Inserto del giovedì sul manifesto, "L'Italia che va" 8 agosto 2013. Il problema della casa, irrisolto per i deboli numerosi dopo decenni di lotta per un diritto. Soluzioni che aprono speranze per una città più equa. Articoli di D. Chanaz, S, Medici, D. Bevilacqua, E. Scandurra, G. Salvetti
Spazi di libertà
di Dafne Chanaz
Dagli squat urbani agli ecovillaggi, l'abitare diventa un atto rivoluzionario, antiliberista ed ecologista. Le nuove parole d'ordine sono cohousing, autorecupero, autocostruzione. Mentre si riscopre il mutuo soccorso ottocentesco e le nuove Comuni ricordano il '68
«L'ecovillaggio è la cellula del futuro corpo sociale, trasformazione in atto - o se volete "rivoluzione" - dal basso, non violenta e silenziosa, che ha dimensione mondiale e prefigura una fuoriuscita radicale dal sistema. In Italia (...) il raddoppio in pochi anni del numero degli ecovillaggi costituiti e dei progetti in fase di realizzazione mette in luce un nuovo corso, esistenziale e politico, soprattutto tra le giovani generazioni». Una tale affermazione può sembrare forte a chi non abbia fatto esperienza diretta di queste forme di vita comunitaria che partono dal rapporto con gli ecosistemi per costruire modelli relazionali più equi, conviviali e soddisfacenti. Può sembrare ottimista a chi non abbia visto fiorire la Rete Italiana dei Villaggi Ecologici, anno dopo anno, fino all'ultimo incontro di fine luglio 2013, gremito di giovani e ricco di così tante nuove esperienze. Versione italiana del Global Ecovillage Network, la Rive si è formalizzata nel 2007 - grazie anche all'iniziativa del mensile Terranuova , che funge da organo ufficioso della rete - ed è già un punto di riferimento e d'ispirazione per moltissimi. Chi erano gli oltre 500 partecipanti al raduno di quest'anno e cos'è un ecovillaggio? Gran parte erano giovani romani, ma anche persone provenienti da tutte le regioni d'Italia e dall'estero (Spagna, Slovenia, Brasile) interessati alle conferenze ed ai workshop offerti (bioedilizia, cesteria...) e ad apprendere qualche cosa circa alternative di vita concrete ed accessibili, lontane dalla nevrosi urbana e dal precariato. Poi c'erano una trentina di volontari che avevano allestito il campo e coordinavano le operazioni. Ed infine un centinaio erano rappresentanti degli oltre 20 ecovillaggi toscani, milanesi, bresciani, padovani, vicentini, siciliani, calabresi...
NUOVI IMMAGINARI
Sperimentiamo l'autogoverno
di Sandro Medici
La devastante spinta edilizia favorita e coltivata dall'urbanistica deregolata di fine secolo, quel voluminoso flusso di cemento che ha rovinosamente impattato su città e territori, sta ormai consumando i suoi ultimi cantieri. È il tramonto di una parabola che ha tuttavia alterato e deformato interi paesaggi, lasciando nelle pianure piantagioni di prefabbricati industriali vuoti e abbandonati, quartierini di affettate palazzine dai tristi balconcini ai bordi delle città, malinconici villaggi finto-leziosi sulle coste e nelle valli e perfino sui monti. Ora non si costruisce più, nel nostro paese. Finalmente. Ma non grazie a quell'auspicato rinsavimento invocato per decenni dalla cultura del limite, dalla critica al produttivismo, dalle tante soggettività indignate per i danni alla natura e le ferite alla bellezza. Quanto, più crudamente, per l'esaurirsi di profitti e rendite nel mercato immobiliare. Uno dei più vistosi effetti, quest'ultimo, della crisi economica in corso. Gli stabilimenti chiudono, le case non si vendono, le attività commerciali languono. Le banche non finanziano più iniziative imprenditoriali e progettazioni espansive, né, ancor meno, assicurano mutui alle famiglie. E sono ormai migliaia e migliaia le concessioni edilizie, un tempo spasmodicamente agognate, che si accumulano nei cassetti degli uffici tecnici comunali. È l'esito di un processo che fin dal suo esordio conteneva un inganno, oltreché un errore strutturale. Ritenere cioè che, in forza delle sue esclusive