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Francesco Erbani
Se la laguna si trasforma in un Club Méditerranée
27 Luglio 2011
MoSE
Un articolo di Francesco Erbani su la Repubblica del 13 aprile 2003. E alcune mie osservazioni.

Un colpo di piccone, una porticina, una scala interna, un pertugio che diventa finestra per meglio godere del canale, un bagno, l’angolo cottura, i mobili Ikea. Se nessuno li ferma, Venezia compirà un altro passo, quello forse decisivo per trasformarsi dalla città che è sempre stata, città fragile e bellissima, in un parco turistico. Una Yellowstone con il Palazzo Ducale, il Guggenheim, la chiesa dei Frari e di San Zaccaria, pochissime case dove si confineranno alcuni cocciuti veneziani, e il resto, la gran parte, alberghi e affittacamere.

Che Venezia fosse assediata da 12 milioni di turisti ogni anno, i quali d’estate, spinti da uno scirocco che appiccica le mani, arrivano anche a 100 mila al giorno, e a Carnevale sono 120 mila, era vicenda nota. Ora è la città della laguna che muta la sua essenza, finendo per assomigliare fisicamente a un Club Méditerranée. Stanno trasformandosi in albergo il settecentesco palazzo Ruzzini in Campo Santa Maria Formosa, palazzo Barocci, l’antico palazzo da Mosto sul Canal Grande (con un portico del Duecento), palazzo Sagredo, palazzo Giovannelli e palazzo Genovese alla Salute. Già è un albergo palazzo Sant’Angelo sul Canal Grande. Il lussuoso Hotel Monaco ha inglobato il teatro Ridotto e il cinema San Marco, e come il Monaco molti altri alberghi acquistano l’edificio confinante e si allargano. Un albergo sorgerà all’Arsenale, un altro dentro il Molino Stucky e nelle isole di San Clemente, Poveglia e Sacca Sessola.

Ma non sono solo i palazzi di grande pregio architettonico a essere investiti dal ciclone alberghiero (peraltro alcuni di essi si sfarinerebbero se non risanati dalle holding vacanziere). Vengono ristrutturati e frazionati anche centinaia e centinaia di normali appartamenti: diventeranno residence da affittare per una settimana o anche per un week-end. Il fenomeno è concentrato negli ultimi due, tre anni. Grosso modo dal Giubileo e dall’entrata in vigore di un piano particolareggiato per il centro storico che prevede norme urbanistiche molto meno severe di un tempo nel cambio di destinazione di un edificio (ma anche di negozi e botteghe). Secondo l’Azienda provinciale per il turismo, i residence, bed & breakfast o affittacamere sono 455. Erano 59 tre anni prima. Un numero imponente, sotto il quale si nasconde una massa di sommerso che ammonterebbe a più del doppio.

Le storie si rincorrono fra le calli. Ogni veneziano ne conosce una. Quella del macellaio di Cannaregio, per esempio, che ha chiuso la bottega, ha comprato tre palazzetti, ne ha ricavato dieci miniappartamenti, li ha piazzati su un sito Internet e ora incassa dai mille ai milleduecento euro a settimana per ognuno di essi.

Ma dove sta il problema? Uno dei problemi lo segnala Mario Piana, professore di restauro allo Iuav, l’Istituto universitario di architettura. L’edilizia veneziana non è come l’edilizia delle altre città del mondo, esordisce Piana. «A Venezia si è costruito in legno fino a tutto il XII secolo. Da quel momento al legno si è affiancata la muratura, ma un precetto è rimasto saldo: la ricerca della massima leggerezza, per caricare il meno possibile il suolo lagunare». In particolare, spiega Piana, le pareti di un edificio sono sempre state sottilissime, dai 25 ai 40 centimetri, al massimo 60 nell’edilizia civile. La stabilità del manufatto era garantita dai solai, concepiti per assorbire ogni deformazione. Sopra i solai si stendeva il pavimento detto, appunto, alla veneziana, un blocco unico, senza giunture.

