Una casa da 700 milioni
di Maurizio Maggi
Tanto costa il piano del governo a favore dell'edilizia sociale. E punta su società miste tra pubblico e privato. Obiettivo: 80 mila nuovi alloggi in dieci anni. Con affitti che non superino il 35 per cento del reddito degli inquilini
Per quanti avevano sperato in un piano casa di dimensioni 'fanfaniane', i 700 milioni da spendere alla svelta messi sul piatto dal governo guidato da Romano Prodi per affrontare l'emergenza immobiliare sono una parziale delusione. La sinistra radicale si lamenta perché i quattrini stanziati per risolvere le emergenze con l'articolo 21 del decreto legge collegato alla Finanziaria per il 2008 sono pochi. I fautori dell'intervento degli investitori non pubblici nel residenziale da affittare a prezzi ragionevoli, invece, non riescono a intravvedere con sufficiente chiarezza, nelle dieci righe dell'articolo 41, l'auspicata apertura ai privati per la costruzione e la gestione delle case da destinare alle fasce meno abbienti della popolazione. Il primo articolo stanzia 550 milioni che, anticipa a 'L'espresso' Anna Maria Pozzi, direttore tecnico di Federcase (la federazione degli ex Iacp, gli Istituti autonomi delle case popolari), saranno probabilmente spesi così: metà per il recupero e la manutenzione, il 30 per cento in nuove costruzioni e il 20 per cento per l'acquisto di alloggi già esistenti. "è un primo passo che darà respiro ai casi più drammatici di emergenza sociale, ma non è quello che ci aspettavamo, sulla base del fabbisogno necessario per il recupero dell'edilizia pubblica fatiscente", commenta Pozzi. I soldi destinati ad attuare l'articolo 41 sono ancora meno, 150 milioni.
Un topolino che però potrebbe partorire la montagna. Infatti non serviranno a mettere in moto il mega-piano da un milione di alloggi pubblici caldeggiato da Carlo Puri Negri, boss di Pirelli Real Estate e vicepresidente di Assoimmobiliare, però possono dare una bella scossa a un mercato, quello della realizzazione di case 'popolari', che in Italia è statico da anni. Nonostante le stime prudenziali di Federcasa dicano che ci sarebbe bisogno di almeno 600 mila abitazioni ad affitti contenuti. "Dal crollo delle quotazioni del mattone di metà anni Novanta, a lungo ci si è illusi che la casa non fosse più un problema di massa, e per di più le Fondazioni bancarie hanno dovuto cedere il patrimonio immobiliare per legge", sottolinea Sergio Urbani, direttore della Fondazione Social Housing della Cariplo. E peraltro la cronaca anche molto recente spiega chiaramente come l'inefficienza nel maneggiare l'edilizia pubblica galoppi sia quando si vende sia quando non si vende. Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, ha avviato un'indagine per capire chi occupa il patrimonio immobiliare del Comune e il governatore del Lazio, Pietro Marrazzo, ha invitato gli istituti delle case popolari della regione a sospendere le vendite dopo aver scoperto che appartamenti di qualità erano stati ceduti a prezzi pari a anche a un decimo del loro valore di mercato.
Ma ecco come l'articolo 41 del decreto, voluto dal ministero dell'Economia e delle Finanze con il coinvolgimento dei ministeri delle Infrastrutture e della Solidarietà sociale può riavviare il motore dell'edilizia calmierata. Senza appesantire i conti pubblici. Innanzitutto, si affida all'Agenzia del demanio il compito di creare una società che promuova la formazione di "strumenti finanziari immobiliari a totale o parziale partecipazione pubblica", per comprare, recuperare, ristrutturare immobili da abitazione. A disposizione dell'iniziativa, il governo stanzia 150 milioni da investire entro fine anno. Sembra una dichiarazione di principio perché la norma dice che gli strumenti possono essere "a totale o a parziale partecipazione pubblica". Dichiara Gualtiero Tamburini, presidente di Assoimmobiliare e dell'Istituto di ricerche Nomisma: "Sul tema dell'edilizia residenziale c'è ben altro da fare: occorre creare le condizioni per il ritorno degli investitori privati, che devono poter intervenire in tutti i segmenti della casa, da quella più propriamente sociale e pubblica fino a quella libera ma convenzionata". E Carlo Ferroni, direttore generale dell'Ance, che considera le decisioni governative "un passetto", si augura che l'articolo 41 sia interpretato per in maniera decisamente 'aperturista': "Gli strumenti devono essere veramente misti, altrimenti si risolverà ben poco".