dinamiche, il mercato avrebbe riequilibrato il settore edilizio componendo con efficacia sviluppo immobiliare e fabbisogno alloggiativo. Una scelta socialmente rovinosa, che nel corso dell'ultimo ventennio ha finito per sovrabbondare l'offerta ma non per questo soddisfare la domanda. Una domanda che è sensibilmente cresciuta, perché a quella cronicamente inevasa si è aggiunta nell'ultimo scorcio quella degli esodati, affittuari morosi e quindi sfrattati, piccoli proprietari inadempienti a cui le banche pignorano casa, oltre ai tantissimi giovani che restano in famiglia, respinti dai costi eccessivi delle nuove abitazioni. Il panorama immobiliare italiano in questo momento è dunque gravemente scompensato: un paradosso che né favorisce gli affari né soddisfa le necessità. È aumentata la disponibilità e nel contempo si è ampliato il bisogno. Affidarsi alle ritmiche del mercato, a quella logica d'impresa che avrebbe dovuto far felicemente incontrare offerta patrimoniale e domanda sociale, s'è rivelato tanto illusorio quanto tragicamente fallace. E così, oggi, c'è sempre più gente senza casa e sempre più edilizia invenduta. Non c'è che dire, un vero capolavoro di idiozia economica e ferocia sociale. Reso possibile da norme urbanistiche sempre più permissive e compiacenti, attraverso generose concessioni per valorizzare, ristrutturare, razionalizzare (leggi: sfruttare), facilitazioni nei cambiamenti di destinazione d'uso di suoli e fabbricati, affidamento commerciale di beni demaniali e perfino culturali. E poi con la cartolarizzazione e la privatizzazione del patrimonio abitativo pubblico, insieme alla definitiva rinuncia a realizzare nuova edilizia popolare.
L'intero pacchetto, insomma, delle scelte politiche che hanno accomunato negli ultimi decenni centrosinistra e centrodestra, entrambi penosamente travolti da quei furori liberisti che inevitabilmente hanno generato disagio, esclusione, collera, conflitto.Quei sentimenti che stanno oggi animando una reattività sociale sempre più estesa e combattiva. E che si deposita nelle centinaia di occupazioni che si susseguono nelle nostre città. Effetto inevitabile di una situazione completamente chiusa e bloccata. Con un mercato immobiliare inaccessibile perché totalmente gestito dai privati, società d'impresa o finanziarie che siano, in assenza di alternative di edilizia sociale o comunque calmierata, senza alcuna offerta alloggiativa pubblica perché ormai estinta, cosa volete che facciano tutte quelle persone che si ritrovano in mezzo a una strada, che vivono nelle auto, che s'affollano da amici e parenti, che s'accampano nei parchi o sugli argini dei fiumi, tutto quel popolo nomade per necessità, se non per destino? Dunque ci si sistema laddove ci sono spazi inutilizzati, nei fabbricati abbandonati o nelle palazzine invendute, nelle fabbriche dismesse o nelle scuole svuotate, in tutta quella volumetria residuale che giace malinconica agli angoli delle città. In natura, così come in politica, il vuoto non esiste: prima o poi viene riempito. E torna a vivere. Sono quasi commoventi le facce speranzose di chi di chi per la prima volta si ritrova con un tetto sulla testa, con un bagno dove lavarsi, con un letto solo suo, con una stanza dove appendere una vecchia fotografia. C'è gente, in questi edifici recuperati, in questi nuovi falansteri, che prima d'ora non aveva abitato da nessuna parte. Ma le occupazioni non solo soltanto abitative. Si occupa anche per avviare un'attività produttiva, per inventarsi un lavoro, per riconvertire un impianto e rimetterlo in moto, per sviluppare un progetto collettivo, per riattivare un vecchio teatro, un cinema abbandonato, accendere insomma una speranza culturale. E anche in questo caso, avviene per quell'impellente necessità di dare senso a un luogo, a uno spazio, oltreché a se stessi. Quanti ragazzi, quante ragazze nelle nostre città hanno bisogno di lavorare o anche soltanto di esprimersi, di mettere a disposizione la