Il Fatto quotidian
L’assuefazione alle morti sul lavoro è ormai massima. Solo dichiarazioni di principio, niente fatti. Occorre con urgenza elaborare una strategia che abbia al suo interno una componente socio-politica: la modifica, a favore delle potenziali vittime, dei rapporti di potere. Dunque nessuna precarietà, ma diritti certi per tutti. Le valutazioni del rischio non devono essere un pacco di fotocopie, devono essere precedute da sopralluoghi e riscontri materiali. Come è possibile non prevedere il rischio di scoppio quando si lavora attorno a un serbatoio di certe sostanze chimiche? È passata invano anche la strage di Ravenna del 1987? La vigilanza deve essere rafforzata. Due sui quattro morti degli ultimi giorni lavoravano di notte: era necessario? La vigilanza pubblica si mobilita solo dopo la tragedia? La questione sarebbe semplice: potere effettivo di autodifesa dei lavoratori associato a una concreta attività ispettiva pubblica. Occorre però un ceto politico diverso.
Vito Titore, Medico del lavoro
Gentile dottore, i morti sul lavoro sono aumentati nel 2017 rispetto al 2016 (1.029 contro 1.018 secondo l’Inail), come era già successo tra il 2014 e il 2015 (da 1.175 a 1.294). Sono sempre troppi, anche quando diminuiscono (erano stati 1.624 nel 2008). Quasi tre al giorno, domeniche e festivi compresi. L’Osservatorio indipendente di Bologna ne conta già 151 nel 2018. Gli incidenti degli ultimi giorni a Livorno e a Treviglio (Bergamo) ci hanno ricordato come sia facile, in Italia, andare a lavorare e non tornare più.
L’emergenza ha a che fare con il precariato, con l’innalzamento dell’età pensionabile che inchioda ai loro posti lavoratori non più giovani anche in settori usuranti, con le troppe aziende che specie in tempo di crisi considerano la sicurezza come un costo insopportabile. L’Ispettorato del lavoro per il 2017 riferisce di irregolarità in materia di prevenzione infortuni nel 77,09% (+3,5% sul 2016) delle appena 22 mila aziende controllate (su 4,4 milioni). E l’illegalità diffusa si alimenta anche delle carenze degli organici degli Ispettorati e delle Asl.
Sarebbe necessario rafforzare la vigilanza e anche la repressione dei reati ai danni della sicurezza e della salute dei lavoratori. Perché un imprenditore o un dirigente, nei pochi casi di condanna per omicidio colposo, prende uno o due anni al massimo, in genere con la condizionale. Raffaele Guariniello, magistrato a riposo e grande esperto della materia, propone da anni una Procura nazionale per la sicurezza sul lavoro, sul modello di quella Antimafia, per sostenere le piccole Procure spesso alle prese con processi difficili. Non se n’è mai fatto niente. La strage continua.