Caserme e periferie, vince il cemento
Paolo Boccacci, Giovanna Vitale
È finita con l’occupazione della Sala del Carroccio da parte dei movimenti per il diritto all’abitare la maratona notturna in consiglio comunale che ieri, intorno alle due, ha varato con i soli voti del Pdl la delibera di vendita e valorizzazione di 15 caserme dismesse. L’opposizione ha deciso alla fine per il no «principalmente per due motivi», spiega il capogruppo del Pd Umberto Marroni: «Perché questa operazione è viziata sul nascere dall’unico obiettivo di fare cassa, quindi è a rischio speculazione, e per l’inspiegabile bocciatura, da parte di una maggioranza confusa, dell’emendamento relativo al contributo straordinario da affiancare agli oneri concessori a carico dei privati che acquisiranno e trasformeranno gli edifici militari».
E poi nella serata ieri un altro colpo di scena in tema urbanistico. L’assessore Corsini annuncia di aver dato mandato agli uffici, con una memoria di giunta, di aumentare, fino a raddoppiarle, le cubature previste nelle otto Centralità ancora da pianificare, tra cui La Storta, Romanina, Acilia Madonnetta, Ponte Mammolo e Torre Spaccata. «Bisogna dare l’opportunità di costruire di più ai privati - afferma Corsini - perché possano finanziare le infrastrutture primarie, come strade e collegamenti con le metropolitane. Per questo si tratterà di densificare quanto possibile quelle aree». E si tratterà di milioni di metri cubi in più nella periferia romana.
Tornando invece al voto sulle caserme, sono stati accolti tutta una serie di correttivi che hanno sterilizzato gli effetti più negativi del testo originario: intanto sarà destinata a servizi pubblici una quota fissa del 20% della superficie complessiva (prima poteva oscillare tra il 10 e il 20); di questo 20%, su proposta del consigliere di Action Andrea Alzetta, il 25% andrà all’edilizia popolare; i piani di assetto, quelli cioè deputati a stabilire nel dettaglio cosa verrà realizzato al posto o dentro ciascun immobile (case di lusso, alberghi, negozi, strutture ricettive, ricreative, parcheggi), dovranno essere approvati uno per uno dall’aula Giulio Cesare, che così potrà valutare l´impatto dei singoli interventi. Da arginare anche grazie al meccanismo della compensazione, in principio non contemplato, ovvero la possibilità di rilocalizzare altrove le volumetrie da realizzare a seguito della verifica della sostenibilità urbanistica sul territorio.
Modifiche non da poco, almeno a giudicare dall’ubicazione dei fortini in disuso, per lo più disseminati in quartieri centrali o strategici, già appesantiti dal traffico. Basta dare una scorsa all’elenco, dove tra gli altri compaiono il Deposito materiali elettrici all’inizio di via Flaminia e lo Stabilimento trasmissioni in viale Angelico, la Direzione Magazzini Commissariato in via del Porto Fluviale (Ostiense) e la Caserma Medici in via Sforza, per non parlare della Nazario Sauro di via Lepanto e della Reale Equipaggi di via Sant’Andrea delle Fratte.
L’entità della manovra è tutta contenuta nelle cifre della delibera che vale come variante urbanistica al Prg e consente la vendita ai privati con relativo cambio di destinazione d’uso: operazione utile al Campidoglio per ottenere i 600 milioni pattuiti col governo per pagare la rata del piano di rientro. I 15 edifici militari, che confluiranno in un fondo immobiliare della Difesa, coprono una superficie totale di 82 ettari per oltre un milione e mezzo di metri cubi, pari a 500mila metri quadrati. Di questi, almeno il 30% andrà in residenziale; un altro 30 ad esercizi commerciali, turistico-ricettivi e varie attività private; l’ultimo 30 riguarda invece la cosiddetta parte variabile, il 20% della quale destinata a servizi comunali (asili nido, biblioteche, parchi, sportelli municipali) oltre che all´edilizia sociale. Quota, quest’ultima, che secondo i calcoli di Alzetta permetterà di ricavare circa 600 case popolari.
