Le ragioni che sollecitano un gruppo di intellettuali a invitare la sindaca Raggi a ritirare il SI alla decisione, promossa da un consistente gruppo d'interessi economici, di organizzare a Roma le Olimpiadi . Il Fatto Quotidiano, 3 settembre 2016
In una città economicamente fallita – con un debito storico che si aggira ora sui 14 miliardi, blindato nel 2008 e spalmato fino alle prossime generazioni – con una scia di opere incompiute – basti citare la Città dello sport a Tor Vergata, con due relitti che dovevano essere finiti per i Mondiali di nuoto del 2009–o che si sono dilatate oltre ogni pessimistico pronostico di tempi e di costi – come la Metro C, che da Pantano doveva arrivare a Piazzale Clodio nel 2016 e che ancora non arriva alle mura del centro storico – è difficile avere fiducia nei cronoprogrammi e nei piani economici delle grandi opere. E soprattutto è difficile non vedere le migliaia di interventi che dovrebbero essere messi in agenda per restituire ai romani una qualità della vita degna delle altre capitali europee. Ai quali si aggiungono, dopo il tragico campanello d’allarme dei giorni scorsi, tutti gli interventi necessari per garantire la sicurezza in una città a rischio sismico.
Perché Roma è una città con uno straordinario patrimonio storico e archeologico lasciato andare in rovina perché non ci sono (o non si trovano) i fondi necessari per curarlo; è una città in cui il verde pubblico è in totale abbandono, in cui non si sfalciano più le aiuole neanche in centro, neanche in prossimità di fiori all’occhiello come il MAXXI di Zaha Hadid e l’Auditorium di Renzo Piano; è una città in cui le strade e le piazze sono cosparse di immondizie, in cui i tavolini di bar e ristoranti occupano abusivamente e impunemente lo spazio pubblico, dove le strade sono piene di buche e i marciapiedi non sono sicuri per chi ci cammina. Roma è una città con tanti quartieri in cui neanche esistono i marciapiedi. Periferie nate dalla speculazione o dall’abusivismodoveladistanzafisicadalcentrocorrispondeaun’incolmabile distanza sociale. Centinaia di migliaia di persone che bruciano una parte consistente della loro vita bloccate nel traffico o aspettando mezzi pubblici scarsi, lenti e malfunzionanti; una città con alcuni quartieri che sembrano usciti dal dopoguerra, dove non ci sono macerie ma mancano strade, fognature, elettricità.
E Mafia Capitale, l’intreccio di corruzione svelato dalle indagini giudiziarie dalla fine del 2014, non è finita. I suoi echi rimbalzano ogni giorno sulle pagine dei giornali e nelle aule giudiziarie. Le regole continuano ad essere aggirate e infrante da tanti pezzi della pubblica amministrazione, della politica, del mondo imprenditoriale, da tanti cittadini. Il degrado che si è impadronito fisicamente delle strade e di ogni spazio pubblico ha intaccato anche le comunità, la solidarietà, la dignità individuale e collettiva. L’unica risposta che ha saputo dare questa città stremata è stata il voto compatto a un soggetto politico che non ha passato e cheha promesso cambiamento. Un cambiamento anche rispetto alle Olimpiadi, dicendo chiaramente che Roma ha altre priorità da affrontare, prima di imbarcarsi in avventure dall’esito e dai vantaggi incerti.
ROMA. È una città con ferite e cicatrici profonde, che non guariranno in otto anni. Non guariranno mai, se non saranno affrontate con la serietà e la responsabilità di chi mette al primo posto le persone e l’interesse collettivo. È perfino offensivo offrire ai cittadini di Roma quello che dovrebbero avere di diritto nella forma di un modesto vantaggio collaterale da ritagliare a margine di una manifestazione sportiva.
Qualunque decisore che abbia a cuore il futuro di Roma dovrebbe sentire il dovere di portare la Capitale d’Italia a quegli standard di legalità, rispetto delle regole, vivibilità, tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale che ormai sono stati raggiunti da città con storie ben più difficili della nostra.
Propagandare le Olimpiadi del 2024 come un’occasione di riscatto per la città ricorda le tristi scenografie di cartapesta con cui a Roma, in tempi poi non così lontani, si nascondevano le miserie dei quartieri più poveri.