Il sindaco Brugnaro, che possiede anche una laurea in architettura, non ha dubbi sulle qualità estetiche dell’albergo- “il bianco sposa il materiale del ponte di Calatrava”, ma è sdegnato, perché la burocrazia ha rallentato la realizzazione di “un pezzo di storia di Venezia fatto tutto con soldi di privati” . Non ha chiarito se, a suo giudizio, anche la costruzione dell’edificio (l’unico costo rimasto a carico dei proprietari, ai quali ormai regaliamo terreni, permessi, agevolazioni fiscali, concessioni, condoni) dovrebbe esser pagata dai contribuenti, ma ha invitato ad aver pazienza “l’opera va capita… e per il gusto, bisogna dargli tempo”.
L’albergo non piace, invece, a Vittorio Sgarbi che vorrebbe ricoprirlo d’edera. Non piace neppure al rettore dell’Università IUAV, Amerigo Restucci, che suggerisce alla Biennale di indire un concorso fra giovani progettisti per trovare il modo di “mimetizzarlo”. Non è escluso che, con un rivestimento vegetale, l’edificio potrebbe essere spacciato come capolavoro green ed ecosostenibile, ma a prescindere dall’opportunità di camuffare un manufatto che si addice perfettamente al modello di città a cui si ispira il sistema di potere che domina Venezia, il rettore dimentica che già nei primi anni 90’, quando il direttore era Francesco Dal Co, la Biennale di Architettura indisse un concorso internazionale per la sistemazione di piazzale Roma. E l’unico concreto risultato fu l’idea, fortemente sostenuta da Dal Co e da lui caldeggiata presso l’amministrazione comunale allora retta dal sindaco Cacciari, e quindi inserita nel piano regolatore del 1995, di costruire un ponte nella esatta posizione in cui è stato messo il Calatrava.
Da allora ha preso avvio la trasformazione di piazzale Roma, in cui si inserisce l’albergo Santa Chiara. Ha ragione, in questo senso, Elio Dazzo, il proprietario, nonché presidente dell’associazione pubblici esercizi di Venezia, quando dice “piazzale Roma, con la nuova Cittadella della Giustizia, la nuova pensilina, il people-mover, l’arrivo del tram e il ponte di Calatrava sta già cambiando volto. Non capisco perché il mio albergo, in questo contesto, non possa starci”. Ci sta, infatti, e ci sta anche F 30, il locale che Dazzo possiede sull’altra sponda del Calatrava, all'interno della stazione ferroviaria, e che viene così pubblicizzato: “con ampia metratura, si affaccia su piazzale Roma e sul ponte di Calatrava. Dispone di un ampio dehors sulla parte terminale del Canal Grande… offre servizio di bar, ristorante, pizzeria e pasticceria ed è aperto tutto il giorno. Cucina italiana con piatti di carne e pesce con cucina a vista. Musica live in serate dedicate”. Forse, queste non sono le priorità per chi va in stazione, sperando di salire su un treno regionale che non c’è più, ma sono sicuramente funzioni e attività coerenti con il contesto a cui fa riferimento il proprietario dell’albergo. Contesto, il cui progetto avrebbe dovuto essere discusso pubblicamente nella sua interezza, e che viene invece esibito un pezzo alla volta, ed ogni volta avendo cura di attirare l’attenzione su aspetti marginali, e comunque inerenti solo l’immagine dei singoli episodi architettonici.
