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Alberto Paolo; Magnaghi Baldeschi
Osservazione al Piano di indirizzo territoriale della Toscana
20 Luglio 2007
Toscana
Stralci della osservazione al PIT formulata da Baldeschi e Magnaghi e condivisa da un gruppo di docenti dell’Università di Firenze. Allegato il testo completo

1. FINALITÀ DELL’OSSERVAZIONE

[…]

L’osservazione è finalizzata a proporre modifiche riguardanti l’impianto del PIT, la sua operatività e a perseguirne una migliore coerenza con i principi della legge1/2005 di governo del territorio. Verranno perciòavanzate alcune proposte che riguardano la struttura e la logica dello statuto del PIT e, subordinatamente, alcuni contenuti di indirizzo o prescrittivi. Questo con particolare riferimento a:

- rendere chiara la distinzione concettuale e operativa fra la parte statutaria del PIT, che definisce le risorse essenziali, le invarianti strutturali e le regole statutarie per la tutela e la valorizzazione delle risorse stesse, e la parte strategica che definisce gli obiettivi di trasformazione del territorio; distinzione che costituisce il contributo più innovativo della legge regionale 1/2005. Dare autonomia alla parte statutaria del Piano, significa che le diverse opzioni strategiche debbono confrontarsi e risultare coerenti con la tutela e la valorizzazione delle risorse essenziali, garantendone la riproducibilità e la valorizzazione;

- attribuire allo statuto del territorio valore fondativo, “costituente” dell’identità del territorio e dei suoi valori patrimoniali inalienabili: questo carattere “costituzionale” richiede che l’elaborazione dello statuto sia sottoposta ad un processo partecipativo che ne garantisca la condivisione sociale;

- rendere coerente e integrare il piano paesaggistico con lo statuto del territorio, secondo le indicazioni del Protocollo di intesa fra il Ministero dei beni e le attività culturali e la Regione Toscana (gennaio 2007).

In accordo con la legge regionale 1/2005, il territorio è inteso come deposito di ricchezza appartenente alla collettività (patrimonio) e come espressione di valori di lunga durata (identità materiale) in cui sia assicurata la partecipazione dei cittadini quali soggetti attivi della costruzione, del controllo e dell’attuazione dei piani (identità sociale). I temi dello statuto del territorio, delle invarianti strutturali, della disciplina paesaggistica, della concertazione fra amministrazioni pubbliche e dei processi partecipativi sono fra loro strettamente interrelati, perché i valori patrimoniali collettivamente riconosciuti dovrebbero trovare espressione nello statuto del PIT ed assumere un carattere di invarianza.

2. MOTIVAZIONI DELL’OSSERVAZIONE: LA CRITICA ALLA STRUTTURA DELLO STATUTO DEL PIT

2.1 Dallo statuto del territorio all’agenda statutaria

La critica generale che viene formulata all’impianto concettuale del PIT riguarda il fatto che lo statuto del territorio risulta chiaramente ed esplicitamente (sia nella relazione generale che nella disciplina del piano) condizionato e subordinato agli obiettivi strategici del piano, articolati nell’agenda strategica.

L’introduzione del concetto, o meglio dell’ossimoro, “agenda statutaria”, a sua volta definita attraverso metaobiettivi e obiettivi, tradotti in invarianti strutturali nella disciplina del piano, è la chiave di volta di questo slittamento semantico. Metaobiettivi e obiettivi dell’agenda statutaria sono in gran parte gli stessi, scritti in altra forma e con funzione complementare, rispetto agli obiettivi dell’agenda strategica (che riguarda gli obiettivi di trasformazione socioeconomica e territoriale finalizzati al progetto di sviluppo).

Questa inclusione nello statuto di obiettivi di piano, che riguardano le azioni e le trasformazioni auspicate e non la descrizione dei caratteri delle invarianti strutturali, finisce con l’eludere il tema dei valori statutari attribuendo loro un carattere contingente e collegato in maniera insoddisfacente al riconoscimento e alla riproduzione delle risorse patrimoniali. Il concetto di “agenda” indica infatti “variabilità” e “temporalità” degli obiettivi, legati alla specifica fase politico-economica e alla sua agenda politica.

