Il Fatto quotidiano, 5 settembre 2015
Massimo Livi Bacci è il più noto e accreditato studioso italiano di demografia. Scienza che illustra il futuro con i numeri e non predice...
«No, la Sibilla predice! Il demografo, che deve conoscere bene i meccanismi e le cause dello sviluppo della popolazione, si limita a fare delle ipotesi ragionevoli circa il futuro e trarne le conseguenze numeriche. In genere, data la relativa gradualità dei fenomeni demografici, si riesce a fornire un ragionevole quadro previsivo a qualche decennio di distanza. Diciamo per l’intervallo di una generazione, spingiamoci pure fino alla metà del secolo. Andare oltre non si può. O meglio: si può, ma è bene non crederci! »
Sappiamo che gli italiani nel 2050 saranno più vecchi e più soli. Quanto più vecchi e quanto più soli?
«Le ultime ragionevoli previsioni delle Nazioni Unite (rese note alla fine di luglio) assegnano all’Italia, nel 2050, una popolazione di 56,5 milioni di abitanti (3,5 milioni meno di oggi), nonostante una modesta ripresa della natalità, e il proseguire di una consistente immigrazione (anche se ridotta rispetto agli anni trascorsi) e un ulteriore aumento della speranza di vita. Saremo sicuramente più “vecchi”; l’età media crescerà dai 46 anni di oggi a 52 anni nel 2050; oggi una persona su 14 ha più di 80 anni, nel 2050 una su sei, Sicuramente il fortissimo aumento dei molto anziani implicherà anche una crescita delle persone che vivono sole».
Le metropoli continueranno a gonfiarsi a dismisura e il crinale appenninico subirà una desertificazione ancor più accentuata?
«Direi di no. La popolazione delle grandi città – Roma, Milano, Napoli, Torino – ha toccato il suo massimo negli Anni Settanta, per poi decrescere. Questa diminuzione è stata poi compensata dalla crescita dei Comuni delle cinture, che integrano le aree metropolitane, ma anche questi hanno finito di espandersi. Il miglioramento della mobilità consentirà una rivalutazione dei centri minori, dove la qualità della vita è spesso migliore e i costi più abbordabili».
L’osso d’Italia, diceva Manlio Rossi Doria, sono le aree interne del Mezzogiorno. Lì si muore e non si nasce. Tra cinquant’anni sarà un cimitero all'aperto?
«I rapporti dello Svimez, da qualche anno, documentano con precisione il processo di desertificazione, anche demografica del Mezzogiorno. Le regioni dove si fanno meno figli stanno nel Sud del paese, l’immigrazione dall’estero non compensa l’emigrazione verso le altre regioni, l’invecchiamento è più rapido, la qualità del “capitale umano” si contrae per la partenza dei più scolarizzati. Si sta erodendo la base sulla quale si innestano lo sviluppo e la crescita».
La forza lavoro straniera ci ha già salvati nel saldo demografico. Tutti pensiamo che la triste invasione di barconi
sia però insosteni
bile per il futuro della nostra condizione
di civiltà. È così oppure abbia-mo bisogno di
altra gente, di
altri e nuovi italiani?
«L’ondata dei rifugiati è collegata alle catastrofi e ai conflitti che segnano un arco che va dall’Ucraina al Medio Oriente, dal Corno d’Africa alla Libia. È un fenomeno che nulla ha a che fare con il normale sviluppo, così come una esplosione nucleare è estranea alla normale dinamica climatica a . Al netto dell’irrisolto problema dei rifugiati, l’Italia continuerà ad aver necessità di immigrazione, per rinsanguare una forza lavoro invecchiata e in declino, per contrastare se non la desertificazione, l’impoverimento della società».
I nuovi italiani, quelli che abiteranno le nostre case nel 2050, chi saranno? E quale lingua parleranno? Saranno più colti di noi? Più civili di noi, più rigorosi di noi?
«Parleranno l’italiano – male le prime generazioni, benissimo le seconde – se la scuola funzionerà come deve. E se noi, italiani di nascita, saremo colti, civili e rigorosi, lo saranno anche loro. Sempre che la politica, la società, la cittadinanza si convinca che gli immigrati non devono essere braccia in affitto temporaneo, protesi di cui disfarsi cessato il loro utilizzo, ma innesti duraturi da curare e far crescere».
Lei come giudica gli italiani? Aperti al nuovo oppure intimamente razzisti o ancora campioni di una furberia nazionale a proposito di stranieri (ci vanno bene solo quando risolvono problemi e accettano lavori che noi non vogliamo più).
«Gli italiani, nel complesso, hanno accettato in modo ragionevolmente aperto un fortissimo flusso di immigrazione. Ragionano sull’esempio del muratore albanese che ha riparato il tetto, la signora moldava che accompagna la vecchia nonna, l’egiziano che sforna le pizze in fondo alla strada, la filippina che fa i lavori domestici... Facciamo sì che questi rimangano i metri di giudizi, e che il velenoso e colpevole opportunismo di alcuni politici non riesca a deformarli».