Immaginiamo per un momento di abitare in un paese normale, dove si vuole costruire un nuovo stadio che sia in grado di garantire adeguati guadagni di esercizio alla società di gestione. Il piano regolatore della città o dell'area metropolitana ne ha stabilito la localizzazione in stretto coordinamento con un programma di investimento nei trasporti, tenendo conto di sinergie e possibili conflitti con altre attività. Il nuovo stadio ha tutti i requisiti per diventare una parte della città, collegandosi a un sistema di parchi ed essendo ben servito dai mezzi pubblici. I progetti, presentati in accordo con il piano regolatore, sono discussi con la partecipazione dei cittadini; i tempi sono rispettati perché tutto avviene secondo programmi e regole ... in un paese normale.
In un paese anormale, dove vige sempre l'eccezione, l'emergenza come metodo per affrontare gli investimenti in grandi opere - ma ormai qualsiasi trasformazione urbana di qualche entità - si approva invece una "legge degli stadi", due commi inseriti nella legge 147 del 2013, "di stabilità". Secondo la legge, i nuovi stadi non nasceranno da soli, ma saranno accompagnati da interventi "strettamente funzionali alla fruibilità dell'impianto e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell'iniziativa..." (comma 304). Quali siano questi interventi ce lo spiega il Commissario Straordinario dell’Istituto per il Credito Sportivo; sono:" bar, ristoranti, musei dello sport, fun shop, ma anche alberghi o centri commerciali, il tutto per ottenere ricavi integrativi e diversificati, funzionali al conseguimento del complessivo equilibrio economico finanziario dell’iniziativa". La legge stabilisce un percorso di approvazione dei progetti a tappe forzate, se questi sono presentati da società sportive e costruttori associati tra loro e d'accordo con il Comune; ne prevede, inoltre, la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza - sollecitudine che non ha uguali nelle opere di difesa del territorio da alluvione e catastrofi. La legge non lo dice esplicitamente, ma l'approvazione dei progetti nelle conferenze di servizi comporterà automaticamente varianti urbanistiche ad hoc.
Tutto ciò in nome della cosiddetta "compensazione". Vale a dire che le società di calcio italiane, a differenza di quelle di altri paesi europei, non pensano di guadagnare a sufficienza con la vendita dei biglietti e il merchandising sportivo, ma devono "compensarsi" con gli introiti di centri commerciali, di alberghi e di terziario di ogni tipo; e anche questo non sembra abbastanza ai presidenti delle società di calcio, che spesso hanno interessi nelle società di costruzioni. Il Presidente della Lega di serie A si è infatti lamentato che fosse stato stralciato da un primo testo della legge la possibilità di realizzare, a ulteriore compensazione, anche edilizia residenziale. Gli stadi, quindi come passepartout per investimenti e speculazioni che con lo sport non hanno a niente a che fare.
La legge sugli stadi, se mai ce ne fosse bisogno, sancisce ancora una volta che in Italia non esiste più l'urbanistica, smantellata progressivamente da provvedimenti di deregulation, additata al pubblico ludibrio come attività burocratica e di impaccio allo sviluppo (al pari della tutela dei monumenti e dei siti storici da parte delle Soprintendenze). In un martellamento pubblicistico che vuole far credere che il project financing significhi crescita economica e modernizzazione; mentre, al contrario, tutto ciò che di positivo è stato realizzato negli ultimi venti anni in Europa - dai grandi processi di riqualificazione territoriale alla costruzione di stadi e aeroporti - ha avuto successo perché guidato dalla mano pubblica, con programmi e piani ben studiati, dove i privati hanno avuto un ruolo importante ma non sostitutivo delle amministrazioni. Noi siamo invece per una non-pianificazione fatta di interventi casuali, non coordinati ed eventualmente finanziati con fondi straordinari; siamo il paese delle opere incompiute dei rabberci e, ovviamente della corruzione, che è alimentata dalla mancanza di regole. L'Aquila dopo cinque anni è ancora un cumulo di macerie, ma potrà - si dice - avere uno stadio in un anno.