Questa scelta, che è motivata dalla giusta esigenza di improntare il PIT a una logica attiva di trasformazione del territorio, contro una logica puramente di tutela e “conservativa”, rischia tuttavia di “buttare via il bambino con l’acqua sporca”. In questo caso il “bambino” è lo statuto del territorio stesso, cosi come definito dalla legge 1/2005, nei suoi caratteri innovativi, di cui sono fondamentali:

a) la costruzione con procedimento autonomo e prioritario rispetto alle strategie di piano dell’impianto statutario che riguarda la definizione dell’identità di lunga durata del territorio attraverso la individuazione delle sue risorse patrimoniali essenziali, delle invarianti strutturali, del loro stato di criticità e di conservazione e delle regole che ne garantiscono la riproducibilità e la durevolezza;

b) la conseguente verifica di coerenza (attraverso la valutazione integrata) degli obiettivi di trasformazione, quali essi siano (comunque contingenti) con la riproducibilità delle risorse, e in linea più generale delle invarianti che, in quanto tali, si presuppone non varino ogni legislatura;

Trasformando invece lo statuto in “agenda statutaria” e facendone conseguentemente dipendere gli obiettivi dall’agenda strategica, si subordina la definizione stessa delle risorse essenziali e delle invarianti strutturali alle esigenze dello sviluppo economico (in questo caso un modello fondato sulla competizione globale, l’esportazione, le grandi infrastrutture, la centralizzazione dei servizi, ecc).

In conclusione non c’è corrispondenza fra lo statuto del territorio come definito dalla legge 1/2005 e l’agenda statutaria del PIT, che inserisce nella parte statutaria del piano metaobiettivi e obiettivi che dovrebbero far parte della parte strategica

Tutto ciò, oltre a determinare le osservazioni ed i rilievi critici già esposti, solleva più di una perplessità anche sul piano giuridico-formale. […]

2.2 Metaobiettivi e obiettivi

Cercheremo di esemplificare questo ragionamento entrando nel merito sia di metaobettivi e obiettivi della parte statutaria che specificano le invarianti strutturali nella disciplina del piano, sia di obiettivi strategici della parte strategica articolati a loro volta in sistemi funzionali.

Con l’artificio semantico della “agenda statutaria” vengono definiti, con la stessa valenza di elementi statutari, beni non negoziabili, fondanti l’identità del territorio toscano, inteso “come patrimonio ambientale, paesaggistico, economico e culturale” e beni di carattere funzionale (infrastrutture, servizi ed impianti di utilità pubblica) che, pur rivestendo un “peculiare interesse regionale”, dovrebberoessere, in coerenza con la legge 1/05, orientati e finalizzati alla riproducibilità dei primi. Sopprimendo questa distinzione, oltre al sacrosanto paesaggio, finiscono nello statuto allo stesso livello del paesaggio “porti, aeroporti, grandi impianti tecnologici finalizzati al trattamento dei rifiuti, alla produzione o distribuzione di energia, alla erogazione e circolazione delle informazioni mediante reti telecomunicative”. Qui la confusione fra risorse essenziali e termovalorizzatori, invarianti strutturali e tralicci dell’alta tensione si fa evidente.

A questo proposito, le specificazioni degli obiettivi relativi ai metaobiettivi, che sostanziano le invarianti strutturali nella disciplina del piano, confermano questa confusione di piani fra obiettivi statutari e strategici:

Ad esempio per il primo metaobiettivo (“integrare e qualificare la Toscana come città policentrica”) viene enunciata la giusta opzione di assumere un’interpretazione sistemica della “città della Toscana” come sistema policentrico (per il superamento del modello centro-periferico), del quale cogliere i caratteri e le potenzialità in quanto risorsa essenziale del sistema Toscana, da definire come invariante strutturale; rispetto alla proposizione di questa invariante sarebbe perciò conseguente proporre, in sede di statuto la definizione dei caratteri costituitivi della città della Toscana, e in sede di obiettivi strategici del piano, azioni per la complementarietà, l’integrazione, la specializzazione, il funzionamento a sistema, di ogni nodo della “città toscana”.

