Classico è, per Italo Calvino, quel libro o quell'autore che "non ha mai finito di dire quel che ha da dire". Non è un caso che mi sia tornata alla mente questa definizione mentre pensavo alla figura intellettuale di Giovanni Sartori. Ormai è un anno che non possiamo più ascoltare dalla sua viva voce o leggere dalla sua vivace penna quello che pensa della situazione politica italiana e della nostra malandante democrazia. Ma a pensarci bene Sartori – che classico lo è già a buon diritto – ha ancora tante cose da dire e da insegnare. È sufficiente (ri)leggerlo. Così ho pensato che potrebbe essere utile, come facevano gli antichi greci con i loro oracoli, tornare a consultare le opere e i pensieri di Sartori per avere alcune illuminazioni sul presente e, perché no, sul futuro.
La prima questione – mi perdoneranno i lettori – è di strettissima attualità e forse neppure Sartori vorrebbe essere disturbato per una piccolezza tanto piccola. Però, visto che in questi giorni si fa un gran parlare, spesso a vuoto, di accordi di governo, improbabili alleanze e possibili ri-elezioni, forse vale la pena chiedere un rapido consulto. In questo caso, la risposta del politologo fiorentino è molto secca: di fronte a un'elezione "indecisiva" (come quella che gli capitò di commentare nel 2006) evitate la "frenesia del rivotismo" (Il sultanato, 5 gennaio 2006) e tornate alle sane "regole del sistema parlamentare, o rischiamo davvero di sprofondare nel nulla" (Il sultanato, 20 aprile 2006). La medicina del rivotare si regge sulla premessa che se il popolo vota uno stallo, allora ha votato "male" e deve tornare alle urne finché non voterà "bene". Se è così, è evidente che il rivotismo è una cura che non cura, e anzi rischia di aggravare ancora di più il problema, ingessando o irrigidendo le posizioni dei partiti.
Ma se il rivotare fa male, qual è la ricetta alternativa? Cioè: se il popolo sovrano non ha prodotto una maggioranza chiara e auto-sufficiente, che si fa? Il responso di Sartori è tutt'altro che sibillino: se quella maggioranza non c'è, "allora il sistema parlamentare rinvia la soluzione dello stallo, appunto, alla sovranità del Parlamento. Punto e finito qui. Il di più viene dal maligno" (I
l sultanato, 6 marzo 2007). Bisognerebbe dirlo ora a tutti i maligni che si sono arroccati a difesa dei loro gruppi parlamentari, rifiutando il confronto o, peggio, addirittura il contagio con le altre forze politiche.
In ogni caso, la soluzione sta nel sistema parlamentare, che è un "gioco" con le sue regole da conoscere e praticare. Ma il problema italiano non è tanto delle regole, ma dei "giocatori" che quelle regole non intendono affatto ri-conoscerle. Qui nasce l'inghippo: perché è davvero difficile far funzionare una democrazia parlamentare senza parlamentari consapevoli del loro ruolo e delle loro funzioni. Quando il Parlamento è svuotato della sua sovranità, che consiste anche nella ricerca-formazione di una maggioranza di governo, allora la democrazia parlamentare diventa un guscio vuoto o un misnomer: una definizione che mal definisce.
Purtroppo, dopo tanti anni di malinteso bipolarismo – che, nella sua variante italica, Sartori non ha mai smesso di criticare – è difficile tornare alle buone pratiche del parlamentarismo. Il che consentirebbe, con la pazienza necessaria in queste circostanze, non solo di individuare una via di uscita allo stallo attuale, ma soprattutto di insegnare ai tanti neofiti della democrazia parlamentare come si sta e cosa si fa in Parlamento. Si tratterebbe inoltre di una soluzione pedagogica, utile per chi ancora pensa che si possa esaltare la "centralità del Parlamento" imbavagliando deputati e senatori con il vincolo di mandato. E ancora più utile se l'obiettivo è – come dovrebbe essere – di spingere alcune forze politiche ad uscire dal loro infantilismo politico per farle entrare in una sempre benvenuta maturità democratica.
Fin qui, sull'Italia e sulla politica italiana. Ma quando ci si confronta col pensiero di Sartori è inevitabile volare un po' più alto per superare i confini della politica nazionale e del suo chiacchiericcio quotidiano. La curiosità va allora allo stato della democrazia e soprattutto al suo futuro. Stavolta però la risposta di Sartori si fa meno categorica e più dubitativa: la democrazia è sempre una "ideocrazia" (cioè, costruita sulle idee, dove le idee contano e si confrontano) e la sua qualità così come la sua sopravvivenza dipendono delle teste che dovrebbero pensarla e capirla. Che è come dire che il futuro della democrazia è nelle nostre mani/menti.
Ma è proprio qui che cominciano i guai, che sono per di più di duplice natura. Da un lato, c'è il problema delle élite politiche, che hanno barattato la competenza (il sapere) con l'obbedienza (il potere), abdicando così al loro ruolo dirigente per rincorrere i sondaggi o gli umori del momento. Con il rischio di dar vita a democrazie irresponsabili nelle quali il presente si mangia il futuro. Dall'altro lato, si trova, invece, il problema della qualità dell'opinione pubblica e, in particolare, delle modalità attraverso le quali i cittadini ricercano o ricevono le informazioni. È il grande tema della democrazia della (nella) rete e, soprattutto, di chi controlla il flusso di informazioni su cui i cittadini formano oggi le loro opinioni. Era un tema già scottante per l'homo videns sartoriano, che sa solo quel che vede, ma che ora esplode tra le pieghe del web, dove l'homo navigans corre il rischio di sapere solo quello che i motori di ricerca gli suggeriscono di sapere.
Di fronte a queste nuove sfide per la democrazia, non esistono soluzioni facili o scorciatoie a buon mercato. Chi le promette, promette il falso. E il miglior antidoto contro il semplicismo di queste promesse rimane la lettura, lo studio, l'analisi – anche critica, se si è capaci – delle opere di Giovanni Sartori.