Piana si accalora: «Manomettere queste strutture è pericolosissimo». In che senso? «Ogni stanza d’albergo, ogni piccolo appartamento ha bisogno di bagni. Lei ha presente cosa significa far passare altre tubature dentro pareti così sottili e in solai che non possono essere disinvoltamente intaccati? L’equilibrio statico degli edifici, a lungo andare, ne risentirà». Uno scenario che toglie il sonno. Conclude Piana: «E passi per gli alberghi, che si espandono nei palazzi confinanti. Lavorano alla luce del sole e sotto il controllo della Soprintendenza. Anche se solo per gli interventi di alto livello si rispetta la struttura tipica dell’appartamento signorile veneziano, con il salone passante al centro che va dal fronte al retro dell’edificio e sul quale si affacciano le stanze. Ma mi domando: chi vigila su quei proprietari che da un appartamento ne tirano fuori tre?»

La trasformazione di Venezia avviene sottotraccia, senza i sussulti polemici che accompagnano il Mose (la posa della prima pietra delle dighe mobili alle bocche di porto avverrà a metà maggio) e la metropolitana sublagunare. Gli occhi di tutti a Venezia sono rivolti alle gru che sormontano i cantieri del ponte disegnato da Santiago Calatrava e del nuovo teatro La Fenice, opera di Aldo Rossi, mentre sono imminenti i lavori per il Terminal firmato da Frank O. Gehry e per i nuovi spazi del Guggenheim progettati da Vittorio Gregotti a Punta della Dogana. Ma intanto il destino di Venezia va iscrivendosi in una costellazione dove l’unica stella che brilli è quella del turismo.

I residenti nel centro storico sono scesi a 64 mila (sono 300 mila in tutto il Comune, compresa la terraferma) e fra dieci anni potrebbero essere poco più di 55 mila. La diminuzione non si arresta in una città che invecchia vistosamente (un veneziano su quattro ha più di 65 anni): 700 in meno nel solo 2001, 600 nel 2002, 140 fra il dicembre 2002 e il gennaio 2003. Gli abitanti erano 164 mila nel 1951. Forse erano troppi, ma adesso sono troppo pochi e molti temono che si stia scendendo sotto la soglia minima oltre la quale scarseggiano ospedali e scuole. Per non deperire (recita una prescrizione cara ad architetti e urbanisti di tutto il mondo) un centro storico deve ospitare molte funzioni (la residenza, gli uffici, i servizi, il lavoro, la cultura, il divertimento): Venezia le sta perdendo. Oltre ai residenti, se ne vanno gli uffici direttivi di banche, assicurazioni ed enti pubblici. Per trovare un alimentari, una farmacia o un fabbro, un veneziano deve scansare pizzerie a taglio, botteghe di ventaglietti, di vetro spacciato per Murano, di maschere e di merletti ricamati a Taiwan. E i prezzi sono di rapina. Il turismo è ormai la monocultura dei veneziani, il quaranta per cento dei quali già lavora in bar, ristoranti, alberghi, agenzie. E adesso è come se la città non avesse più la forza di resistere, lasciando agli ospiti occasionali anche le proprie case.

Giuliano Zanon è il direttore del Coses, il centro studi più attento alle vicende della società veneziana. I dati che snocciola, elaborati su indagini di Nomisma, impressionano. In città una casa, non certo sul Canal Grande, può raggiungere i 5.500 euro per metro quadrato. In quattro anni i prezzi sono cresciuti del 40 per cento, il ritmo più alto di tutta Italia. Un negozio può valere dai 10 ai 14 mila euro al metro quadrato. «Ormai le attività legate al turismo hanno spiazzato economicamente sia la residenza che ogni altra attività del centro storico», conclude Zanon.

L’ondata di bed & breakfast, conferma Zanon, si riversa su Venezia non appena cambia il piano regolatore del centro storico, nel 1996. Fino ad allora vigevano limiti molto stretti. Per modificare la destinazione di un appartamento da residenziale ad altro uso era necessario che questo fosse di almeno 200 metri quadri per piano: così avevano stabilito gli autori del documento, Edgarda Feletti e Luigi Scano (assessore all’urbanistica di quella giunta rosso-verde era Edoardo Salzano). Solo pochi edifici vennero trasformati. Nel '96 quel limite è stato portato a 120 metri quadrati: troppo vincolistico il precedente regime, dissero l’assessore della giunta Cacciari, Roberto D’Agostino, e il consulente Leonardo Benevolo. E non solo. E’ mutato anche un criterio interpretativo. Invece che su un piano, i 120 metri quadrati potevano essere calcolati anche su più piani. Di fatto si consentiva a tutti gli appartamenti di Venezia di diventare camere d’affitto.