A ogni modo, al netto dei miglioramenti, per le opposizioni l’operazione resta «uno scandalo: espropria la città dei suoi beni e favorisce i soliti noti, abbandonando interi quartieri nell’invivibilità» tuona il coordinatore dell’Fds, Fabio Nobile. «Ieri il Campidoglio è stato trasformato in un’agenzia immobiliare solo per consentire al ministro Tremonti di fare cassa» attacca il consigliere pd Massimiliano Valeriani. «La capitale paga le bugie della destra» sbotta Alzetta: «Invece di utilizzare questo patrimonio per i cittadini Alemanno usa Roma come una banca». Una bufera per placare la quale è intervenuto il sindaco in persona: «Non saranno fatte colate di cemento, le caserme dismesse verranno utilizzate anche per funzioni abitative», garantisce Alemanno dopo aver esultato per il «grande risultato: un atto necessario non solo dal punto di vista economico ma anche urbanistico».
Destinazioni assurde
Intervista di Paolo Boccacci a Italo Insolera
«Quelle caserme da trasformare in case che sono nel cuore del centro, come in via delle Fratte, mi sembrano tutte con destinazioni assurde. Potrebbero avere al massimo funzioni di modeste dimensioni legate all´artigianato. In ambienti edilizi storici mi pare molto difficile poter cambiare radicalmente quelle che sono delle funzioni ormai consolidate».
Italo Insolera, il massimo studioso dell’Urbanistica romana, illumina un punto debole nella delibera approvata nella notte in Consiglio.
In Centro vieterebbe anche le destinazioni commerciali?
«Se per commerciale intendiamo dei piccoli negozi per l’artigianato, probabilmente questo rientra nell´organizzazione storica degli spazi nell´area centrale della città, se invece pensiamo ai supermercati o alle grandi griffe allora il contributo alla trasformazione sbagliata del centro può essere davvero deleterio».
Altre caserme da trasformare in abitazioni, negozi, case popolari e servizi pubblici sono nei quartieri storici, come ad esempio Prati. Che fare qui?
«Per questa parte di Roma ci sono delle funzioni, per esempio scolastiche, che vanno benissimo. Va bene ciò che eleva il livello sociale e culturale del quartiere».
E le case?
«Mah, queste sono zone per cui vigono il piano regolatore generale e i piani particolareggiati. Se le caserme cessano di avere funzioni militari va benissimo, figuriamoci, ma quelle che le devono sostituire dovrebbero essere culturali. Ci terrei a sottolineare l´esempio dell´università Roma Tre che è andata distribuendo i suoi spazi in vari edifici del quartiere Ostiense ed è diventata una struttura essenziale che impreziosisce la zona».
Un esempio per tutta la città?
«Se la nuova destinazione delle caserme può servire a questo in tutta Roma ben venga, ma che sia principalmente culturale».
Invece nella delibera si parla tra l´altro di un impiego per il 30% commerciale, per un altro 30% a residenze private, per un 15% servizi pubblici e un 5% case popolari.
«Queste percentuali non hanno senso, soprattutto perché quello che conta è la rivalutazione culturale di una città come Roma, dove leggiamo tutti i giorni che le università e le scuole non hanno spazi sufficienti. Questa è la grande prima necessità».
Nelle caserme ad Est, Tiburtina e Casilina?
«In quella zona dai primi studi del piano regolatore del 1950 si ripete continuamente che le iniziative devono servire a bonificare le vecchie borgate. Anche lì si faccia un piano sociale ed economico di tutta l´area e alle esigenze che verranno fuori sarà possibile venire incontro grazie alle caserme dismesse».
E a Boccea e al Trullo?
«Qui sono validi i discorsi sull´incremento delle destinazioni residenziali pubbliche e private, perché sono zone di espansione più vaste e si può fare un piano».
L’operazione caserme con la vendita ai privati serve al Campidoglio per fare cassa.
«Questo è un procedimento perverso, perché si dovrebbe volere che la maggior parte di queste iniziative restino al Comune e siano gestite dal Comune stesso».