Ich glaube an das Venedig der Zukunft , “Merian” , Heft 9/XXVII (settembre1974), pp. 87-90. Ora in: Italo Calvino, Saggi 1945-1985 , Tomo II “Descrizioni e reportage”, Mondadori, Milano.
La linea più breve che unisce due punti non è mai la linea retta, tranne che nelle astratte costruzioni di Euclide. Venezia, prima città antieuclidea, è per questo il modello di città che ha davanti a sé più avvenire. Prima di tutto, il concetto di linea più breve tra due punti è relativo: esso varia a seconda di quale moto e quale corpo traccia il percorso tra i due punti. Stabilendo che le vie dei veicoli e quelle dei pedoni non coincidano mai, Venezia ha fatto di questa relatività dello spazio nel movimento il suo principio fondamentale. Per sottolineare questa regola,- come su una mappa i due diversi tipi di via sarebbero segnati in colori differenti,- Venezia caratterizza le vie dei veicoli come vie acquatiche distinguendole dalle vie terrestri e dei pedoni; cioè sovrappone due reticoli uno solido e l’altro liquido, componendo tracciati che possono combinarsi e permutarsi in vario modo collegando tutti i punti della città nelle due dimensioni acquatica e terrestre.
La casa a più piani ha significato, in tutte le civiltà in cui è apparsa, l’incontro di due dimensioni fondamentali della vita umana: la dimensione terrestre e la dimensione aerea; a Venezia significa l’incontro di tre dimensioni : terrestre, aerea e acquatica. Caratteristica del genere umano è l’aver compiuto gran parte della sua evoluzione non sulla terra ma per aria, sugli alberi; la linea evolutiva al cui termine sta l’uomo è passata dalla vita acquatica a quella arboricola e solo in un terzo momento a quella terrestre. Perciò la civiltà umana tende verso soluzioni che concilino i tre modi di vita terrestre aereo e acquatico. Le successive approssimazioni (caverna, palafitta, palazzo, tebaide, grattacielo ecc.) soddisfano ora l’una ora l’altra di queste possibilità vitali. In questo quadro la soluzione–Venezia è una delle più complete approssimazioni al progetto d’un ambiente umano pluridimensionale.
Nulla dà l’idea d’una dimensione in più quanto le case di Venezia le cui porte s’aprono sull’acqua; è sempre una sfida per la pigrizia mentale dell’uomo di terraferma di abituarsi all’idea che è quella la vera porta, mentre l’altra, che dà sul campo o sulla calle, è solo una porta secondaria. Ma basta riflettere un momento per capire che la porta sul canale collega non a una particolare via acquatica ma a tutte le vie dell’acqua, alla distesa liquida che avvolge tutto il pianeta. L’analogia vera è con l’antenna radio o televisiva: anche quella è una porta su un’altra dimensione, invisibile e illimitata (una porta solo passiva, l’antenna del nostro televisore domestico, perché si limita a ricevere messaggi; del resto anche la porta aerea più classica, cioè la finestra, è solo una porta passiva in quanto da essa non facciamo che ricevere informazioni dal fuori; solo quando le donne stavano affacciate al davanzale per essere viste, la finestra trasmetteva informazione oltre che riceverla; adesso un uso attivo della finestra è prerogativa dei suicidi, dei cecchini, delle donne che stendono i panni). E’’ questo che si sente nelle case di Venezia : che la porta terrestre dà accesso a una porzione di mondo limitata, a un isolotto, mentre la porta sull’acqua dà direttamente su una dimensione senza confini.
Dicendo che queste cose si sentono forse mi sono espresso male: si tratta di un particolare clima mentale che Venezia determina intorno a noi, una geometria speciale o - come dicevo prima - non euclidea che scatena la nostra immaginazione per vie inconsuete; mentre sul piano delle sensazioni percettive non c’è nulla di illimitato, lo spazio si apre e si chiude davanti a noi in configurazioni sempre diverse. E’ appunto l’estrema diversificazione , la non-uniformità in un’esperienza omogenea lo straordinario risultato di Venezia. Non per niente la terminologia stradale di Venezia è di una ricchezza senza pari: calli campi fondamenta rive salizzade sottoporteghi, ogni luogo chiede di essere nominato con puntigliosa precisione come rivendicando la sua unicità. M’accorgo che non riesco a ricordare altrettanti vocaboli che indichino le vie acquatiche: canale, rio , e poi? O si tratta d’una minore ricettività della mia memoria in questo settore, oppure la nomenclatura delle vie acquatiche è più povera, il lessico veneziano non rende ragione della varietà di forme in cui il labirinto lagunare ci introduce. In un caso e nell’altro la spiegazione potrebbe essere unica: l’acqua è l’elemento unificatore, riceve la sua differenziazione dai luoghi emersi; la laguna è un livello unico, mentre fondamenta e ponti con il loro continuo salire e scendere di gradini introducono l’elemento di discontinuità che è proprio del linguaggio.
