Il gruppo di lavoro “rinnovo urbano” facente capo alla segreteria tecnica del ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi, ha predisposto e reso pubblica la bozza di disegno di legge riguardante i principi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana.
Il titolo primo, composto da 16 articoli, è dedicato ai principi fondamentali in materia di governo del territorio, proprietà immobiliare e accordi pubblico- privato. Il titolo secondo, composto da 5 articoli, riguarda le politiche di “rinnovo urbano”, l’edilizia sociale e la delega al Governo, d’intesa con la Conferenza unificata delle Regioni, per la riscrittura del testo unico dell’edilizia (dpr 380/2001) al fine di introdurre ulteriori semplificazioni.
Qui di seguito forniamo alcune considerazioni sugli aspetti più critici di questa proposta. Il testo è disponibile sul sito Casa e territorio del Sole 24 ore.
La Costituzione alla rovescia. Beneficiario di questa proposta di legge è la proprietà immobiliare, così come chiarito sin dal titolo primo e dall’articolo 1 dove si attribuisce ai proprietari il diritto di iniziativa e di partecipazione – nella pianificazione - per “garantire il valore della proprietà. “Il governo del territorio è regolato in modo che sia assicurato il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata, la sua appartenenza e il suo godimento” recita l’art. 8.
È il rovesciamento della Costituzione: quest’ultima impone vincoli e obblighi alla proprietà privata in nome dell’utilità collettiva e stabilisce il principio della “funzione sociale” della proprietà. Nella proposta di legge urbanistica tutto è rovesciato: vincoli e obblighi limitano l’iniziativa pubblica, affinché non produca riduzioni al valore immobiliare dei terreni.
La scomparsa del territorio. Chiunque, anche un osservatore distratto, sa che le nostre città sono sorte senza prestare adeguata attenzione ai rischi idrogeologici, alla protezione della natura e alla considerazione del paesaggio. Nella proposta di legge nessuna di queste materie (e nessuna delle leggi organiche che le disciplinano) è menzionata, nemmeno per inciso. Sappiamo che le leggi di tutela, fortunatamente, dettano disposizioni prevalenti rispetto a quelle della pianificazione, ma l’obliterazione di questi argomenti in una legge che tratta del governo del “territorio” riporta indietro di un secolo l’urbanistica, confinandola nell’alveo angusto delle trasformazioni edilizie.
L’ignoranza dei centri storici. Non meno clamorosa è l’assenza anche di un minimo cenno ai centri storici. Una dimenticanza incommentabile.
La diluizione dello spazio pubblico. Gli spazi pubblici sono l’essenza della città, l’elemento qualificante e ordinatore. Senza spazi pubblici la città è ridotta ad un ammasso di edifici. Non per questa proposta di legge, che oblitera il concetto di “spazio pubblico”, lo sostituisce con una locuzione generica (dotazioni territoriali) che comprende un coacervo di funzioni di interesse generale (agli ospedali pubblici si sostituisce la salute, alle scuole l’istruzione, e così via), nel quale tutto si equivale e si confonde. Ma soprattutto prosegue l’accanimento contro gli standard urbanistici. Ogni regione può fare come gli pare. Ma davvero il problema, per dare qualità alle città italiane, è la cancellazione degli standard minimi di spazio pubblico?
La compressione della democrazia. Per ignoranza o per furia iconoclasta, la legge dimentica (o sopprime) ogni riferimento democratico. Scompare dai principi nazionali non soltanto la cosiddetta partecipazione, ma persino la possibilità di presentare osservazioni e opposizioni. A maggior ragione, è assente ogni riferimento alla valutazione ambientale e alle procedure di coinvolgimento del “pubblico” previste dalla direttiva europea.