La cittadella della Giustizia
Nello stesso periodo in cui si tesseva l’operazione Calatrava, il demanio trasferì il vicino compendio della Manifattura Tabacchi (attività sospesa nel 1997) al comune di Venezia che decise di collocarvi tutti gli uffici giudiziari della città. È stata cosi realizzata la cosiddetta cittadella della Giustizia, in parte all’interno degli edifici della Manifattura- “un’occasione per restituire alla città un’area inaccessibile”- in parte con una nuova costruzione incastrata di fianco al garage san Marco, subito insignita del premio medaglia d’oro dell’architettura italiana per la committenza pubblica, riconoscimento con il quale il Ministero dei Beni Culturali e del Turismo, assieme alla Triennale di Milano e a MadeExpo intende promuovere l’architettura contemporanea come “costruttrice di qualità ambientale e civile”. Tra le sue “qualità ambientali” c’è quella che i fanghi ed i materiali ricavati dagli scavi sono stati usati per imbonire un pezzo di laguna (intervento esplicitamente vietato dalla legge speciale) ed ampliare il cimitero affidato alle cure progettuali di una archistar. Tra le peculiarità formali, invece, il palazzo di Giustizia si fregia del fatto di avere un’apertura in linea con il ponte di Calatrava, che è stato scelto come “fuoco del cannocchiale prospettico!”. L’edificio “in bilico tra storia e contemporaneità” è stato pubblicato su prestigiose riviste di architettura e Fulvio Irace l’ha definito “un’agopuntura di architettura contemporanea in quel terrain vague che segna il confine tra città storica e terraferma” .
Nel 2013, la giunta del sindaco Orsoni inserì nell’elenco dei suoi progetti strategici nuovi edifici per la cittadella della Giustizia, il cui ampliamento consentirebbe di raggiungere due obiettivi importanti, ancorché non esplicitamente dichiarati: quello di fornire la “giustificazione” per la costruzione di ulteriori parcheggi e quello di liberare i palazzi storici vicino al ponte di Rialto e al Fontego dei Tedeschi, nei quali gli uffici giudiziari erano situati, in modo da poterli adeguatamente “valorizzare” (ad esempio trasformandoli in alberghi per i clienti del centro commerciale del Fontego del Tedeschi). Ovviamente, l’intervento dovrebbe essere realizzato “grazie” ad investimenti privati, secondo le regole del project financing. Per “invogliare” i privati ad aiutare la città, il comune si dichiarò disposto ad offrire una concessione di lunga durata per tutti i servizi all’interno del complesso giudiziario (bar, pulizie, riscaldamento, condizionamento, sicurezza e sistemi di sorveglianza), nonché sui parcheggi a tempo che si affacciano su piazzale Roma.
Contemporaneamente l’amministrazione comunale si attivò per accelerare la costruzione di parcheggi. La cittadella della giustizia “esige” un nuovo parcheggio, spiegò nel 2014 l’assessore alla mobilità Ugo Bergamo, con riferimento alla decisione di raddoppiare il garage san Marco con nuovi 1000 posti auto. Come è noto, nello stesso 2014, la Giustizia che lavora nella cittadella ha mandato a casa la giunta del sindaco Orsoni, ma non per questo i piani per la moltiplicazione dei parcheggi si sono fermati; anzi molti ostacoli sono stati superati.
Innanzitutto, la sopraintendenza ha tolto il vincolo sulla torre piezometrica di Sant’Andrea, eretta alla fine dell’Ottocento quando fu costruito l’acquedotto a Venezia, una delle poche testimonianze di un’epoca di modernizzazione della città non ancora distrutte o convertite in albergo. Così la torre, che si trova a pochi metri dal garage san Marco potrà essere demolita e si libererà l’area destinata alla nuova costruzione. Il commissario Zappalorto, poi, pochi giorni prima della conclusione della sua gestione, ha approvato il progetto preliminare e una apposita variante urbanistica per consentire il raddoppio del garage.
Potrebbe sembrare un’incongruenza che, con questa conclamata fame di parcheggi, si sia contestualmente deciso di demolire il garage Venezia, dal 1957 in funzione a pochi metri della cittadella. Forse era troppo piccolo, o forse i suoi gestori non hanno amici potenti.
