C’è una notizia, che in questi lenti e caldi giorni di metà estate sgomita per trovare il suo spazio e che è riuscita a sconfinare dall’indifferenza e dall’abitudine delle scarne cronache locali fino alla prestigiosa vetrina offertale dal Corriere della Sera. Il quotidiano di via Solferino, infatti, il 17 luglio scorso ha informato i suoi lettori dell’apertura del “campo da golf più a sud d’Italia”. Nella Sicilia bedda, naturalmente, e precisamente a Sciacca, in provincia di Agrigento.
L’articolista, nella mezza pagina a disposizione, ha esaurientemente illustrato una “struttura da favola” che è l’”oggetto del desiderio del magnate inglese sir Rocco Forte”, anche se: “Di fronte ai continui intoppi e persino un’inchiesta della magistratura Rocco Forte ha più volte minacciato di rinunciare a questa struttura da favola che si estende su 230 ettari e in cui sono stati investiti 125 milioni, con finanziamenti anche pubblici. Ma ora sembra tutto dimenticato”.
Già. Dimenticato. Noi partiamo proprio da qui, da dove gli altri hanno dimenticato.
Perché noi non abbiamo dimenticato che la notizia, la vera notizia che spazio non trova (…) è che il 4 dicembre del 2007 al tribunale di Sciacca si è aperto il processo – tutt’oggi in corso – che vede imputati per reati ambientali l’a.d. della Sir Rocco Forte Hotel, Moreno Occhiolini, e il progettista Domenico Baudille.
La notizia, è che il condannato per mafia Salvatore Cuffaro da Raffadali, che per uno degli strani casi della vita è stato anche il presidente della Regione Siciliana e che adesso fa il senatore della Repubblica, due anni fa ha varato con la sua Giunta un decreto in tutta fretta, al fine di consentire la costruzione di un maxialbergo con 40 suites e 500 posti letto, tre campi da golf, un centro benessere e un centro congressi più, sparse, villette varie: sì, proprio il lussuoso Resort Verdura di Sciacca di proprietà di Sir Rocco Forte.
La notizia, è che il progetto caro a Cuffaro, al forzista Dore Misuraca, all’ex presidente del Parlamento dell’Isola nonché attuale Sottosegretario Gianfranco Miccichè e ad altri berluscones più o meno occulti, è stato fermo un anno a causa delle denunce del vicepresidente siciliano di Legambiente Angelo Dimarca, spalleggiato dal responsabile del Cai Gianni Mento, che hanno fatto saltar fuori che il meraviglioso golf Resort di Sciacca che stava realizzando la holding Sir Rocco Forte è fuorilegge (!): niente permessi, niente Via (Valutazione impatto ambientale) e nemmeno Valutazione d’incidenza, obbligatoria per i siti d’interesse comunitario, e, manco a dirlo, il territorio in questione è un Sic (Sito d’interesse comunitario).
Per questo nell’estate del 2006 si era bloccato tutto. Soldi, cantieri, lavori. Con la Procura della Repubblica che cominciava a mettere il naso nella faccenda e i sigilli al cantiere.
E per questo la Regione Siciliana l’estate successiva si è inventata una leggina che rendeva legali le buche a pochi metri dal mare palesemente illegali: un ignobile colpo di spugna su centinaia di ettari di terra stravolti e con la vegetazione alla foce del fiume Verdura distrutta. Una volontà politica di andare avanti, a qualunque costo.
La notizia, è che questa intricata vicenda era iniziata cinque anni addietro, quando il plenipotenziario di Berlusconi in terra di Sicilia, l’allora viceministro del dicastero dell’Economia Gianfranco Micciché, presentò, assieme all’amministratore delegato di Sviluppo Italia (società a totale partecipazione del ministero dell’Economia…) il programma per lo sviluppo turistico nel Mezzogiorno. Una torta da 770 milioni di euro da dividere fra Puglia, Calabria e Sicilia. Alla Sicilia toccò una fetta da 236 milioni per due investimenti previsti: uno, guarda caso, è proprio quello del Resort di Sciacca in appalto al gruppo Sir Rocco Forte, che alla fine sarebbe risultato il più grande investimento disposto da Sviluppo Italia nel Mezzogiorno.
La notizia, è che i terreni del business, quando il business è stato deciso, sono stati venduti (buoni quattrini, 4 milioni e 400mila euro) al gruppo Sir Rocco Forte dalla famiglia Merra: Roberto, già componente del consiglio di amministrazione della vini Corvo, il fratello Giuseppe, la figlia Alessandra e l’altra figlia, Elena, moglie di Gianfranco Miccichè…
Insomma una roba di famiglia per l’allora vice Ministro del dicastero da cui dipende Sviluppo Italia e da cui sono venuti fuori milioni di euro di finanziamento – oltre quelli scuciti dalla Regione Siciliana – per il progetto in questione. La notizia, che purtroppo rischia di non far più notizia – nemmeno per il Corriere della Sera – è che la legalità in questo Paese continua a essere un optional.
