Huffingtonpost.it, 6 dicembre 2016 (m.p.r.)
Ero sicuro del trionfo del No al referendum costituzionale fin dalla scorsa estate e gli evidenti errori di Matteo Renzi nella campagna referendaria hanno infine confermato le mie certezze.
Questo non perché io sia dotato di particolari virtù profetiche - perdo regolarmente le scommesse sul calcio - ma perché da molti anni faccio un bellissimo e privilegiato mestiere, il giornalista, che comporta l'abitudine a leggere la realtà così com'è e non come la vorremmo o come la interpretano le ideologie o i sondaggi. Attraversando la vita reale nei luoghi di lavoro, al supermercato, sugli autobus o al bar, era solare che Renzi stesse viaggiando a tutta velocità contro un muro.
La questione allora è: perché nessuno l'ha capito? Non parlo tanto di Matteo Renzi e della sua mediocre corte. Il governo che ci lasciamo alle spalle è stato fra i più dilettanteschi della storia della Repubblica. Verrebbe da dire: infantili. Capita a tutti di sbagliare, naturalmente, ma almeno da professionisti, come direbbe Paolo Conte, in un mondo adulto. Renzi ha sbagliato da dilettante, scommettendo tutto su una partita persa in partenza. Matematicamente persa in partenza, come scrivevo già a giugno.
Al vizio d'origine - un calcolo insensato - il premier ha aggiunto una strategia fallimentare, puntando come elemento di forza sull'estrema personalizzazione lideristica del quesito e fidandosi del sostegno di un coro di media che comprendeva la Rai più governativa di sempre, le reti Mediaset e molti grandi giornali. Senza capire che oggi l'endorsement o comunque la simpatia dei grandi media d'informazione non costituisce un vantaggio, ma piuttosto un handicap.
Il giornalismo ufficiale ha smesso di leggere e raccontare la realtà per farsi parte e difensore dell'establishment e come tale è percepito dall'opinione pubblica. Le sue opinioni, non "separate dai fatti" ma semplicemente contro i fatti, non influenzano più nessuno. E il ricorrente tentativo di terrorizzare il pubblico come si fa con i bambini, minacciando l'arrivo dell'uomo nero se non faranno i buoni, suona ormai patetico come la visione di uno spaventapasseri di stracci in un campo di grano.
Non per caso Grillo e Farage, Trump e Podemos, sia pure con le enormi differenze fra loro, hanno fatto dell'attacco sistematico ai grandi media un mantra di successo. Queste forze avanzano nel consenso non "nonostante" le scomuniche di giornali e tv perbene che li etichettano come populisti, ma in buona parte grazie a quelle.
Con la stessa superficialità e ignoranza del paese reale esibite lungo la stagione narcisistica del renzismo, ora i media perbene scoprono di colpo tutte le critiche al capo mai espresse in tre anni e grondano di consigli al piccolo principe per evitare la sconfitta di ieri, e dunque oggi utilissimi. Si può affrontare la questione in vari modi. Alimentando una polemica fra giornalisti, di cui poco importa.
Oppure facendo del moralismo, altrettanto irrilevante, per segnalare la propria diversità di liberi pensatori controcorrente rispetto agli allineati guardiani del potere. Ma la faccenda è altra e ben più seria. Riguarda la totale separatezza delle classi dirigenti dalla vita quotidiana dei cittadini. Tutte le oligarchie tendono a trasfigurare la realtà e piegarla ai propri interessi.
Ma per due secoli la funzione dell'informazione è stata appunto quella di mediare fra classi dirigenti e cittadini, riportando la discussione pubblica dentro confini reali e razionali. Oggi i media appaiono ancora più lontani dal reale di quanto non lo siano le oligarchie e il potere si abbevera a fonti d'informazione che confermano ogni giorno una visione distorta della società, scambiando le narrazioni di chi comanda per fatti concreti. Nel rimproverare i nuovi media di diffondere una "post verità" i vecchi media non si rendono conto di essere loro stessi ormai dei falsari.
Per tornare al referendum, non c'era davvero bisogno di aspettare il voto del 4 dicembre per capire che gli esclusi e i dimenticati, i giovani disoccupati e precari, le periferie del Nord, le regioni del Sud, tutti coloro insomma che non contano nulla per questa economia malata, il giorno in cui avrebbero potuto contare si sarebbero precipitati a votare contro il sistema.
La speranza è che almeno la lezione sia servita. Lo vedremo nelle prossime difficili settimane. Perso il referendum, Renzi è passato al piano B, che prevede elezioni subito. Aveva giurato che avrebbe abbandonato la politica e dovrebbe ritirarsi su una panchina con un cartoccio di fish and chips come David Cameron, che in fondo ha perso di poco e non contro una marea di No.
Chiederà invece il voto anticipato perché è l'unico modo di conservare la poltrona di segretario del Pd, avendo dovuto per la forza dei fatti (e non per coerenza, non siamo ridicoli) rinunciare a quella di premier. Ed è anche l'unico modo per completare il suo inconsapevole mandato storico, che sembra quello di demolire il sistema politico italiano ed europeo.
Checché ne dicano i suoi sciocchi consiglieri, gli stessi che avevano festeggiato con un "ciaone" l'inizio della fine con il referendum sulle trivelle, il Pd di Renzi non riuscirà mai a trasformare in consensi diretti il 40 per cento di Sì alla riforma. Anzi, se sarà confermato l'Italicum, il Pd in questa condizione rischia di non arrivare neppure al ballottaggio.
Alla fine sarebbe il trionfo dei 5 Stelle, persone che vivono nella realtà e non nel palazzo e per questo sono destinati a crescere nel consenso. Purtroppo non sono ancora attrezzati per governare. L'italia rischia così un cortocircuito che getterebbe nel buio l'intera Europa.