Il garage ed il terreno su cui sorgeva fanno parte del dono fatto dal demanio al comune con il conferimento della Manifattura Tabacchi. Il comune l’ha poi ceduto, insieme ad altri terreni ed immobili al fondo immobiliare Est Capital, di proprietà di una società presieduta da Giancarlo Mossetto, ex assessore della giunta Cacciari. Dalle poche informazioni apparse sulla stampa locale, si evince che il comune non ha informato i gestori del garage del cambio di proprietà, cosicché questi hanno continuato per anni a pagare l’affitto al comune. Dopo di che Est Capital li ha sfrattati; e solo allora il comune ha trasferito i soldi regolarmente incassati. Troppo tardi, però, per salvare il garage. Non tutto è andato male, però, perché nel passaggio dal comune a Est Capital è provvidenzialmente “sparito” il vincolo sull’area che ne prevedeva un uso pubblico, per l’appunto parcheggio. Beneficata dall’inaspettato regalo, Est Capital ha quindi rivenduto l’area, senza alcun vincolo di destinazione, ad un gruppo di investitori francesi che intendono costruirvi un albergo di 50, camere, con parcheggio.
La sopraintendenza.
Se questo è il contesto, il motel al casello di Benettown è la cosa giusta al posto giusto e appaiono poco eleganti i tentativi di incolpare la Sopraintendenza per averne approvato il progetto.
L’opera è stata autorizzata dalla sopraintendenza, dice il proprietario dell’albergo, anzi ” noi lo volevamo diverso, ma abbiamo soddisfatto le richieste della sopraintendenza”. Anche Alessandro Maggioni, assessore ai lavori pubblici della giunta Orsoni, non ha dubbi “il cubo fa schifo”, ma “il comune non ha colpe, è la sopraintendenza che l’ha autorizzato”.
Finora la stampa non ha riportato eventuali reazioni di Renata Codello, la sopraintendente in questione, nel frattempo promossa a Roma, sulla quale tutti cercano di scaricare le responsabilità per la “bruttezza” del Santa Chiara. Tutte persone che nulla ebbero da ridire quando, nel 2013, durante un convegno organizzato dall’Università IUAV sul rapporto tra Venezia e l’architettura contemporanea, Renata Codello, quasi anticipando la visione renziana del ruolo delle sopraintendenze, si dichiarò favorevole a una “deregulation urbanistica a Venezia per favorire l’arrivo dell’architettura contemporanea - in una città che la vede ancora con ostilità - abolendo il sistema di norme fissate dai piani regolatori, ma stabilendo caso per caso, con le autorità competenti, Soprintendenza e Comune in prima fila - cosa è ammissibile e cosa no”. Tutti zitti, allineati e coperti, allora, ognuno pensando che forse ci avrebbe cavato qualcosa, e tutti a caccia dell’unica colpevole, adesso. Ingrati.
In mezzo a tante schifezze, spicca la visione lungimirante, la capacità di vedere come nelle grandi opere di architettura “la forma segue la funzione”, dimostrata dai quattro giovani di Jesolo che, nel 2011, hanno percorso in automobile il ponte di Calatrava e hanno poi tranquillamente parcheggiato in campo san Geremia. L’allora sindaco Orsoni decise di collocare dei “dissuasori” all’imbocco del ponte, involontariamente confermando che esso non solo sembra, ma è la bretella di collegamento tra il ponte della Libertà e i centri commerciali che la società Grandi Stazioni si è fatta, dopo essersi impadronita della stazione ferroviaria e degli edifici adiacenti, acquistati nel 1999. Centri commerciali che, nel 2009, l’ex sindaco Cacciari presentò con queste parole: “con questi interventi attesi e necessari si ribadisce la centralità di un’area che di fatto è anche collegata al terminal automobilistico di piazzale Roma grazie al ponte ideato da Calatrava “. I quattro giovinastri vennero “puniti” con il divieto di ingresso a Venezia per tre anni. Ormai i tre anni sono passati e sarebbe gentile invitarli a tornare sul luogo del delitto ed offrir loro un pernottamento omaggio al motel Santa Chiara, come premio per aver saputo captare prima di tutti la “vocazione” del luogo e lo spirito dei tempi.