Il commento di Giuseppe Palermo
Credo che per trovare in Sicilia qualcosa di simile allo scandalo dei campi da golf bisogni tornare indietro di qualche decina d’anni, ai tempi dell’Ente Minerario Siciliano o delle raffinerie piazzate a colpi di tangenti. Ed è interessante notare come i primi a cogliere le potenzialità del nuovo affare siano stati i mafiosi. Risale al gennaio 2001 una memorabile intercettazione ambientale del boss di Brancaccio Guttadauro (lo stesso che ha inguaiato Cuffaro), dalla quale apprendiamo di un suo progetto di campo da impiantare fra l’aeroporto Falcone-Borsellino e il mare, per darlo in gestione a suoi parenti americani (“così nessuno potrà dire nulla”, cfr. E. Bellavia-S. Palazzolo, Voglia di mafia, Roma 2004, p. 159). Dopo di che, secondo il costume invalso, non sono stati i progetti ad adeguarsi alle leggi, ma queste ad adeguarsi, come un guanto, ai progetti. Prima della legge ultima ricordata da Gervasi (29.10.08, n° 11: “Interventi in favore dello svolgimento dell’attività sportiva connessa all’esercizio del golf”), che, modificando la l. reg. 12.6.76, n° 78, autorizza i campi entro i 150 metri dal mare, vanno ricordati svariati decreti attuativi della l. 488/92 per il settore turistico, i quali a partire dal bando 2003 hanno riservato agli “alberghi a 4 e 5 stelle con annesso campo da golf” un trattamento di favore. Questo incentivo finanziario a sua volta si somma, se ho ben interpretato, all’altro derivante dall’indicatore costituito, nelle stesse tabelle regionali, dall’estensione dell’impianto: in altri termini, più l’impianto è esteso, maggiore è il contributo pubblico. E siccome i campi da golf estesi lo sono per definizione, è chiaro che è stata tutta una pacchia, non solo per i grossi industriali del turismo, i proprietari delle aree ed i costruttori ma, a scendere, per i mediatori e gli addetti al movimento terra (questi ultimi com’è noto spessissimo legati alla mafia). L’ultimo sfegatato sostenitore del golf è stato, qualche mese fa, l’allora assessore al Turismo Bufardeci. “Vogliamo che la Sicilia diventi la sede naturale per il golf", ha detto, annunciando investimenti per "svariati milioni di euro dai fondi europei" (“I love Sicilia”, mag. 2009).
In questo scenario, così, i green hanno fatto e fanno incetta del grosso dei contributi pubblici, mentre gli imprenditori del turismo sostenibile, o semplicemente “normale”, restano a bocca asciutta. Inutile dire che la gran parte di questi insediamenti ricade non su aree coltivate, ma su terreni incolti, spesso lungo le rive del mare o di laghi, e che ciò si è risolto o sta per risolversi in un’atroce distruzione di alcuni degli ultimi lembi di territorio siciliano ancora in condizioni di naturalità. E tutto ciò in una regione povera d’acqua, e che lo sarà sempre di più.
Meriterebbe fare un elenco delle decine di progetti sorti come funghi in tutta l’Isola, spesso fallimentari e manifestamente speculativi, o, addirittura, già falliti: come quello sul fiume San Leonardo, comune di Carlentini, del quale resta in piedi l’orrendo scheletro di calcestruzzo del residence (già, perché va da sé che nessun campo è concepibile senza le annesse strutture ricettive, cioè senza cemento).
Non meno interessante infine sarebbe incolonnare i nomi degli sponsor, dei mediatori e degli investitori (nomi spesso ricorrenti e intrecciati fra loro). Circa il progetto di cui parla Gervasi, p. es., può essere utile sapere che mediatore per l’acquisto del terreno con il magnate alberghiero Rocco Forte sarebbe stato l’italo-canadese Joseph Zappia: lo stesso Zappia poi arrestato a Roma perché ritenuto referente della famiglia che aveva tentato d’infiltrarsi nella gara per l’appalto del ponte sullo Stretto e del quale poche settimane fa sono stati confiscati i beni. Lo Zappia si sarebbe recato più volte in provincia di Agrigento, oltre che per l’affare del golf, per seguire da vicino la vendita di centinaia di ettari di vigneto all’industriale Zonin (F. Castaldo, Centonove, 23 apr. 2005, p. 17; Id.-E. Deaglio, Diario, 11 mar. 2005, pp. 17-18, poi in Antimafia 2000, 44, 2005, p. 22).