Invece, alla enunciazione del metaobiettivo “statutario”, anziché seguire la descrizione dei caratteri della invariante strutturale, seguono (par. 6.3.1 della relazione) obiettivi di “agenda statutaria” del seguente tipo:

- potenziare l’accoglienza della “città toscana”, sviluppare una nuova disponibilità di case in affitto, combattere la rendita immobiliare, ecc.; tutti obiettivi degnissimi per un programma di politiche pubbliche sulla casa, ma che poco hanno a che fare con il policentrismo e soprattutto con le invarianti strutturali.

- offrire accoglienza organizzata e di qualità per l’alta formazione: come sopra, si tratta di un’invariante statutaria o di un obiettivo strategico?

- sviluppare la mobilità intra e interregionale;

- sostenere la creatività come qualità della e nella “città toscana”;

- attivare la città toscana come modalità di governance integrata su scala regionale. Perfino la governance, chiaro esempio di scelta di una modalità di governo del territorio viene inserita nello statuto: come risorsa essenziale? Come invariante strutturale?

Analogo ragionamento può essere condotto per gli altri metaobiettivi e obiettivi dell’”agenda statutaria” che articolano, nella disciplina, in termini di direttive e prescrizioni le altre invarianti strutturali: ad esempio “sviluppare e consolidare la presenza industriale” e i “progetti infrastrutturali”.

L’unica eccezione riguarda il paesaggio che è trattato in termini propriamente statutari in relazione al Codice dei beni culturali e del paesaggio e alla Convenzione europea del paesaggio, ed è inserito in una definizione di territorio come Patrimonio ambientale, paesaggistico, economico e culturale della società toscana, di cui lo statuto si propone di conservare il valore (terzo metaobiettivo).

2.3 L’agenda strategicae la valutazione integrata

A questo punto, se si esclude il paesaggio, è legittimo chiedersi in cosa differisca l’agenda strategica dall’agenda statutaria. Per dichiarazione del piano stesso i sistemi funzionali in cui si articola l’agenda strategica, sono “funzionali” alla realizzazione dei metaobiettivi dell’agenda statutaria. Vale a dire che i metaobiettivi e gli obiettivi dell’agenda statutaria trovano nei sistemi funzionali dell’agenda strategica la loro consequenziale strutturazione operativa. Esemplificando i sistemi funzionali dell’agenda strategica (cap. 7 della relazione):

- La Toscana dell’attrattività e della accoglienza riprende in altre forme più o meno simili i concetti degli obiettivi 1 e 2del metaobiettivo 1 dell’agenda statutaria;

- la Toscana delle reti articola il concetto di rete oltre che per il metaobiettivo 1, per le imprese, le istituzioni locali (riprendendo la “governance” - 5° obiettivo del metaobiettivo 1);

- la Toscana della qualità e della conoscenza riprende in modo più generico i corrispondenti metaobiettivi dell’agenda statutaria);

Come si configura, a questo punto, la valutazione integrata? La matrice che viene presentata (cap 8.4 della relazione) è singolare: si tratta di verificare la congruenza dei sistemi funzionali del PIT con i metaobiettivi dell’agenda statutaria, ovvero della strategia del PIT con se stessa. Sarebbe ben curioso infatti che i metaobiettivi dell’agenda statutaria e i sistemi funzionali dell’agenda strategica, che fanno parte di un unico impianto progettuale, con diversi livelli di specificazione, fossero incoerenti fra di loro e con i programmi strategici del PRS di cui sono parte integrante.

