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Emanuela Valente
Visi e nomi degli uomini che maltrattano:Ecco cosa sta cambiando
6 Marzo 2018
Donna
Corriere della sera, 27sima ora, 7 febbraio 2018. Non abbiamo trovato articoli più recenti sull'argomento. Vedremo domani, 8 marzo

Corriere della sera, 27sima ora

Sono per oltre il 70% italiani, tra il 30 e i 50 anni, gli uomini accusati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, stalking, femminicidio. Oltre il 48% sono mariti, fidanzati o persone che fanno parte del contesto familiare. Anche o soprattutto per questo, 1 denuncia su 4 viene archiviata ed una percentuale variabile - ma comunque significativa - di dibattimenti si conclude con una assoluzione (dal 12,6% del distretto di Trento fino al 43,8% dei casi nella provincia di Caltanissetta).
27sima ora

È questo uno dei motivi principali per cui, nonostante il numero resti elevato, si è registrato negli ultimi mesi un calo delle denunce per maltrattamenti: come ci racconta la cronaca, sono molte le donne che decidono di non denunciare per timore di non essere adeguatamente protette e forse, ancora, per la paura di essere giudicate. La relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio sottolinea la inadeguatezza dell’Italia anche solo nel fornire i dati richiesti dalla Convenzione di Istanbul, non essendo previsto un reato di “femminicidio” e nemmeno – fino al luglio 2015 - un sistema integrato di raccolta e di elaborazione dati.

Solo il 36% degli uffici giudiziari lavora in rete e la mano destra non sa cosa fa la sinistra: il tribunale civile non comunica con quello penale e viceversa, ed accade così che un padre condannato per violenze domestiche venga definito “adeguato genitore affidatario” da quello civile, permettendo che il bambino continui a subirne i comportamenti, con il supporto di CTU (Consulenti Tecnici d’Ufficio) e Servizi Sociali. Sono molte (ma non sappiamo quante) le madri che rinunciano a proseguire nelle denunce per timore di essere giudicate alienanti e vedersi sottrarre i figli invece di poterli proteggere.

Tutto questo viene perfettamente fotografato dalla Rassegna Stampa che curo del primo mese del 2018. Sono 4 italiani e 1 cinese gli autori dei 5 femminicidi accertati compiuti a gennaio. Si chiamano Fabrizio Vitali, che ha ucciso una ragazza nigeriana all’interno di un albergo in provincia di Bergamo; Pasquale Concas, che – dopo aver già scontato una pena di 23 anni per l’uccisione di una donna – è tornato ad uccidere a Modena, dove ha gettato una giovane ungherese lungo i binari ferroviari; Gabriele Lucherini, accusato dell’omicidio preterintenzionale della compagna, che lo aveva riaccolto in casa, a Novara, dopo averlo già denunciato per maltrattamenti; Davide Mango, che a Caserta ha ucciso la moglie sparando all’impazzata e ferendo altre cinque persone. Potrebbe essere italiano anche l’assassino di Lin Suqing, la prostituta cinese trovata imbavagliata e seminuda in un appartamento in provincia di Salerno. Wu Yongqin, invece , che ha ucciso la moglie e un bimbo di tre anni nel loro appartamento a Cremona, è di origine cinese, anche se viveva in Italia da ormai 15 anni. Fino al 30 gennaio, è lui l’unico autore “straniero” di femminicidio: ha ucciso altri cinesi.
Il 31 gennaio viene ritrovato il cadavere di Pamela Mastropietro, una 18enne con problemi di droga, il cui corpo è stato smembrato e abbandonato all’interno di due valigie. Un delitto orribile con una vittima giovane e bella. Fermato, la sera stessa del ritrovamento, un pusher nigeriano, il cui nome – Innocent - stride terribilmente con il resto della vicenda . Ignorando le grida di difesa di Innocent e le indagini ancora in corso, intorno alla tremenda sorte di Pamela si crea più di un fronte: si parla di immigrazione, di stranieri che odiano le donne, di razzismo, di politica che non ha controllo o di partiti che favorirebbero questi drammi, arrivando al fanatismo e alla vendetta. L’uccisione della ragazza fuggita dalla comunità di recupero viene definita - prematuramente e inopportunamente - “femminicidio” (se la ragazza è morta di overdose non si può dire “uccisa in quanto donna”) e diventa pretesto per battaglie politiche, proclami ideologici e sparatorie razziste. Niente di nuovo, insomma.

Così come niente di nuovo, purtroppo, rivela la rassegna stampa delle aggressioni subite dalle donne e quella degli episodi che vedono coinvolti i bambini, utilizzati spesso come strumento di ricatto: dal padre separato che strappa il figlio dalle braccia della mamma a Salerno a quello che si barrica in casa con un neonato a Catania, dall’avvocato di Torino che ha abbandonato il bimbo sul balcone a quello che fugge con la figlia a Latina, dai tanti che picchiano la mamma davanti ai bambini (a Padova come a Foggia, ad Ancona come a Trieste e in tutto il resto della penisola) a quelli che minacciano di uccidere o sfregiare i figli (a Firenze, Mantova, Savona eccetera).

E ancora nulla di nuovo sembra esserci nella diffidenza con cui persino alcune madri accolgono le denunce delle figlie, negli attacchi che riceve chi denuncia pubblicamente, fino agli schieramenti di incomprensibile difesa nei confronti degli uomini maltrattanti.

Ma oltreoceano la Giudice Rosemarie Aquilina fa qualcosa di nuovo, gettando con disprezzo la memoria del medico pedofilo Larry Nassar, condannandolo a ben 175 anni di prigione ed invitando le donne a «tornare del mondo e fare cose meravigliose».

Nel nostro piccolo, anche noi italiani registriamo qualche timido segnale di cambiamento: due giornali locali (della provincia di Trapani e di Reggio Calabria) hanno deciso di pubblicare la foto degli uomini violenti. Matteo Foggia e Ion Marian Raulet, hanno così goduto inaspettatamente del loro momento di notorietà per aver picchiato le rispettive compagne. Al posto delle banali foto di agenzia che generalmente ritraggono anonime volanti, finalmente in primo piano i volti di due uomini maltrattanti, con nomi, cognomi e curriculum. A fargli compagnia, le foto di Massimo De Angelis, l’insegnante “innamorato” della studentessa quindicenne, e quelle del magistrato destituito Francesco Bellomo, inventore del “dress code” per diventare giudice. Ne mancano ancora tante, ma confidiamo nello spirito emulativo.

La vera differenza, infatti, la fanno le vere denunce: quelle con nomi e cognomi, quelle che mostrano le facce, quelle che pretendono davvero che chi ha sbagliato paghi e sia di monito a tutti gli altri, quelle che vogliono che sia il colpevole ad essere giudicato con disprezzo, e non chi ha subito. Sarebbe bello, in questo mese di febbraio, poter segnalare la novità di un sostegno totale ed incondizionato alle donne che decidono di denunciare, a cominciare dalle madri per finire agli organi di polizia e giudiziari: scoprire insomma il vero e profondo cambiamento di un paese.

Articolo tratto qui da Corriere della Sera, 27sima ora. dove è raggiungibile

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