Centocinquanta persone, lavoratori e attivisti provenienti da Francia, Italia, Regno Unito, Portogallo, Slovenia, Bulgaria, Polonia, Scozia, Svezia, Germania e Belgio hanno partecipato alle tre giornate organizzate dal 21 al 23 ottobre scorsi a Parigi dalla Transnational Social Strike Platform.
Un anno fa a Poznan abbiamo affermato che l’opposizione allo stato presente dell’Europa non può che partire dal rifiuto dello sfruttamento e delle sue condizioni politiche. Quest’anno a Parigi la scommessa è stata quella di fare un passo avanti nel consolidamento della nostra comune infrastruttura transnazionale.
Riconosciamo un movimento dello sciopero che attraversa l’Europa e stiamo lavorando alla creazione delle condizioni per uno sciopero sociale e transnazionale. Per noi lo sciopero è il movimento reale che può sovvertire l’attuale equilibrio dei poteri dentro e fuori i posti di lavoro. Vogliamo consolidare un’infrastruttura politica che consenta di fare di ogni sciopero il momento in cui si intensifica l’insubordinazione del lavoro e in cui lavoratori e lavoratrici possono riconoscersi come parte della stessa lotta attraverso le categorie, le condizioni giuridiche e i confini. Per farlo, dobbiamo costruire connessioni più solide intensificando lo scambio di informazioni, la condivisione dei momenti di conflitto e la definizione di direzioni comuni.
Quattro assi sono stati riconosciuti come centrali e sono stati l’oggetto dei quattro workshop i cui report circoleranno nei prossimi giorni: il controllo logistico sul tempo, applicato nei magazzini così come nel lavoro di cura, nelle piattaforme telematiche e nelle fabbriche; la precarizzazione del lavoro, sostenuta dalle politiche europee attuate in ciascun paese; la gestione del welfare come strumento per imporre ai cittadini e ai migranti l’obbedienza e come spazio di un lavoro di cura precario; le politiche migratorie che mostrano come la questione dell’integrazione abbia a che fare con il lavoro a basso costo e lo sfruttamento, a sua volta intensificato dal ricatto del permesso di soggiorno e dal governo della mobilità.
La sottrazione dei lavoratori della cura svedesi al controllo delle app che misurano il loro tempo di lavoro è legato al rifiuto di quello stesso controllo da parte dei lavoratori dei magazzini di Amazon; la lotta contro la loi travail è un segmento di quella organizzata, in diversi paesi, contro le leggi sul lavoro che seguono le linee guide dell’Agenda 2020 dettata dall’Europa; lo sciopero delle infermiere, delle insegnanti e dei medici specializzandi è parte dell’opposizione ai tagli al welfare portata avanti dagli utenti; l’attraversamento dei confini da parte dei migranti lungo la rotta balcanica è connesso alla lotta contro il razzismo istituzionale che pone i migranti interni e quelli extraeuropei in una condizione di ricatto.
La nostra infrastruttura logistica rende queste connessioni visibili e riconoscibili. In questo senso, essa non è solo un modo di mettersi in contatto attraverso i confini, ma anche di superare i limiti delle iniziative locali attraverso lo sviluppo di un terreno comune. Possiamo vedere tutti i giorni, a livello locale, che anche le lotte vicine nello spazio sono di fatto isolate, perché ciascuna è basata su specifiche rivendicazioni o riguarda specifiche categorie del lavoro ormai desuete. Ma il movimento dello sciopero va al di là dei suoi confini istituzionali.
Per rafforzare la nostra infrastruttura, abbiamo bisogno di costruire il nostro spazio e di prenderci il nostro tempo. Vogliamo trasformare lo spazio europeo, con le sue differenze interne, nel nostro spazio di lotta, sapendo che si tratta di un processo lungo. Ciò significa anche costruire un nuovo linguaggio, un nuovo immaginario e la capacità di intervenire in modo tale da rendere le differenze di cui facciamo esperienza dei punti di forza.