Viceversa la matrice che avrebbe senso introdurre nel sistema di valutazione integrata sarebbe quella che mette in relazione le invarianti strutturali - specificate nei loro caratteri descrittivi e prescrittivi - e gli obiettivi dell’agenda strategica, per verificarne la coerenza (in termini ambientali, territoriali, paesistiche, ecc). Questa matrice, tuttavia, non può esserci in quanto non sono sviluppate le descrizioni e le prescrizioni relative alle invarianti strutturali, se si esclude in parte il metaobiettivo 3 (conservare il valore del patrimonio territoriale della Toscana) e i beni paesaggistici di interesse unitario regionale (sesta invariante strutturale dell’art. 31 della disciplina del piano), i cui caratteri, valori e obiettivi di qualità sono definiti nelle schede dei 38 ambiti paesistici del quadro conoscitivo).

3 LA PROPOSTA GENERALE:LO STATUTO DEL TERRITORIO COME “CARTA COSTITUZIONALE” DISTINTA DAL PIANO STRATEGICO

La proposta contenuta in questa osservazione consiste dunque nel distinguere con chiarezza nel governo del territorio la parte statutaria dalla parte pianificatoria. In quest’ottica, lo statuto del territorio si configura come una carta costituzionale, socialmente condivisa, che definisce le invarianti del territorio (in forma di rappresentazione del territorio, di valori condivisi, di patrimonio che si vuole trasmettere alle future generazioni, di regole riproduzione delle invarianti, ecc.). La parte statutaria del Piano, proprio in virtù del suo carattere “costituzionale” dovrebbe essere elaborata con l’effettivo coinvolgimento della società locale, mettendo in atto “percorsi di democrazia partecipata” in un arco di tempo che permetta una reale partecipazione dei cittadini e consenta di sottrarlo alle contingenze e pressioni tipiche della strumentazione urbanistica. Il piano, a sua volta, definisce le trasformazioni del territorio, gli investimenti, le destinazioni, ecc., coerentemente con i principi contenuti nello statuto.

La distinzione fra aspetti statutari e aspetti pianificatori, legati a specifiche e differenti condizioni e orizzonti temporali, comporta che non sia scontato che le opzioni effettive del piano siano conformi ai principi dichiarati, come avviene correntemente in una sfera retorica del piano che maschera spesso un percorso decisionale di senso esattamente inverso.

In sintesi, il corpus dello statuto deve essere separato dal piano e acquisire uno status specifico, di natura costituzionale, e lo statuto stesso deve essere considerato un invariante, cioè non modificabile se non mediante procedure particolari in cui sia centrale la partecipazione dei cittadini.

Le considerazioni precedenti comportano come conseguenza che le prescrizioni del piano, che sono necessariamente legate a specifici obiettivi e politiche e perciò hanno un carattere contingente, non sono diretta emanazione dei principi statutari (come si vorrebbe nell’agenda statutaria del PIT) ma si conformano ai principi statutari. In analogia con le leggi ordinarie dello Stato che rispondendo a specifiche situazioni non derivano dalla Costituzione ma devono rispettarne i principi.

In questa linea lo statuto non dovrebbe contenere un elenco di risorse che devono essere sottoposte a verifica rispetto a prestazioni funzionali assunte pleonasticamente come invarianti. La proposta è invece che la Regione formuli uno statuto, con un’ampia partecipazione della società toscana, in cui siano riconosciuti descritti e tutelati i valori patrimoniali e identitari del territorio che si vogliono trasmettere alle future generazioni.

La separazione fra statuto e piano non significa, ovviamente mancanza di relazioni. I piani dovrebbero, nelle loro previsioni di trasformazione del territorio, dare specifico conto della loro conformità con lo statuto. Qui entra in gioco anche la possibilità di un controllo da parte dei cittadini, ora frustrati da procedure di tipo burocratico in cui il Comune, controllore di se stesso, risponde alle osservazioni e richieste della società locale solo nei termini di un rispetto formale alla legge (operazione tanto più facile, quanto più la legge stessa è espressa in modo confuso e ambiguo). I cittadini dovrebbero potere trovare un’istanza che non sia il TAR (come ora avviene per scongiurare le peggiori iniziative), ma un organismo che abbia funzioni analoghe ad una “corte costituzionale”, che giudichi cioè se le trasformazioni proposte rispettino o meno i principi e le regole dello statuto.