Le naturali preoccupazioni di Ferroni e Tamburini, tuttavia, potrebbero essere almeno parzialmente fugate se l'applicazione dell'articolo 41 seguirà le linee guida dello studio dell'Agenzia del demanio. Secondo quanto risulta a 'L'espresso', infatti, l'agenzia diretta da Elisabetta Spitz ha messo a punto un progetto per creare 60-80 mila alloggi nel prossimo decennio, da affittare a cifre che non superino il 35 per cento del reddito degli inquilini. Un traguardo raggiungibile solo se l'operazione verrà sostenuta almeno per metà da investimenti privati e se, una volta locati, gli immobili siano economicamente autosufficienti. Come centrare l'obiettivo? Inizialmente con una o più società di sviluppo, che dopo la realizzazione dell'immobile, possano trasformarsi in Società di investimento immobiliare quotate, le famose Siiq. Per costruire 8 mila appartamenti all'anno sono necessari circa 1,4 miliardi di euro l'anno. Trovare i soldi dai privati che si candidano a gestire i patrimoni anche con rendimenti inferiori a quelli medi di mercato (però certi) e soprattutto dagli investitori istituzionali, non dovrebbe essere difficile. Le compagnie di assicurazioni, per esempio, potrebbero tornare al mattone residenziale abbandonato qualche anno fa, e anche le fondazioni bancarie, che per statuto fanno investimenti etici. Chi sicuramente sarà della partita è la Cassa depositi e prestiti, che già si è impegnata per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico finanziando l'edilizia popolare dei Comuni attraverso il meccanismo della concessione lunga, ossia degli affitti a 50 anni. Ma la Cdp potrebbe anche entrare direttamente nelle società promosse dal Demanio o nelle Siiq, oltre che rivestire il ruolo di finanziatore di lunga lena.
Dal lato più o meno privato e istituzionale, dunque, il percorso immaginato con l'articolo 41 non dovrebbe trovarsi di fronte insormontabili ostacoli. Ma sul versante pubblico, da dove dovrebbero arrivare i 7 miliardi di euro (in dieci anni) necessari a coprire appunto la metà del piano? I soldi freschi, ovviamente, saranno pochini. Sempre secondo il progetto allo studio dell'Agenzia del demanio, gli enti locali e lo Stato dovrebbero entrare nelle Spa di sviluppo immobiliare apportando aree ed edifici e offrendo sgravi fiscali e riduzione di costi amministrativi. Gli 80 mila alloggi sarebbero destinati a famiglie con redditi compresi tra i 1.100 e i 1.300 euro mensili. Le abitazioni dovrebbero avere una superficie media di 70 metri quadri e l'affitto calmierato dovrebbe aggirarsi tra i 400 e i 500 euro al mese. Significherebbe pagare 60-90 euro al metro quadro all'anno, mentre l'attuale canone, nelle grandi città, si aggira intorno ai 150 euro. Infine, uno dei tasti più importanti del piano: la redditività a regime per le Siiq. Al Demanio pensano che debba essere del 5,25 - 5,75 per cento lordo. Non strepitosa, ma neanche da buttare. Per esempio, l'obiettivo atteso della Oikos è del 5 per cento lordo. Oikos è la società costituita dalla Fondazione della Cassa di risparmio di Alessandria, dal Comune e dal gruppo privato Norman per realizzare 54 appartamenti e 40 box da locare, con la formula dell'affitto-mutuo (dopo 35 anni la casa diventa di proprietà degli inquilini) per le fasce più deboli.
Il 'social housing' (e cioè l'edilizia a prezzi calmierati) richiede che anche l'operatore immobiliare abbia un approccio etico all'investimento. Tra le fondazioni più attive nel settore c'è la Cariplo, che ha costituito apposta la Fondazione Housing Sociale, ha realizzato il Villaggio Barona a Milano e promosso il primo fondo immobiliare dedicato all'edilizia sociale, Abitare Sociale 1, raccogliendo 85 milioni di euro. Lavora a tre progetti a Milano (750 alloggi) e uno a Crema (100 alloggi). In ordine sparso, da Bologna a Siena, da Torino a Padova, Rovigo e Verona, le fondazioni bancarie hanno risolto casi socialmente difficili. Ora tocca allo Stato pensare un po' più in grande. Il primo mattone è l'articolo 41.
Tra gli ultimi nella Ue
Degli oltre 214 milioni di alloggi che rappresentano lo stock residenziale dei Paesi aderenti all'Unione europea, circa 34 milioni sono riconducibili al cosiddetto 'social housing', definizione che accomuna tutti i settori residenziali che implicano doveri di interesse pubblico e affitti bassi. "L'Italia è in una situazione simile a quella di Irlanda, Belgio, Finlandia e Lussemburgo: un'alta percentuale di abitazioni è occupata dai proprietari stessi e c'è una bassa percentuale di alloggi sociali", spiega Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari, "eppure lo Stato ha ridotto la dotazione finanziaria del fondo sociale per l'affitto: istituiti nel 1999, era di 500 milioni, adesso è sceso a 230 milioni". Nel convegno sull'Housing Sociale organizzato da Somedia a Milano il 4 ottobre, Breglia ha presentato uno studio sulla situazione dell'edilizia pubblica o calmierata a livello europeo. Tra i Paesi dell'Ue, la Germania (dove il limite di reddito per farsi assegnare una casa popolare è di circa 1.750 euro netti al mese) guida la classifica con 11,6 milioni di alloggi sociali, seguita da Gran Bretagna con 5,4 milioni e Francia con 5 milioni, mentre l'Italia è staccata, a quota 1,5 milioni. Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito hanno una grossa dotazione di appartamenti a canone sociale e spendono per per le case popolari il 3 per cento del Pil. Grecia, Portogallo e Spagna sono i fanalini di coda: pochi alloggi sociali e spesa pubblica inferiore all'1 per cento del Pil.
