Il manifesto, 20 dicembre 2016 (p.d.)
La norma sulla tracciabilità dei voucher, da poco attivata, non sembra fermare il boom del lavoro a scontrino che integra e a volte sostituisce il lavoro propriamente detto. Il ministro del lavoro Poletti ieri ha detto di aspettare i risultati a partire «dal prossimo mese. Se i dati ci diranno che anche questo strumento non è sufficiente a riposizionare correttamente i voucher la cosa che faremo è rimetterci le mani».
Il pressing della sinistra Pd sul governo Gentiloni continua, mentre incombe la decisione della Consulta sui referendum della Cgil su voucher, articolo 18 e appalti. «Dietro questi voucher dilaga una forma di precarietà indifendibile che colpisce i più deboli – sostiene Roberto Speranza che si è candidato alla segreteria del Pd – In Parlamento c’è già una buona proposta. Non si può più aspettare». «Occorre tornare allo spirito e alla lettera della legge Biagi – sostiene Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro del Senato – Sull’articolo 18, infine, la situazione è più complessa: sarebbe prioritario concentrarsi sui temi dei licenziamenti disciplinari, di quelli collettivi e del mantenimento dell’articolo 18 nel caso di cambio di appalto».
«Sui voucher questo strumento non ci possono essere interventi correttivi o migliorativi: l’unica soluzione è l’abolizione che dovrebbe fare il Parlamento. In caso contrario si vada al referendum» sostiene Arturo Scotto (Sinistra Italiana). «Poletti dice anche che il jobs act fa bene al Paese e non vede motivi per i quali si debba modificare. Per fortuna li vedono gli italiani e li vedranno anche nelle urne» aggiunge Pippo Civati (Possibile).
Il monitoraggio dell'Inps permette di analizzare altri aspetti decisivi del Jobs Act che il neo-presidente del consiglio Gentiloni «non ha nessunissima intenzione di cambiare sull’articolo 18». Continuano a calare le assunzioni a tempo indeterminato senza articolo 18, il settore sul quale sono stati investiti almeno 11 miliardi di euro in sgravi contributivi triennali alle imprese. Dopo il taglio degli incentivi (da 8.040 a 3.250 euro per neo-assunto) questa tipologia di contratti ha registrato una diminuzione di 492 mila unità, pari a –32% rispetto ai primi dieci mesi del 2015.
Nel 2016 le assunzioni con esonero contributivo biennale sono state 323 mila, le trasformazioni dei rapporti a termine che beneficiano del medesimo incentivo ammontano a 117 mila, per un totale di 440 mila rapporti di lavoro agevolati, il 33,9% delle assunzioni/trasformazioni a tempo indeterminato. Rispetto al 2015, la differenza è enorme: il rapporto era pari al 60,8%. Gli incentivi continueranno fino al 2018. Le imprese del Sud li incasseranno a pieno titolo anche nel 2017.
Crescono i licenziamenti tra chi ha un contratto a tempo indeterminato, in particolare quelli per giustificato motivo oggettivo e quelli per giusta causa: i primi sono passati dai 380.292 dei primi dieci mesi del 2015 ai 399.613 del 2016; i secondi da 47.728 dello scorso anno ai 60.817 di quest’anno. I licenziamenti complessivi sul tempo indeterminato (507 mila) sono in aumento rispetto al 2015 (490 mila) e diminuiscono rispetto a due anni fa (514 mila). L’obbligo alle dimissioni on line abbia inciso su questo andamento.
Aumenta il precariato che resta la forma dominante del mercato del lavoro. Lo si vede dai numeri assoluti. Il totale delle assunzioni a tempo indeterminato, a termine, apprendistato o stagionali avvenute nel settore privato sono state 4 milioni e 833 mila nei primi dieci mesi del 2016. I contratti a tempo determinato sono 3 milioni e 106 mila, in aumento sia sul 2015 (+4,9%), sia sul 2014 (+7,6%). Le assunzioni con un contratto in apprendistato sono aumentate di 38 mila unità (+24,5%).
La ricetta del jobs act è un assistenzialismo statale alle imprese in un’economia senza domanda. Questa è l’eredità che il renzismo ha lasciato al governo senza Renzi: crescita dilagante del precariato dentro e fuori il perimetro del lavoro subordinato e un trasferimento di ingenti risorse pubbliche alle imprese.
Il 75% dei nuovi rapporti di lavoro sono precari. Questo è il calcolo della Fondazione di Vittorio (Cgil), confermato anche dal nuovo report dell’Inps. «Il Jobs Act è una ricetta amara e sbagliata – sostiene Tania Sacchetti (Cgil) – non produce occupazione di qualità, dispensa meno diritto, tutele nel lavoro e lascia piena discrezionalità alle imprese».