Huffington Post on-line, 19 maggio 2015
I pensatori democratici si trovano in disaccordo sull'intensità di questa tensione e sull'ampiezza dell'apporto deliberativo a elezioni concluse. Quant'anni fa, nel 1975, laTrilateral Commission (ispirata da Samuel Huntington) pubblicava il suo primo Rapporto sulla "governabilità" nei paesi occidentali dal titolo molto eloquente, La crisi della democrazia. Il Rapporto diceva in sostanza che la governabilità è messa a rischio dalla troppo ampia deliberazione, dai movimenti per i diritti civili e sociali e dalle richieste che questi rivolgono ai governi, i quali per mantenere il consenso dei cittadini sono indotti ad ampliare il loro intervento sociale così da generare una spirale di nuove richieste.
Secondo Huntington, gli stati democratici stavano perdendo autorità a causa del peso troppo forte rivendicato dal pluralismo sociale: era questa la crisi di governabilità decretata dalla Trilaterale, che suggeriva agli stati occidentali (soprattutto quelli a democrazia parlamentare) di rafforzare gli esecutivi, deprimere lo stato sociale, contenere la contestazione e i movimenti. "Eccesso di democrazia" era il problema: come nel mercato così anche nella politica, un'alta partecipazione era indice di un forte bisogno; ma contrariamente al mercato, in politica questo attivismo era segno di instabilità. All'opposto stava l'apatia, indice di soddisfazione.
La concezione deliberativa della democrazia, associata a Jürgen Habermas e alla teoria critica francofortese, prese corpo proprio in quegli anni, discutendo sul significato della "crisi" e della governabilità, e contestando la visione minimalista del processo decisionale. Deliberare era più che votare; aveva un significato ampio, proprio come i suoi critici della Trilaterale avevano temuto: la decisione per Habermas è una conclusione temporanea di un processo al quale in modo diretto e indiretto partecipa una pluralità di attori sociali e politici. Una società civile vibrante e non apatica è il segno non di una crisi di governabilità ma di una forte legittimità del sistema perché la decisione, ottenuta comunque a maggioranza, viene percepita da tutti non come un esito divisivo di una parte contro l'altra.
In Europa, la visione deliberativa ha caratterizzato la natura della democrazia nei decenni a partire dagli anni Settanta, mettendo a segno importanti risultati in termini di politiche sociali nazionali e di impulso a livello continentale alla costruzione dei trattati costituzionali dell'Unione Europea. Il suo declino, che la crisi economica ha accelerato, corrisponde in questi anni recenti a un'impennata della volontà decisionale degli esecutivi sia nazionali che comunitari, e un desiderio di allentare i lacci imposti dalla deliberazione, parlamentare e sociale, e di alleggerire l'impegno dei governi nelle politiche sociali. A livello europeo, questo cambio di passo è stato impresso dalla pratica dei trattati inter-governativi che hanno depresso la consuetudine comunitaria e, nello stesso tempo, esaltato il ruolo degli esecutivi degli stati.
La netta sterzata verso un federalismo di e tra esecutivi, con credenziali democratiche deboli, ha avuto un effetto a valanga negli stati membri. La crisi sembra rilanciare il progetto della Trilaterale dunque. Mette al tappeto la democrazia deliberativa decretando la centralità del potere di decisione dei governi centrali. Si tratta di vedere se la democrazia decisionista ci darà più efficienza nel rispetto dei fondamenti democratici, meno sprechi e meno corruzione, come promette di fare.