«». Il PaesedelleDonne online, 24 febbraio 2017,
Trani – Fu un infarto a ucciderla, ma la morte di Paola Clemente, la bracciante agricola 49enne di San Giorgio Jonico scomparsa mentre lavorava all’acinellatura dell’uva sotto un tendone nelle campagne di Andria il 13 luglio del 2015, non è stata vana. L’inchiesta, aperta all’indomani della denuncia da parte del marito e della Cgil, è arrivata a una svolta. Sei persone sono state arrestate nel corso di un operazione della guardia di finanza e della polizia coordinate dal magistrato tranese Alessandro Pesce. Truffa ai danni dello Stato, illecita intermediazione, sfruttamento del lavoro: la nuova legge contro il caporalato non ha fatto sconti. Se fosse entrata in vigore prima, probabilmente il numero delle persone in manette sarebbe stato più alto.
In carcere sono finiti Ciro Grassi, il titolare dell’azienda di trasporti tarantina che trasportava in pullman le braccianti fino ad Andria; il direttore dell’agenzia Inforgroup di Noicattaro, Pietro Bello, per la quale la signora lavorava; il ragioniere Giampietro Marinaro e il collega Oronzo Catacchio. Stessa sorte anche per Maria Lucia Marinaro e la sorella Giovanna (quest’ultima ai domiciliari). La prima è la moglie di Ciro Grassi, indagata per aver fatto risultare giornate fasulle di lavoro nei campi con lo scopo di intascare poi le indennità previdenziali, e la seconda avrebbe lavorato nei campi come capo-squadra.
Nel corso delle indagini furono acquisiti nelle abitazioni delle lavoratrici in provincia di Taranto carte e documenti in cui sarebbero emerse differenze tra le indicazioni delle buste paga dell’agenzia interinale che forniva manodopera e le giornate di lavoro effettivamente effettuate dalle braccianti. Dai documenti era emersa una differenza del 30 per cento tra la cifra dichiarata in busta paga e quella realmente percepita da alcune lavoratrici. Le braccianti sfruttate nei campi – secondo la Procura di Trani – percepivano ogni giorno 30 euro per essere al servizio dei caporali per 12 ore: dalle 3,30 del mattino, quando si ritrovavano per essere portate nei campi a bordo dei pullman, alle 15.30, quando ritornavano a casa dopo essere state al lavoro tra Taranto, Brindisi e Andria.
L’inchiesta non riguarda la morte della donna, sulla quale è in corso una consulenza di un docente di medicina del lavoro che dovrà accertare se vi sia stato nesso di causalità tra decesso e superlavoro, ma lo sfruttamento di Paola e di oltre 600 braccianti. Le vittime dello sfruttamento – secondo l’accusa – sono donne poverissime con figli da sfamare e mariti spesso senza lavoro, in molti casi ex lavoratori dell’Ilva di Taranto. Quello che più colpisce delle 302 pagine del provvedimento restrittivo è la straziante confessione di alcune braccianti, sfruttate e sottopagate dall’agenzia interinale.
Una donna racconta agli inquirenti che un giorno, sul pullman, nel momento in cui venivano distribuite le buste paga, «alcune donne si sono lamentate dei giorni mancanti e G. ha detto che noi lo sapevamo, quindi non dovevamo lamentarci. Nessuna ha più parlato, anche perché si ha paura di perdere il lavoro. Anch’io adesso ho paura di perdere il lavoro e di essere chiamata infame. Ho un mutuo da pagare, mio marito lavora da poco, mentre prima stava in cassa integrazione. Dovete capire che il lavoro qui non c’è e che perderlo è una tragedia. Quindi, se molte di noi hanno paura di parlare è comprensibile».
Un’altra fa mettere a verbale al pm Alessandro Pesce che «se fai la guerra perdi, perché il giorno dopo non vai più a lavorare». E una sua collega aggiunge: «Per noi 32 euro al giorno sono necessari per sopravvivere». Testimonianze coraggiose che commuovono il procuratore tranese Francesco Giannella: «Nell’indagine è emerso – spiega – che il caporalato moderno si è concretizzato esclusivamente attraverso l’intermediazione di un’agenzia interinale. E’ una forma più moderna e più tecnologica rispetto a quella del passato». Ma il motore che lo alimenta è sempre lo stesso:«L’assoluta povertà delle braccianti che vedono nei caporali i loro benefattori, anche se questi le sorvegliano pure quando vanno in bagno e bacchettano se non lavorano bene».
Paola Clemente, è emerso, era stata assunta da un’agenzia interinale ma non era stata sottoposta, o quanto meno non risulta, a una visita medica. Poi, la svolta. Dopo un’inchiesta di Repubblica e l’intervista al marito di Paola, la Procura di Trani decise di riesumare il cadavere. L’autopsia accertò che si era trattato di una “sindrome coronarica acuta”. La donna, stabilirono gli esami eseguiti dal medico legale Alessandro Dell’Erba con il tossicologo Roberto Gagliano Candela, era affetta da ipertensione (che stava curando) e da cardiopatia.
Durante l’ultima assemblea della Cgil a Taranto alla leader della Cgil, Susanna Camusso, fu consegnata una copia rilegata della legge in materia di contrasto al fenomeno di caporalato che il segretario generale della Cgil Bat, Giuseppe Deleonardis, volle dedicare proprio a Paola Clemente. La sua fu, ha ricordato, fu una battaglia a favore dei diritti dei lavoratori costretti a vivere nei ghetti e quelli vittime del caporalato, che ha portato a un’accelerata verso la stesura e l’approvazione della legge contro i caporali perché, disse, «se c’è un lavoro sfruttato e schiavizzato, c’è un impresa che sfrutta e schiavizza».
Immancabili le reazioni politiche. A cominciare da quella della presidente della Camera, Laura Boldrini, che spera che la nuova legge sul caporalato «si dimostri una risposta efficace per debellare una forma di schiavismo intollerabile». «La tragedia di Paola Clemente – dice il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina – è ancora viva in tutti noi e la nuova legge contro il caporalato ha segnato un punto di svolta».