Analogamente, anche le norme di salvaguardia, introdotte esplicitamente o implicitamente dal PIT nella Disciplina rischiano di rimanere sostanzialmente inefficaci se non viene previsto uno spostamento di poteri – a livello locale – dalle amministrazioni e dai sindaci verso i cittadini. Valga come esempio una prescrizione apparentemente “forte” del PIT relativa al patrimonio costiero: Sono da evitare nuovi interventi insediativi ed edificatorî su territori litoranei a fini residenziali e di ricettività turistica, se non in ottemperanza alla direttiva anticipata nel sottoparagrafo 2 del paragrafo 6.3.3 del Documento di Piano (cioè ai fini della riorganizzazione e del potenziamento delle attività portuali e in presenza di chiari e innovativi disegni imprenditoriali, capaci di far sistema con un’offerta turistica organizzata e integrata nella chiave di servizi plurimodali e coordinati). Ma coloro che decidono sulla ottemperanza o meno alla direttiva sono ancora una volta i Comuni, come risulta chiaro dall’Art. 36 della Disciplina (Lo Statuto del PIT e le misure generali di salvaguardia); Comuni che sono chiamati a giudicare, attraverso la valutazione integrata o altri procedimenti, sui loro stessi programmi e piani. E’ difficile che le amministrazioni smentiscano le loro stesse scelte dichiarandole incompatibili con i principi di buon governo del PIT, a meno di non introdurre nel processo valutativo strumenti di democrazia partecipativa che consentano una verifica sociale della coerenza delle politiche locali alle prescrizioni del PIT stesso.

4. LA PROPOSTA OPERATIVA

Da questa proposta generale consegue una proposta operativa molto semplice: trasferire i metaobiettivi e gli obiettivi dell’”agenda statutaria”, impropriamente collocati nella parte statutaria del piano, nella agenda strategica; sviluppare invece nella parte statutaria, come per il paesaggio, la descrizione dei caratteri delle invarianti strutturali e delle loro regole di conservazione e valorizzazione.

Proponiamo inoltre di eliminare l’invariante strutturale B) la “presenza industriale” in Toscana, che ci pare rappresentare più propriamente un obiettivo strategico relativo al consolidamento della struttura produttiva peraltro in profonda trasformazione, piuttosto che un’invariante strutturale che riguarda, come per le altre invarianti definite dal PIT, caratteri di lunga durata della struttura socioterritoriale; e di sostituirla con un’invariante, non esplicitata, relativa alla Rete ecologica regionale

Operativamente proponiamo perciò di sviluppare la trattazione delle 6 invarianti strutturali dello statuto proposte nel PIT articolando la descrizione delle risorse essenziali del territorio che le compongono e le regole di riproduzione sostenibile delle risorse stesse a cui i progetti di trasformazione della parte strategica devono conformarsi.

Poiché è evidente che le invarianti del PIT non possono assumere immediata operatività, ma richiedono una loro traduzione nei PTC delle Province e negli strumenti urbanistici Comunali, devono essere rese operative le misure di salvaguardia contenute nell’Art 36 della Disciplina del PIT, prevedendo forme di partecipazione dei cittadiniai procedimenti che devono valutare la rispondenza delle previsioni urbanistiche comunali alle direttive e alle prescrizioni del PIT.

A titolo esemplificativo, proponiamo alcuni titoli che dovrebbero sostanziare la definizione delle invarianti strutturali costitutive dello statuto del territorio. […]

In allegato il testo integrale dell’osservazione nel formato .pdf

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