Granello di Sabbia n. 29 di Maggio - Giugno 2017 (m.p.r.)
«Interrogare il passato non serve a niente. E’ al futuro che bisogna fare le domande. Senza il futuro il presente è solo disordine». Un passaggio tratto da “Chourmo”, opera seconda della splendida trilogia marsigliese dell’indimenticabile Jean Claude Izzo. Un passaggio che ben si attaglia anche alla drammatica situazione vissuta, oramai da tempo infinito, nel nostro Paese da intere generazioni e, più in generale, riconducibile alla decadente parabola del pianeta rispetto proprio alle soluzioni da proporre alla questione giovani/lavoro/prospettive.
Ci raccontano costantemente di un Paese che non c’è più, legato al remoto ricordo del boom dei “gloriosi anni trenta”, il periodo del dopoguerra che consentì ad intere generazioni di sognare e praticare in ascesa la mobilità sociale, cioè la possibilità di migliorare la propria posizione sociale rispetto a quella di provenienza. Ma non c’è oggi, purtroppo, un solo indicatore - sociale o economico - che invece lasci intravedere un barlume di speranza, di “ripresa”, di superamento di quelle pazzesche diseguaglianze ingenerate dal “malsano quarantennio del liberismo”.
Le politiche neoliberiste degli ultimi quarant’anni, nel primo ventennio (‘75-’95) sincopate e quasi invisibili, almeno in Occidente, ma già dirompenti nelle “aree test”, Sud-America e Africa, poi ovunque apertamente e diffusamente aggressive, hanno posto le condizioni per lo sgretolamento del tessuto sociale, esaltando la libertà dell’individuo a scapito della dimensione collettiva.
Una simile libertà basata sull’assenza di limiti, sul disinteresse per il bene e i beni comuni e sul conformismo, è in realtà illusoria per la sua assoluta sudditanza ai modelli e ai consumi imposti dal mercato, e ha come conseguenza l’aumento dell’impotenza collettiva e la paralisi della politica, sempre più sottomessa ai poteri forti e totalmente insignificante sul versante di una moderna e funzionale gestione della res publica. La vità individuale è così ipersatura di cupi pensieri e di sinistre premonizioni, tanto più terrorizzanti in quanto subite in solitudine interiore ed acuite dalla continua competitività individuale alla quale siamo chiamati per mantenerci a galla. In questa sorta di isteria collettiva, il risveglio è stato brusco, assai brusco: il mondo contemporaneo si ritrova quale contenitore colmo fino all’orlo di paura e di frustrazione diffuse, sia sociali che economiche, alla disperata ricerca di un tipo di sfogo che chiunque soffra possa ragionevolmente sperare di avere in comune anche con altri.
Per sentirsi meno soli, meno isolati. Meno fragili.
Per superare la fragilità individuale devi riacquisire la dimensione collettiva. Quindi in maturazione, forse, il bisogno di tornare ad essere comunità, collettivo. Per ora questo “bisogno” si palesa più con fughe, con derive che si incentrano con l’adozione degli “ismi” - qualunquismi, sovranismi, nazionalismi – più che rispetto al tentativo di ri-costruire un senso di appartenenza prospettico, nel quale saper coniugare la propria libertà individuale con il bisogno e l’impegno collettivo, dove tornare ad interrogarsi insieme per trovare risposte innovative e coerenti alle sofferenze individuali, in modo condiviso, comune, politico.
Ansia e incertezza colpiscono tutti, proprio tutti, è oramai una situazione prospettica intergenerazionale, colpisce indistintamente donne e uomini, anziani e cinquantenni, tutti ne sono direttamente coinvolti. Ma risulta invece una vera epidemia sistemica per quanto riguarda le prospettive dei giovani: per la prima volta dal dopoguerra la mobilità sociale è in vorticosa discesa, tutti stanno introiettando il reale peggioramento della propria posizione sociale. La maggior parte delle nuove generazioni ha vissuto e sta vivendo questo processo di declassamento rispetto alla posizione acquisita dai loro genitori. Quello a cui si sta assistendo è, né più né meno, la storia della scomparsa dal mondo produttivo di una generazione, che, come viene ben descritto in alcuni degli articoli contenuti in questo Granello, è vittima di una serie di soprusi pazzeschi, tutti collegati alle logiche dell’economia a debito, come i “prestiti d’onore” per lo studio o il lavoro gratuito.
L’unico antidoto a questa degenerativa e contagiosa patologia è riuscire ad attivare una contro-narrazione puntuale ed efficace alle teorizzazioni dell’ Economia del debito che sappia condurci in tempi brevi almeno all’abolizione di tutti i debiti illegittimi. E’ lo scenario che occupa da tempo i maggiori sforzi di Attac Italia e che ha portato - come ben sapete – alla costituzione di uno specifico Centro Studi orientato all’azione, Cadtm Italia.
«Uno dei guai più grossi della nostra Società è che ha smesso da tempo di interrogarsi» (Cornelius Castoriadis). Le università sono da decenni la trincea vera del pensiero unico liberista, hanno sfornato intere generazioni “assuefatte” al mantra che il mercato sappia davvero regolare tutto e che il fondamentalismo capitalista di Milton Friedman sia l’unico zenit proponibile. La decadenza di un Paese si misura innanzitutto sulla condizione sociale e culturale delle sue giovani generazioni. Risiede in quella fascia di età l’energia, la creatività, la possibilità di un futuro per l’intera società. Un Paese che non investe sui giovani sta segando il ramo su cui è seduto. E senza futuro, c’è solo disordine.