propria passione, la propria creatività? Chi raccoglie queste aspirazioni, quando, al contrario, si fa di tutto per comprimerle e marginalizzarle? Allora succede che ci si organizza e ci si riappropria di ciò di cui si ha diritto. E sapete come va a finire? Be', c'è da restarci davvero sorpresi. Perché in queste occupazioni di nuovo conio si sviluppano attività "utili", soprattutto alla città e ai cittadini: si avviano progetti, si realizzano servizi, si organizzano mercati, si allestiscono spettacoli, ci si diverte, si sta bene, arriva gente, si chiacchiera, si sta insieme. Si fanno tutte quelle cose che andrebbero fatte ma che nessuno più fa. Quelle cose insomma che rispondono ai bisogni di quartieri e territori: case-famiglia, palestre, centri anti-violenza, biblioteche, spazi espositivi, sportelli d'ascolto, laboratori culturali, saleprova, osterie sociali,attività per l'infanzia. Soddisfano esigenze diffuse e in più che creano quella preziosa qualità immateriale, fatta di socialità, relazioni umane, solidarietà, allegria e piacere. Non ci si crederà, ma producono anche economie e redditi: di sussistenza, certo, ma quel tanto o poco che comunque consente di gestire al meglio l'occupazione. Se è proprio necessario definirlo, questo modello si chiama autogoverno. E l'impressione è che si tratta di un processo destinato a estendersi. È una risposta sociale e culturale alla crisi dell'economia e all'opacità della politica.
ROMA
Gli invisibili della Capitale
di Dario Bevilacqua
Gli scrittori a Communia, il mercatino Terra Terra al Forte Prenestino, il jazz all'ex Snia, le palestre popolari e le ciclofficine. Ecco dove batte il cuore della Roma alternativa
All'inizio di giugno, presso il centro sociale Communia, nel quartiere romano di San Lorenzo, si è tenuto il festival Letteraria , con dibattiti, reading , rappresentazioni teatrali e conferenze che hanno coinvolto, tra gli altri, anche Carlo Lucarelli e il Collettivo Wu Ming. Ogni prima e terza domenica del mese, nel centro sociale Forte Prenestino, a Roma, si tiene il mercato Terra terra che mira a consentire, come fanno ogni settimana i tantissimi Gruppi di Acquisto Solidale (Gas) diffusi sul territorio, l'accesso a prodotti buoni, puliti e giusti, riducendo i passaggi della catena distributiva degli alimenti. All'Esc Atelier, spazio occupato nel cuore di San Lorenzo, sono attivi sportelli legali per i diritti di cittadinanza e di tutela del lavoro precario. Oltre a concerti, rassegne e iniziative serali, Esc ospita gli incontri della Lum - Libera Università Metropolitana - un esperimento di autoformazione e laboratorio che organizza, inter alia , seminari e ricerche. Al centro sociale Strike, a Portonaccio, dal martedì al venerdì è aperta la cucina sociale "Strkitchen Stirkespa", che presenta ogni giorno un menu diverso di ottima qualità, a prezzi modici. In via delle Isole Curzolane, nel quartiere Tufello, la Palestra popolare Valerio Verbano organizza corsi di Ginnastica Artistica, Boxe, Kick Boxing, Ginnastica posturale, Karate e Fung Fu, a prezzi accessibili. A Casal Bertone, il Centro sociale La Torre mette in piedi una serie di attività di vario tipo, dal bioristoro e forno della Riserva della Valle dell'Aniene La Trattoriola, alla Palestra Popolare Corpi Pazzi, passando per il laboratorio informatico Bugslab e il progetto MediaMemoria, che lavora alla costruzione di laboratori di ricerca storica nelle scuole medie e si attiva per restituire vive le memorie della Resistenza partigiana al nazifascismo. Infine, presso il Centro sociale Ex Snia, dal 14 giugno, per 5 venerdì consecutivi, si tengono i concerti di Jazz al Popolo, con concerti e iniziative musicali, che quest'anno confluiscono nell'alveo di Artindipendenti 2013, un'ecofesta che intende convogliare differenti arti per promuovere la cultura. Sono solo alcune delle numerosissime attività e iniziative messe in piedi dai vari spazi occupati e autogestititi che popolano la capitale.
