Ponte sullo Stretto per 100mila posti di lavoro, 80 euro, forse meno, ai pensionati più disagiati e pazienza se i tagli alla sanità li hanno resi più indifesi. Il presidente del consiglio apre e chiude i cordoni della borsa come farebbe un burattinaio con i fili del suo teatrino. Nella repubblica degli zero virgola barcollano i pilastri dello stato sociale ma in compenso l’impresa è il cuore della politica governativa a base di defiscalizzazione (a carico di chi paga le tasse) con serenata di accompagnamento, ieri cantata dal premier al colosso delle costruzioni Impregilo («Evviva le aziende che rischiano»).
Si potrebbe parlare di conflitto di interessi di un presidente del consiglio che promette ponti d’oro e quattordicesime più pesanti mentre invita a votare sì al referendum. Anche se forse sarebbe più esatto parlare di convergenza di interessi. Il Corriere della Sera lo sintetizzava nel titolo di prima pagina: «Scelta la data del 4 dicembre. Renzi: pensioni basse, raddoppia la quattordicesima». Non era un endorsement del quotidiano ma un semplice accostamento di due fatti, la constatazione di come verrà orchestrata la battaglia referendaria. Grandi opere e potere monocamerale maggioritario per farle senza opposizioni tra i piedi («Finita la parte riforma si può tornare a progettare il futuro»).
Siamo in campagna elettorale ormai già da mesi e ci resteremo fino all’inverno. Abbiamo iniziato con i gazebo sulla spiaggia e finiremo con babbo natale. Oltretutto la par condicio scatta a un mese e mezzo dal voto, quindi le prossime saranno settimane a reti unificate per il Sì come e più di quanto hanno registrato i monitoraggi televisivi fini a oggi. E con le leve offerte dal potere di governo la propaganda viene meglio. Renzi deve portare gli elettori al seggio e una legge finanziaria è merce che si vende bene al mercato elettorale.
Il No dovrà farsi forza delle sue buone ragioni che per fortuna abbondano anche se sono in compagnia di Brunetta e di Salvini, improbabili difensori di una democrazia costituzionale che dovrebbe avere nei loro rispettivi leader di riferimento, Berlusconi e i lepenisti lombardo-veneti, gli alfieri.
Sicuramente è una battaglia da combattere fino in fondo per rompere questa bolla del nuovismo renziano che tra ponte sullo Stretto e pacchi di natale ai pensionati svela le sembianze del vecchio politicante in difficoltà. Tempi lunghi e promesse sonanti indicano che il premier ha bisogno di molte settimane per risalire la corrente del consenso, appesantito com’è dalla zavorra della crescita zero. Ma con ancora davanti più di due mesi di rissosa propaganda c’è il rischio vero di un astensionismo per sfinimento.
Il quesito predisposto dall’Ufficio centrale della Cassazione per il referendum non è neutro. È vero che esso si “limita” a riprodurre il titolo della legge approvata dal Parlamento, ciò non toglie che quella formulazione non doveva essere prescelta. Per diverse e buone ragioni. Anzitutto perché – com’è noto – i “titoli” delle leggi non sono votati dal parlamento sono invece formulati da chi ha presentato il testo, nel nostro caso da Renzi e Boschi. Dunque da una parte interessata a conseguire un certo esito del referendum.
La formulazione è inoltre incompleta con riferimento all’oggetto. Si sono omesse, infatti, parti della riforma indiscutibilmente assai significative. Non si richiamano le modifiche che incidono sulla Corte costituzionale (composizione e competenze), quelle che modificano le modalità d’elezione del presidente della Repubblica, le disposizioni relative ai diversi iter di formazione delle leggi, la decretazione d’urgenza, il voto a data certa, nulla sulle nuove forme di democrazia diretta. Anche su queste parti andremo a votare ma dalla lettura della scheda referendaria non risulta.
La formulazione del quesito è stata indicata dall’ufficio centrale presso la Corte di Cassazione. In applicazione della legge? Qui si apre una questione complessa di interpretazione delle norme vigenti e dei precedenti. Da un lato, infatti, nei due referendum costituzionali che si sono svolti il quesito aveva riportato i titoli delle leggi, senonché – a differenza di oggi – essi si limitavano all’indicazione dell’oggetto della riforma nel suo complesso (riforma del Titolo V e riforma della II parte della costituzione).
Ma di fronte a un titolo fuorviante la rigorosa applicazione della lettera della legge sarebbe stata necessaria. Nel caso dei referendum abrogativi, proprio per evitare schede referendarie troppo lunghe e incomprensibili, s’è adottata la misura di far elaborare all’ufficio centrale un titolo autonomo e riassuntivo «al fine dell’identificazione dell’oggetto del referendum» (articolo 1 della legge 173 del 1995), per il referendum costituzionale non so se si poteva operare in analogia. Quel che è certo è però che difronte al vulnus di beni costituzionalmente protetti (la corretta espressione della sovranità popolare, il regolare svolgimento competizione referendaria) sarebbe stato meglio impedire che la scheda diventasse l’ultimo tentativo di indirizzare impropriamente la scelta dell’elettore.
I cittadini che per motivi di lavoro, studio o cure mediche si trovano all’estero per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data di svolgimento della consultazione elettorale, e cioè il 4 dicembre, nonché i familiari con loro conviventi, potranno votare per corrispondenza. Ma per organizzarsi il tempo stringe. L’allarme è stato lanciato dalla lista Tsipras, schieratissima per il No, che sul proprio sito (listatsipras.eu) ha pubblicato tutte le indicazioni e il modulo da scaricare.
La richiesta può essere inviata per posta, per fax, posta elettronica anche non certificata, oppure fatta pervenire a mano al comune di residenza anche da persona diversa dall’interessato (su indicepa.gov.it sono reperibili gli indirizzi di posta elettronica certificata dei comuni italiani).