In sintesi, possiamo dire che nessuna delle funzioni di coordinamento delle attività umane, nello spazio e nel tempo, che costituisce l’essenza della pianificazione urbanistica è trattata in questa legge. Nessuna delle finalità sociali (dalla tutela dell’ambiente e della salute alla conservazione del paesaggio, dalla presenza di spazi e servizi pubblici alla gestione della mobilità e dell’accessibilità) trova in questa legge alcuna traduzione. Nessuna delle garanzie, anche minime, di democraticità trova assicurazione. Tutto è delegato – in bianco – alle regioni, salvo la tutela della proprietà immobiliare.
La morte della pianificazione comunale. La pianificazione comunale è articolata in una componente “di carattere programmatorio” e una “di carattere operativo”. La prima ha efficacia (sic) “ricognitiva e conoscitiva”. Poco più di un libro. Non ha nemmeno un blando carattere di indirizzo o di direttiva. Niente di niente: un mero scopo ricognitivo e conoscitivo. Secondo la legge, il piano operativo deve essere approvato (!) in meno di cinque o di dieci anni, altrimenti perde efficacia. Qui il legislatore ha probabilmente confuso efficacia quinquennale del piano e durata del procedimento di approvazione.
Tutto qui, per la pianificazione comunale? Tutto qui. La legge non dice altro, che non riguardi il rapporto pubblico-privato.
Pubblico e privato. Al rapporto tra pubblico e privato sono dedicati i contenuti salienti del capo I e tutto il capo II del titolo I. Niente di nuovo sotto il sole, rispetto agli istituti ben noti dell’urbanistica romana: perequazione, compensazione, premialità edificatorie. La proposta di legge, tuttavia, perfeziona tali istituti – nel senso deteriore del termine. Occorre essere molto chiari: in base a questo Ddl, una volta che il comune abbia riconosciuto la possibilità di costruire a fronte della cessione di terreni o della realizzazione di opere, tale facoltà di edificare viene trasformata in un “diritto”, non reversibile se non dietro indennizzo. Perde quindi la sua natura urbanistica per trasformarsi nell’oggetto di un contratto. Meditare quindi: ogni volta che il sindaco o la giunta o il consiglio precedente (la legge non si occupa di distinguere quali organi assumono le decisioni) riconosce un “diritto edificatorio”, produce un debito che l’amministrazione successiva è chiamata a onorare o indennizzare. Spero che non sfugga la follia di questo meccanismo che rende perpetua la rendita! A quale scopo? Per quale utilità sociale, tutto ciò?
Rinnovo urbano. Tutto si fa con il concorso dei privati, in deroga ai piani urbanistici operativi, ricorrendo a incentivi urbanistici (in pratica, si ammette una generalizzata densificazione). Se non possono essere applicati sul posto, gli incentivi danno origine a trasferimenti di volumetrie in altre zone edificabili. L’idea che si possa riconvertire edifici dismessi (e quindi privi di valore) attraverso operazioni di diradamento, comunque remunerative dell’investimento, non è presa in considerazione. Né sembrano esserci particolari facilitazioni per interventi di recupero diffuso. Tutto si basa e tutto si esaurisce nella concessione di incrementi di volume e deroghe.
Edilizia residenziale sociale. La legge prevede, per l’edilizia residenziale sociale, il ricorso al permesso di costruire in deroga: altra picconata alla pianificazione. Le definizioni di ERS sono mutuate da analoghe descrizioni contenute in documenti e in provvedimenti di legge, ma si omettono due questioni fondamentali:
- la distinzione tra alloggi pubblici destinati alle categorie sociali svantaggiate, e sociali destinati alla cosiddetta “zona grigia”; equipararli e confonderli è un errore: la produzione di alloggi sociali dovrebbe costituire un tassello della pianificazione ordinaria, non un grimaldello per la sua delegittimazione;
- nessuna specificazione è data dalla legge né sulle categorie di beneficiari, né sulla commerciabilità degli alloggi (compresi quelli, ab origine, destinati alla vendita), senza le quali l’edilizia residenziale sociale è una truffa.