Se dalle differenziazioni dei vocaboli passiamo alle differenziazioni dei mezzi di locomozione, ecco che l’opposizione acqua-terra cambia di segno. I canali di Venezia con il loro va e vieni di vaporetti motoscafi lance gondole barconi chiatte traghetti ci danno sempre più l’idea di come le possibilità della civiltà umana dovrebbero svilupparsi tutte insieme. La visione dell’estrema varietà di mezzi di trasporto lagunari è ormai unica a mondo, da quando l’automobile ha monopolizzato il traffico delle altre città, impedendo lo sviluppo parallelo d’ogni altro tipo di veicolo industriale e collettivo, e soffocando una delle doti principali del genere umano: la capacità di spostarsi in maniera sempre diversa, applicando una inesauribile inventiva alle diverse circostanze ambientali e tecniche. Va detto che a Venezia alla varietà della locomozione acquatica corrisponde nella locomozione terrestre una impossibilità di scelta, in quanto si può andare solamente a piedi. Ma a questo andare a piedi Venezia offre la varietà di modi che in ogni altra città si è ormai persa ; per esempio: è una città in cui si può ancora correre (come si vide in quel bellissimo film di Tinto Brass il cui protagonista andava sempre di corsa).
Certo, l’acqua dà alla vita a Venezia una dimensione in più, ma vivere a Venezia prescindendo dall’acqua non vuol dire trovarsi nella condizione degli abitanti delle altre città: si vive in una città in negativo. L’immaginazione si rifiuta di raffigurarsi una Venezia asciutta: se cerco di immaginare i canali che si seccano vedo baratri aprirsi tra le vie, una Venezia d’incubo attraversata da canyons senza fondo. Ovvero, altra sequenza dell’incubo, i canali si rinchiudono, si rimarginano, avvicinando le mura delle case in stretti vicoli (eppure una Venezia così esiste, la Venezia dei poveri di Castello).
Nei progetti delle metropoli del futuro, si vede sempre più spesso apparire il modello veneziano, per esempio nelle proposte degli urbanisti per risolvere il problema del traffico di Londra: vie destinate ai veicoli che passano in profondità, mentre i pedoni circolano su vie sopraelevate e ponti. L’epoca in cui viviamo vede tutte le grandi città esistenti in crisi: molte città diventano invivibili; molte città dovranno essere ristrutturate o costruite ex novo secondo piani più conformi al modello veneziano. Ma progettare delle Venezie asciutte vuol dire amputare il modello di ciò che esso rappresenta il più profondo : la città acquatica come archetipo dell’immaginazione e come struttura che risponde a bisogni antropologici fondamentali. Io credo nell’avvenire delle città acquatiche, in un mondo popolato dai innumerevoli Venezie.
L’acqua avrà sempre più posto nella civiltà metropolitana, per due ragioni: primo, perché l’alimentazione dell’umanità sarà basata sulla coltivazione degli oceani più che sulla coltivazione dei campi, e si può prevedere che le città industriali del futuro saranno costruite nell’acqua, su palafitte o natanti; secondo, la prossima grande rivoluzione dei mezzi di trasporto abolirà quasi completamente sia gli automobili che gli aeroplani per sostituirli con i veicoli a cuscino d’aria; questo imporrà una differenziazione tra le strade a suolo duro che serviranno per il piccolo traffico e le grandi vie di comunicazione a cuscino d’aria anche all’interno delle città; è logico prevedere che il traffico a cuscino d’aria si svolgerà meglio su vie a pavimentazione liquida, cioè su canali. Nel periodo di trapasso che stiamo per vivere, in cui tante città dovranno essere abbandonate o ricostruite da cima a fondo, Venezia, che non è passata attraverso la breve fase delle storia umana in cui si credeva che l’avvenire fosse dell’automobile (un’ottantina d’anni fa soltanto ) sarà la città meglio in grado di superare la crisi e di indicare con la propria esperienza nuovi sviluppi.
Una cosa Venezia perderà : il fatto d’essere unica nel suo genere . Il mondo si riempirà di Venezie, ossia di Supervenezie in cui si sovrapporranno e allacceranno reticoli molteplici a diverse altezze: canali navigabili, vie e canali per veicoli a cuscino d’aria, strade ferrate sotterranee o subacquee e sopraelevate, piste per biciclette, corsie per cavalli e cammelli, giardini pensili e ponti levatoi per pedoni, teleferiche . Naturalmente la circolazione verticale avrà altrettanta estensione e varietà mediante ascensori, elicotteri, gru , scale da pompieri montate su taxi o su natanti di varia specie.
E’ in questo quadro che va visto il futuro di Venezia. Considerarla nel suo fascino storico-artistico è cogliere solo un aspetto, illustre ma limitato. La forza con cui Venezia agisce sulla immaginazione è quella d’un archetipo vivente che si affaccia sull’utopia.