PISA
La «nuova polis» pisana dell'ex Colorificio
di Enzo Scandurra
Arrivato alla stazione di Pisa, viene a prendermi Fausto. Ci riconosciamo subito come succede spesso - e misteriosamente - tra compagni. Mentre ci rechiamo all'ex colorificio liberato, mi parla del convegno, dell'occupazione, delle attività che si svolgono nell'area dismessa. Lo fa senza ostentare fanatismo, con un tono quasi professionale da cui traspare però passione e speranza. Ero già stato a Pisa anni prima sempre invitato da Serena, quando ancora l'occupazione riguardava Rebeldìa. Dal 20 ottobre quel gruppo ha invece liberato, e occupato, una ex fabbrica, un ex colorificio di 14mila metri metri quadrati, non distante dalla Piazza dei Miracoli. Fausto mi parla del convegno: due giorni di discussione con architetti e urbanisti sul tema delle aree dismesse e di come utilizzarle per rivitalizzare la città di Pisa. Nel programma è ben messo in evidenza come si voglia superare il concetto di "valorizzazione" immobiliare e dell'irremovibilità del costruito nell'interesse della collettività: basta consumare suolo e risorse. Fausto ci tiene a farmi visitare l'ex colorificio, mostrarmi i lavori e le iniziative già allestite. Laboratori di aggiustaggio e falegnameria, di ceramiche, una ciclofficina di biciclette, sala del teatro. In una delle grandi sale c'è anche un trapezio per equilibristi; in un'altra sono state realizzate pareti artificiali per l'allenamento alle scalate. Fanno parte della comitiva esplorativa due altri compagni che non conosco e che poi si presentano come architetti che lavorano su altre aree di Pisa, come lo stadio di calcio ormai in disuso. Fausto ci fa vedere altre sale vuote in attesa di decidere che iniziative potrebbero accogliere. Dovunque ci sono persone affaccendate in qualche lavoro: la fabbrica funziona di nuovo, ma per altri scopi e per produrre altre merci, diverse da quelle fordiste: adesso si producono beni comuni, relazioni, convivialità; si coltivano speranze. A me viene in mente quel vecchio film di Truffaut, Fahrenheit 451 , ambientato in un futuro opprimente dove una società despotica e autoritaria ha messo al bando (anzi al rogo) i libri diventati merce clandestina e antisociale. Il corpo dei vigili urbani è continuamente al lavoro per bruciare i libri nascosti da abitanti sovversivi. Così si infoltisce la comunità - il popolo-libro - di coloro che, perseguitati e ricercati dalla polizia, trovano rifugio nelle foreste. Ognuno di loro, per salvaguardare il patrimonio di sapere dei libri, ne impara uno a memoria. Ogni uomo diventa un libro vivente, dal Pinocchio di Collodi al David Copperfield di Dickens. Quando inizia il dibattito, mi sento inadeguato. Mi sembra che tutto quello che avrei da dire sul tema stabilito dal convegno, "Cartografia del desiderio. Per la creazione di una nuova Polis", loro lo stanno già tentando di realizzare. Stanno progettando anticipazioni di un futuro di città. I crateri che emergono dalle macerie della città fordista, si riempiono di iniziative sociali. Serena fa il medico all'ospedale, è una delle principali protagoniste dell'occupazione. Qui, dentro l'ex fabbrica fordista, mi sento finalmente a casa, sento che si sta tentando di realizzare qualcosa di importante. Fuori il mondo impazzito che magari in quest'area vorrebbe realizzare case, centri commerciali, multisale e chissà quali e quante altre diavolerie con la scusa di ripianare i debiti