il manifesto, 28 maggio 2017 (m.p.r.)
L’imprenditoria buona che crea lavoro dignitoso e quella «mercenaria» preoccupata solo del profitto. Il lavoro come «riscatto sociale» ma anche come arma di «ricatto». La ferita del lavoro nero, la piaga della disoccupazione. Il falso mito della «meritocrazia» usato come «legittimazione etica della disuguaglianza». Il lavoro «cattivo» che produce armi e violenta la natura.
È stato un discorso a 360 gradi sul tema del lavoro quello che ieri – mentre a Taormina era in corso il G7 su ambiente, economia e migrazioni – papa Francesco, in visita a Genova, ha tenuto all’Ilva di Cornigliano davanti alla folla osannante di operai metalmeccanici, rispondendo alle domande di quattro persone, accuratamente selezionate sulla base del principio dell’interclassismo, pilastro della dottrina sociale della Chiesa: un imprenditore, una sindacalista, un operaio, una disoccupata.
«Non c’è buona economia senza buon imprenditore», ha detto Francesco. Ma «chi pensa di risolvere il problema della sua impresa licenziando la gente, non è un buon imprenditore, è un commerciante, oggi vende la sua gente, domani vende la propria dignità». È uno «speculatore», un «mercenario» che «usa azienda e lavoratori per fare profitto».
«Licenziare, chiudere, spostare l’azienda (delocalizzare, ndr) non gli crea alcun problema, perché lo speculatore usa, strumentalizza, mangia persone e mezzi per i suoi obiettivi di profitto». E «qualche volta – ha proseguito – il sistema politico sembra incoraggiare chi specula sul lavoro e non chi investe e crede nel lavoro».
Il papa ha dato ragione alla sindacalista, che ha parlato della necessità di rendere il lavoro «una forma concreta di riscatto sociale», e ha aggiunto il tema del lavoro usato come «ricatto», con un episodio che ha detto essergli stato raccontato da una ragazza a cui era stato proposto un lavoro da 10-11 ore al giorno per 800 euro al mese: «800 soltanto? 11 ore?. E lo speculatore, non era imprenditore, le ha detto: Signorina, guardi dietro di lei la coda: se non le piace, se ne vada. Questo non è riscatto ma ricatto!». Poi il «lavoro in nero», quello dei «caporali», ma anche le forme apparentemente soft: «Un’altra persona mi ha raccontato che ha lavoro, ma da settembre a giugno: viene licenziata a giugno, e ripresa a settembre». Non c’è bisogno di andare nei campi della Puglia, basta entrare in una scuola pubblica per verificare la normalità di tale prassi.
«La mancanza di lavoro è molto più del venir meno di una sorgente di reddito», è assenza di «dignità». Per questo, ha detto il papa, l’obiettivo «non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti! Perché senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti». Lo afferma il primo articolo della Costituzione italiana, ha ricordato Francesco: «L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro». E allora «togliere il lavoro alla gente o sfruttare la gente con lavoro indegno o malpagato, è anticostituzionale».
«Competitività» e «meritocrazia», secondo il papa due «disvalori» da rimuovere. La prima perché mette i lavoratori in guerra gli uni contro gli altri («quando un’impresa crea scientificamente un sistema di incentivi individuali che mettono i lavoratori in competizione fra loro, magari nel breve periodo può ottenere qualche vantaggio, ma finisce presto per minare quel tessuto di fiducia che è l’anima di ogni organizzazione»). Con la seconda, «il nuovo capitalismo dà una veste morale alla diseguaglianza» («se due bambini nascono diversi per talenti o opportunità sociali ed economiche, il mondo economico leggerà i diversi talenti come merito, e li remunererà diversamente») e rende il povero «un demeritevole, e quindi un colpevole. E se la povertà è colpa del povero, i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa».
La visita è proseguita in cattedrale, dove ha incontrato i vescovi, i preti, i religiosi e le religiose, poi i giovani al santuario della Madonna della Guardia, dove è tornato sul tema dei migranti: «È normale che il Mediterraneo sia diventato un cimitero? È normale che tanti Paesi, non l’Italia che è tanto generosa, chiudano le porte a questa gente che fugge dalla fame e dalla guerra?». Pranzo con alcuni rifugiati, senza fissa dimora e detenuti, un saluto ai degenti del Gaslini, messa a piazzale Kennedy e, in serata, rientro a Roma.