Il sindaco adesso deve andare a Roma e non muoversi di là finché il governo non convoca il Comitatone e accoglie le richieste del Comune». Richieste inascoltate da un anno e mezzo, che secondo il Consiglio comunale dovevano costituire «condizioni vincolanti per l’approvazione del progetto». Il Comitatone (con il voto favorevole del sindaco Costa) ha approvato non soltanto il progetto ma anche l’avvio dei lavori di costruzione del Mose, nonostante la progettazione non sia ancora ultimata, siano pendenti ricorsi sulla mancanza di Valutazione di impatto ambientale, e non siano certi i finanziamenti. «Il pre-Cipe ha bloccato una serie di grandi opere», spiega Vianello, «perché il governo di centrodestra non è in grado di garantire i flussi finanziari. Alcune opere potrebbero essere sbloccate, se arrivano finanziamenti privati. Ma non è il caso del Mose. Rischiamo di trovarci con i cantieri aperti di un’opera che non sarà mai ultimata».
Mentre il Magistrato alle Acque accelera, le perplessità aumentano. Uno studio dell’Università di Padova ha messo in luce le difficoltà per i basamenti in calcestruzzo di sostenere il peso delle enormi paratoie, dubbi espressi anche da Vincenzo Di Tella, ingegnere della Tecnomare che aveva collaborato con il Consorzio e che ha presentato un progetto alternativo di chiusure. Un’altra alternativa è quella del progetto Arca, per sperimentare con cassoni autoaffondanti la riduzione della sezione delle bocche che dovrebbe ridurre le acque alte senza opere fisse. Infine, il progetto De Piccoli, per portare il porto fuori della laguna. La grande opera è partita, gli appalti assegnati (al Lido lavorerà l’impresa Mantovani, capofila dal Consorzio e titolare di buona parte dei grandi lavori lavori in area veneziana).
«Non si può dare la colpa di tutto al Comune», dice il prosindaco Gianfranco Bettin, «adesso dobbiamo sperare che questo governo che ci ha portato la guerra, i tagli al sociale e le grandi opere cada al più presto. Il Mose distruggerà l’ecosistema lagunare e colpirà a morte la stessa economia portuale e risorse fondamentali della città. Il Comune di Venezia deve reagire a questo atto di prepotenza impugnando ogni strumento a sua disposizione. Intorno a questo nodo va costruita la nuova coalizione che si candiderà a guidare Venezia nei prossimi 5 anni».