Ora si cerca di contenere. La giunta di Paolo Costa ha preparato una delibera, che però trasloca da una scrivania all’altra senza approdare al voto. Che il fenomeno sia preoccupante ne è convinto anche il sindaco, il quale però ammette: «Contro l’esodo di abitanti possiamo fare ben poco. E poi non è questo il problema principale del centro storico». E qual è? «Mancano le occasioni di lavoro che possano contenere l’esodo». Qualcuno sostiene che Venezia potrebbe vivere anche con la manutenzione di se stessa... «E’ un’attività che svolgiamo. Vada in giro. Stiamo scavando i rii per abbassare il fondale e consentire all’acqua di incanalarsi, evitando di sommergere la città. Al tempo stesso innalziamo il livello della pavimentazione, sempre per scongiurare l’acqua alta. Risaniamo i muri di sponda e il sistema fognario. Un lavoro che non dovrebbe mai terminare. Ma non basta perché Venezia sopravviva». Cosa manca? «Dobbiamo convincere imprese italiane e straniere a venire a Venezia, imprese produttrici di beni immateriali, come ricerca e comunicazione. Ecco la destinazione ideale per molti dei nostri edifici storici. A cominciare dall’Arsenale».

Intanto Venezia si prepara alla piena di Pasqua (prezzo medio 1000-1500 euro per cinque giorni in un appartamento dai 40 ai 50 metri quadrati). A San Stae era tutto pronto per l’apertura di un asilo nido. In zona ce n’è uno solo ed è stracolmo. «Avevamo i soldi, avevamo trovato il luogo adatto e il personale. Avevamo stilato il progetto e avviato i lavori. L’assessorato alla pubblica istruzione ci ha appoggiati, ma gli uffici dell’edilizia privata non ci hanno concesso il cambio di destinazione d’uso di un appartamento di 180 metri quadri», denuncia la promotrice, Roberta Lazzari, della cooperativa Macramè. «Se avessimo chiesto di aprire una locanda non avremmo avuto problemi».

Postilla



1) L'ho iniziato io, e vi ho collaborato fino alla fine, ma il PRG del centro storico è stato concluso e presentato in Consiglio dall'assessore Stefano Boato, e adottato quando era assessore Vittorio Salvagno.

2) Il primo atto che ha consentito di "liberalizzare" è stato la revoca, da parte della giunta Cacciari, della delibera comunale che, applicando una legge nazionale (15/1987), consentiva al Comune di evitare l'invasione dei fast food e dei negozi di junk in modo ancora più efficace del PRG.

3) In coerenza con questo primo gesto, il PRG è stato sostanzialmente modificato nella normativa, consentendo con il più ampio permissivismo i cambiamenti di destinazione d’uso (sindaco Cacciari, assessore D’Agostino).

4) Erbani accenna soltanto all'altro gravissimo rischio che grava sulla città: gli interventi alle Bocche di porto (il MoSE). Ma questo è un altro argomento, ampiamente trattato in questa stessa cartella.

5) Il sindaco Costa, intervistato da Erbani, attribuisce i mali di Venezia all'assenza di posti di lavoro. Eppure egli sa benissimo che per ogni persona che esce per lavorare dieci entrano a Venezia, dove i posti di lavoro sono da decenni più abbondanati delle forze di lavoro. Lo ha ricordato il 15 aprile Mario Infelise in una lettera a la Repubblica .

Venezia si sbriciola abbandonata al turismodi Mario Infelise

L'incendio del Mulino Stucky, trasformato in colossale albergo, ripropone in termini drammatici il problema di Venezia, ben descritto nell'articolo di Francesco Erbani di domenica. La città è ormai abbandonata ad una espansione turistica piratesca. La trasformazione di normali abitazioni in locande e camere da affitto - che spesso lavorano in nero - ha effetti devastanti sul tessuto urbano. E' falso sostenere che lo spopolamento sia determinato dalla mancanza di opportunità di lavoro. Oltre 20.000 persone raggiungono quotidianamente Venezia per lavorare o studiare e molti vi trasferirebbero volentieri.

Il pericolo più incombente di Venezia non è solo l'acqua alta, ma anche questo turismo che espelle all'esterno gli abitanti e ogni altra attività civile.

E non illudiamoci sia solo un problema di Venezia. Firenze sta forse meglio? Pochi anni di questo sviluppo sono bastati a compromettere la nostra civiltà urbana.

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