«». connessioni precarie, 4 ottobre 2016 (c.m.c.)
Dobbiamo ammetterlo, questa volta il governo ci ha colto di sorpresa pubblicando un dis∫ocial di sua spontanea volontà, dimostrando di non avere ormai nemmeno l’ambizione di assumere le più vaghe sembianze di uno Stato orientato al benessere. Ci riferiamo al recente opuscolo diffuso dal sito investinitaly.com – il portale dell’ICE, l’agenzia per la promozione all’estero e l’internalizzazione delle imprese italiane, in cui compare il logo del Ministero dello Sviluppo Economico – e distribuito a Milano durante la presentazione del piano nazionale Industria 4.0, in cui il governo sfodera tutte le sue migliori carte al fine di attirare capitali e investimenti esteri. Ma quali carte?
Beh, nel mondo c’è chi può garantirsi un posto tra i grandi competitors globali attraverso dei primati tradizionali come le risorse in materie prime, la strategicità della propria posizione geografica, la produzione di sapere, o addirittura puntando sull’innovazione.
Allora l’Italia ha dovuto necessariamente trovare degli altri punti di forza, solidi e credibili, per far sì che i capitali del mondo possano intravedere nella penisola degli scorci di «investibilità» al di là di quella serie di catapecchie romane di cui siamo in possesso e che, lo sanno tutti, non serve proprio a nulla se non a impedire di costruire metropolitane più efficienti e ponti sugli stretti. Non è quella la grande bellezza!
Per fortuna però abbiamo una peculiarità dai tratti imbattibili, siamo un popolo in balia della miseria economica e della precarizzazione crescente, allora perché non smettere di pensare che sia un problema ed elevarlo invece a pregio? Il governo giura che da noi un ingegnere guadagna mediamente 38.500 € l’anno contro i 50.000 € della media europea… Una grande occasione! Se pensavate che impoverire il famoso e famigerato ceto medio fosse un problema, non avevate capito niente. Sono gli altri, tutti quei paesi che stanno messi leggermente meglio e che pur precarizzando i lavoratori, gli danno degli aiuti sociali, che sono un po’ sfigati.
Siccome propinandoci il Jobs Act, ci avevano garantito che la precarietà sarebbe andata a nostro favore, che i voucher avrebbero fatto emergere il lavoro nero e altre amenità di questi generi, ora verrebbe da pensare che ci abbiano accuratamente indebolito a tal punto da far di questo male il nostro punto di forza. Grazie, non ci avevamo mai pensato. La prossima volta che ci proporranno un salario indecente, senza contratto e con un calcio in culo al posto del preavviso di licenziamento, sapremo di essere in realtà baciati dalla fortuna. Beh certo ora che siamo sempre più impoveriti possiamo dire finalmente che investire in India, Vietnam o in Italia sia ormai la stessa cosa.
Noi sì che ci teniamo all’uguaglianza globale delle condizioni. Potremmo dire, senza timore di sbagliarci, che è stata trovata una soluzione più che efficiente al problema della delocalizzazione della produzione delle merci: «mai più Taiwan, ora anche in Italia puoi pagarli come se fossero asiatici»!
D’altronde a Prato sono in corso da anni sperimentazioni in questa direzione. Ma evidentemente dire che siamo un popolo di poveri iperqualificati non è sufficiente, infatti gli investitori non sono scemi e guardano al futuro, non sia mai che subentrino dei diritti e delle rivendicazioni per ottenere migliori condizioni.
Così il governo, per chiudere una volta per tutte la partita con i futuri investitori, gli fa giustamente notare che non c’è alcun pericolo in vista, le condizioni dei nostri lavoratori non potranno che peggiorare, perché il costo del lavoro è aumentato negli ultimi anni in maniera di gran lunga inferiore rispetto al resto di Europa: +1,2% contro la media del +1,7% altrove. Diciamo pure che ce ne eravamo accorti.
Quando il costo del lavoro cresce lentamente, per chi lavora il prezzo di dover lavorare è molto alto. Se a tutto ciò aggiungiamo che un welfare degno di tale nome è ormai latitante da anni, quale miglior investimento della povera, misera, qualificata e sfruttabile Italia? Pensiamo si siano però dimenticati di vantarsi anche della presenza di migranti quotidianamente sfruttati nelle catene di produzione nazionali…ah già, sarebbero sembrati razzisti e crudeli e quello non va affatto bene. Forse così avrebbero rivelato uno degli ingredienti principali di un sistema che tende a precarizzare le persone dividendole in categorie di «sfruttabilità».
Tutto questo dovrebbe andare nel capitolo «valorizzazione del capitale umano». Ciò che si mostra, invece, è il lato volgarmente disumano del capitale, davanti al quale il governo vanta oltre ogni senso del ridicolo la sua politica pro-business. Purtroppo, tanto per ripetere una vecchia verità davanti a tante nuove idiozie, noi non siamo nel business, noi siamo il business.