Analisi del malessere crescente che porta in piazza migliaia di persone di provenienza diversa. Articoli di Claudia Fornasier e Alon Altaras. Corriere del Veneto online e il Fatto Quotidiano, 3-4 luglio 2017 (m.p.r.)
la Nuova Venezia, 4 luglio 2017
GLI SQUILLI DELL'ALTRA VENEZIA
di Claudia Fornasier
La prima volta è stato il funerale di Venezia, nel 2009, un po’ protesta, un po’ goliardia, con qualche decina di persone. Sette anni dopo, alla protesta dei carrelli della spesa (organizzata dai giovani di Generazione 90), i veneziani in manifestazione erano 500 e altri 500 al corteo dei trolley e a quello delle lenzuola appese alle finestre dei palazzi, con lo slogan «Venezia è il mio futuro». Domenica i cittadini che sono sfilati tra le calli al grido di «mi no vado via» erano quadruplicati. In mezzo c’è stato il contestato referendum sulle navi fuori dalla laguna, organizzato dai No Nav, con i suoi 18 mila partecipanti. Per qualcuno sono i «nemici» della giunta Brugnaro, per altri la sinistra nostalgica, i reduci del movimento ambientalista. Loro si definiscono la città che resiste. Può darsi non siano rappresentativi di tutti i veneziani, ma sono il segnale di un malumore crescente e insieme di una spinta civica che non può essere liquidata con il timbro di «opposizione».
Domenica in corteo c’era la sinistra ma anche la destra, proprietari di immobili, architetti, professionisti, dipendenti pubblici e gente che lavora nel turismo, pensionati, separatisti, anti separatisti, partigiani, artigiani, accomunati dal sentirsi ogni giorno più orfani di un tessuto sociale ed economico che possa definirsi «cittadino». Venezia non è l’unica città a soffrirne. Tutte le capitali dell’arte, soprattutto con centri storici piccoli, devono affrontare il paradosso di vivere e di «morire» di turismo. La città d’acqua ne è l’avanguardia, per i suoi numeri micro (l’estensione) e macro (29 milioni di turisti l’anno), per la rapidità con cui il fenomeno si espande alle isole e a Mestre, dove già scarseggiano le case in affitto a favore di Airbnb. E i proprietari non sono certo stranieri. Mille a protestare, gli altri 49 mila a fare il check-in del b&b ha titolato Lo Schitto, giornale satirico popolare nei social network. Alla velocità di espansione del turismo non corrisponde la velocità delle idee e degli atti amministrativi adatti a gestire i nuovi fenomeni, per trovare un equilibrio tra l’immensa ricchezza che porta a tutta la Città metropolitana e gli effetti da tornado su attività storiche, affitti, prezzi, artigianato.
Il governo non ha ancora indicato una strategia complessiva per le città d’arte e le loro specificità. La Regione ha votato una legge sul turismo adatta al Veneto ma non a Venezia. Il Comune ha mosso i primi passi con la delibera sul blocco dei cambi d’uso, ma con una lista di eccezioni così ampia da renderla meno coraggiosa di quanto poteva essere. Perfino l’Unesco di fronte alla complessità del problema e alla realizzabilità delle ipotesi in campo ha preso tempo... due anni. Ma tempo rischia di essercene poco. Perché rispetto ai grandi dibattiti del passato, oggi non c’è un progetto di Città metropolitana e c’è il quinto referendum per la separazione di Venezia e Mestre alle porte, a cui sempre più cittadini guardano come tentativo in extremis (qualcuno sì di interrompere l’esperienza Brugnaro) di risolvere il problema del turismo, con una sorta di autogestione.
Venezia, Pisa, Napoli, Palermo sono, nella maggior parte dei casi, patrimonio dell’Umanità e non mi riferisco tanto a un’etichetta formale, a uno statuto dato da un’organizzazione mondiale, ma a una realtà tangibile e visibile che tutti i visitatori, istruiti o meno, sentono.
Venezia non è di Brugnaro. Una vittoria politica è un fenomeno passeggero, di breve durata, mentre il danno che fa l’entrata in laguna delle grandi navi (una visione inquietante, poiché sono alte quasi quanto il campanile di San Marco) è permanente, colpisce le rive, erode le fondamenta dei palazzi, dei monumenti che sono la ragione per cui il mondo viene a vedere Venezia.
Negli ultimi due anni, da quando si è insediato il sindaco attuale, 1.600 persone hanno lasciato la città, proprio quel Brugnaro che aveva promesso di riportarne 30mila: una fake promessa, la chiamerebbe Donald Trump nei suoi tweet notturni.
Sei anni fa ho lasciato Tel Aviv per vivere a Venezia. Già dai primi giorni mi aveva colpito vedere, nella vetrina di una farmacia a pochi metri dal monumento di Goldoni in campo San Bartolomeo, le cifre che indicavano il numero degli abitanti di Venezia. Mi pare fossero 60mila. Oggi quella vetrina segnala che ce ne sono meno di 55mila. Ma duemila dei suoi cittadini, domenica 2 luglio hanno deciso di ribellarsi ad una visione della città che di fatto li vuole allontanare.
Una cinquantina di associazioni: Fai, Italia Nostra e Confartigianato, coordinate da Venezia mio futuro, è partita dall’Arsenale (sì, quell’Arsenale da cui uscivano le galee e galeazze della Serenissima) per arrivare non lontano dal Palazzo Ducale. Duemila cittadini che hanno gridato “non vogliamo andare via”, “basta alberghi a Venezia”, “più residenti meno turisti”. Si è trattato di una manifestazione pacifica con un chiaro messaggio all’autorità politica: fermatevi! guardate bene ciò che amministrate: non è un casinò, né un cantiere edile o una squadra di pallacanestro!