Prezzi in discesa dal 2009
di Stefano Livadiotti
Per il mattone è in arrivo la grande frenata. Dopo otto anni di boom ininterrotto, che ha visto passare di mano 8 milioni di case (pari al 30 per cento dell'intero stock abitativo del paese), con un'impennata dei prezzi del 51 per cento (del 65 per cento nei comuni più grandi), il ciclo si è invertito. Nei primi mesi del 2007 le compravendite (che avevano chiuso il 2006 con un più 1,3 per cento) hanno fatto registrare una battuta d'arresto (meno 3,5 per cento). Che verrà seguita, tra 12-18 mesi (il tempo necessario alla riduzione delle aspettative di chi vende), da una flessione delle quotazioni. Se il mercato si sgonfia, l'offerta si adegua: gli appartamenti di nuova costruzione, che sono passati da poco meno di 193 mila nel 1999 al picco di 336 mila quest'anno (per un valore di 40,5 miliardi di euro), diminuiranno a 323 mila nel 2008, per poi scendere fino a 308 mila nel 2009.
Il rapporto Cresme-Saie sul mercato delle costruzioni, che verrà presentato il 23 ottobre a Bologna in occasione dell'apertura del Salone internazionale dell'edilizia, e che 'L'espresso' è in grado di anticipare, attribuisce lo sboom a tre principali fattori. Primo: dopo anni di progressiva riduzione, la dimensione dei nuclei familiari tende oggi ad assestarsi. Secondo: complici la scarsità di acquirenti e il rincaro dei mutui, sta calando la domanda da parte di chi è già proprietario di una casa, ma vuole sostituirla con un'altra, magari più grande. Terzo: si sta affievolendo la spinta dei figli del baby boom della seconda metà degli anni Sessanta (i 'bamboccioni' secondo la definizione del ministro Tommaso Padoa-Schioppa), che con ritardo rispetto alle generazioni precedenti hanno lasciato la casa paterna in questi anni. La fascia di popolazione con età compresa tra i 30 e i 39 anni, quella che in Italia esprime la maggiore propensione alla creazione di nuove famiglie e alla ricerca di una casa, è in diminuzione: dopo essere salita dagli 8 milioni del 1991 ai 9,5 del 2002, scenderà di nuovo a 8 milioni nel 2012 e poi a 7 quattro anni dopo.
A tirare resta così soprattutto la domanda degli immigrati, che già oggi rappresentano il 13 per cento del mercato immobiliare italiano. E che in prospettiva peseranno sempre di più: se nel 2006 le presenze straniere erano a quota 3,8 milioni (il 7 per cento della popolazione italiana) nei prossimi dieci anni arriveranno a 7 milioni. Nel 2006 solo 300 mila di loro vivevano in una casa di proprietà. Mentre 2 milioni e 200 mila pagavano un affitto.
L'idea contenuta nell'articolo 41, quello di realizzare alloggi di edilizia sociale con fondi privati non speculativi è giusta. Così, ad esempio, in Inghilterra hanno fatto fronte già dal 1998 al calo di risorse pubbliche destinate a questo scopo. I privati realizzano alloggi da destinare ad affitto calmierato "accontentandosi" di una redditività, prodotta dai canoni calmierati, che è intorno al 5%. Ma allo stesso tempo la scrittura dell'articolo lascia ampi margini di manovra a soluzioni "all'italiana". Ad esempio non si fa cenno al fatto che la gestione di questi immobili deve essere affidata a un soggetto diverso dal costruttore. Per questo bisognerebbe favorire anche in Italia la formazione di un registro di proprietari sociali di immobili, ad esempio associazioni no profit, alle quali affidare la gestione degli alloggi sociali realizzati con fondi privati non speculativi. Il rischio, diversamente, è la cosiddetta edilizia convenzionata. Ma questa l'abbiamo già conosciuta e se ne conoscono anche i mali. L'uso delle aree demaniali è una opportunità straordinaria per avviare anche in Italia il settore immobiliare intermedio tra la casa popolare e il libero mercato, contribuendo così a liberalizzare un mercato immobiliare privato la cui finanziarizzazione lo ha reso rigido e poco capace di interpretare i reali bisogni.
Un passo nella direzione giusta, bisogna solo accertarsi che anche la testa guardi nella stessa direzione. (g.c.)