comunali, valorizzare le aree, fare profitti. Mi chiedo se ce la faranno Serena, Fausto e tutti gli altri a tenere, a resistere e anzi a trovare una sponda nell'amministrazione. Non sono isolati, si sta tentando di attivare una rete che colleghi queste esperienze che proliferano sempre di più in tante città italiane. Il Teatro Valle Occupato, il cinema Palazzo a Roma sono ormai riferimenti nazionali che producono speranze e aspettative, contagiano. Faccio fatica, con la mia vecchia educazione al posto fisso, a convincermi che qui si sprigiona un'energia nuova, che si tenta di ripristinare vecchi mestieri e sapienze andate in malora con la mitologia dello sviluppo. Dico a Serena che ho un cagnolino che mi aspetta a casa, non posso restare oltre le otto di sera, c'è l'ultimo treno che ferma a Termini. Lo dico per darmi una ragione per non rimanere, perché questo invece desidererei fare. Fermarmi qui con loro non tanto per continuare a parlare, ma per trovare un mio posto dove materialmente partecipare alla costruzione di questo futuro ancora incerto e pieno di aspettative e speranze. La festa deve ancora iniziare ma Serena e Fausto mi fanno preparare un piatto di pasta e un dolce. Ecco, sto a casa, in una grande famiglia, accolto come un vecchio amico, magari uno zio. Peccato non aver portato il mio cagnolino. Insieme potevamo restare.
MILANO
Il centro sociale degli sfrattati
di Giorgio Salvetti
Ale ha 19 anni. Ha passato tutta la sua giovane vita tra occupazioni e sgomberi. È un "abusivo", se così si può chiamare chi è costretto a combattere in prima persona per avere un tetto che le istituzioni non sono in grado di garantire. Si chiama diritto alla casa. E a Milano, come in molte altre città italiane, è sempre più una chimera. Adesso Ale ha finalmente trovato un posto sicuro dove vivere con suo padre e sua madre che hanno 60 anni. Si chiama Sms, Spazio di Mutuo Soccorso. Sono tre palazzine di quattro piani occupate lo scorso 24 aprile dal centro sociale Cantiere e dal comitato degli abitanti del quartiere di San Siro. Dopo due mesi qui ci vivono 20 nuclei familiari, un totale di una sessantina di persone, bambini e anziani compresi. Ma non si tratta solo di un luogo abitativo. A Sms hanno trovato casa anche molte altre iniziative: una università popolare, spazi espositivi, prossimamente anche una palestra popolare. È un altro modo di abitare la città e di renderla viva e attiva. Case da matti Milano negli ultimi decenni ha vissuto sul business del mattone. Dopo i fasti dell'epoca industriale i soldi hanno girato intorno alle speculazioni nelle aree dismesse grazie a enormi crediti delle banche, alla connivenza dei politici e a non poche ingerenze della malavita. Una colata infinita di cemento e di malaffare. Lo skyline della città è cambiato e si è riempito di gru e grattacieli avveniristici destinati a ospitare uffici e abitazioni di lusso, le uniche che ancora si riescono a vendere. Poi è arrivata la crisi, il mercato immobiliare è crollato. Alcune dei suoi protagonisti sono falliti - come Zunino o Ligresti - ed è caduto anche Roberto Formigoni. L'ultimo scossone che ha messo fino all'impero del governatore Celeste è stato l'arresto del suo assessore alla casa, Domenico Zambetti, accusato fra le altre cose di comprare i voti dalla 'ndrangheta. Mentre non si faceva altro che costruire la città si impoveriva e sempre più persone non riuscivano ad avere un tetto sopra la testa.