la Repubblica
La casistica degli infortuni sul lavoro ci regala un nuovo lugubre record: quello delle morti plurime. Tre morti il 20 marzo scorso nello scoppio di un locale a Catania. Due morti otto giorni dopo nel porto di Livorno per l’esplosione di un serbatoio. Altri due nel giorno di Pasqua a Treviglio per lo scoppio di un’autoclave. E ancora due morti proprio ieri a Crotone, travolti dal muro di contenimento in un cantiere edile: Giuseppe Greco, 51 anni, e Kiriac Dragos Petru, rumeno di 35 anni.
L’impressione è che ci sia in questi mesi un’accelerazione degli infortuni mortali, soprattutto nei cantieri edili. Il dato più clamoroso viene dalla Fillea Cgil, che rappresenta i lavoratori delle costruzioni. « Dall’inizio dell’anno — dice il segretario generale Alessandro Genovesi — abbiamo avuto un aumento del 50% degli infortuni mortali rispetto al 2017 » . Insomma, stanno raddoppiando i morti nell’edilizia.
E la ripresa economica, in assenza di una stretta sui controlli, non fa che aumentare le probabilità di infortuni. « È proprio quello che sta succedendo — spiega Genovesi — Da una parte assistiamo a un risveglio dell’edilizia che però non produce nuove assunzioni, ma solo più ore di lavoro per gli stessi dipendenti, e quindi molta fatica in più. Dall’altra, numerose aziende ( soprattutto subappaltanti) applicano ai propri lavoratori, per risparmiare, non più il contratto da edile ma contratti meno costosi: ad esempio quello multiservizi (settore pulizie) o quello florovivaistico. Ci sono persino lavoratori con il contratto da badante. Tutti questi dipendenti, a differenza degli edili, non fanno i corsi di formazione obbligatori di almeno 16 ore, e non hanno in dotazione ( a meno che non lo chiedano) i dispositivi di sicurezza come caschi, cinture, corde, scarpe speciali e così via». In queste condizioni, è difficile non prevedere una recrudescenza degli infortuni.
Insomma, anche quando non si impiega lavoro in nero, molte aziende trovano il modo di risparmiare sui corsi di formazione anti- infortunistica e di complicare i controlli degli ispettori, soprattutto con il subappalto. E poi c’è l’utilizzo sempre più frequente di lavoratori “anziani”. Scorrendo la casistica dell’Anmil, l’associazione dei mutilati e degli invalidi del lavoro, si scopre che dal primo marzo ad oggi, la metà dei morti aveva più di 55 anni. E molti erano over 60. Come Antonio Di Nardo, 69 anni, caduto in una cava e colpito da un masso a Lanciano (Chieti). O come Luigi Vilardo, 63 anni, scivolato da una scala nel capannone dove lavorava a Caracagno (Parma).
Ma quanti sono nel complesso le morti sul lavoro in questo primo scorcio del 2018? Non è dato saperlo in modo ufficiale. Ogni associazione ha le sue stime. Inutile sperare in una qualche certezza statistica: c’è solo il conteggio giornaliero eseguito da sindacati o da semplici persone di buona volontà che raccolgono le notizie degli incidenti dalle fonti più disparate: i propri associati, i siti internet, le agenzie di stampa, i giornali, le tv. È il caso dell’Osservatorio di Bologna, guidato da Carlo Soricelli, secondo il quale dall’inizio dell’anno sono già 159 gli infortuni mortali, l’ 8,9% in più sugli stessi mesi del 2017.
E le statistiche dell’Inail? I dati dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro sono fermi a gennaio, con 67 decessi contro i 69 del gennaio 2017, ma nei dodici mesi precedenti denunciavano un aumento delle morti a 1.029, dai 1.018 del 2016.
Il vero problema, tuttavia, non sta in un semplice ritardo tecnico di comunicazione: sta nel fatto che l’Inail non raccoglie tutte le denunce di infortunio ma solo quelle dei propri assicurati. Sfuggono tutti i liberi professionisti e le partite Iva, tutti i dipendenti delle forze armate, delle forze di polizia e dei vigili del fuoco. Insomma, milioni di persone sono assicurati con altri istituti, e se hanno un incidente magari vengono risarciti, ma ai fini statistici restano dei fantasmi. Così come restano invisibili tutti i lavoratori in nero.
Amara conclusione: non esiste un ente pubblico che raccolga tutti i dati sugli infortuni, mortali e non. «Già nel 2012 — dice il presidente dell’Inail, Massimo De Felice — auspicammo la costruzione di una base informativa efficiente e l’accreditamento del nostro Istituto come fornitore unico di informazioni sulla sicurezza e sulla salute nei luoghi di lavoro. È un impegno che continuiamo a segnalare alle autorità competenti » . Ma l’appello, finora, è caduto nel vuoto.