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Renato Nicolini
Ripensare il Centro per una nuova movida
23 Gennaio 2009
Roma
A Roma il centro storico è in balia dello “sballo” obbligatorio ed omologato. Da la Repubblica,ed. Roma, 23 gennaio 2009 (m.p.g.)

Caro direttore, ricordo la mia geografia notturna di Roma negli anni Sessanta: il Doc di via dell’Oca a parte, alle due di notte c’era Mario a via della Vite (dal vino bianco troppo chiaro) o lo Zaffiro al Corso; fino alle quattro era aperta la trattoria frequentata dai tipografi del "Tempo" e del "Popolo" a piazza Navona; il Settebello vicino al "Messaggero" ed il bar di Salita de’ Crescenzi fino all’alba. Oggi si tira mattino in dimensioni di massa, alla ricerca dello sballo uguale per tutti, senza individuali velleità di epifanie joyciane. Ma lo spazio pubblico, lo spazio di tutti, della polis, dei valori condivisi e della politica, sembra essersi improvvisamente ristretto. Le periferie tornate al tempo della Roma dei sette Sindaci democristiani. Dove c’è vita notturna, la vitalità dell’estate romana, dell’Auditorium, delle stesse Notti Bianche, si è trasformata in bulimia e ripetizione coatta. Scomparse assieme alle zone di pausa e di segretezza, sorpresa e meraviglioso urbano. La vita notturna romana rivela oggi, come ai tempi delle cantine e dei cineclub, identità in formazione, progetti, speranze di un futuro migliore? La città è più buia, l’illuminazione pubblica dimezzata dalla nuova Acea dei costruttori (mentre si costruiscono i primi enclaves residenziali recintati e sorvegliati). La Roma notturna degli anni settanta aveva sostituito piazza Navona col Pantheon, quella degli anni ottanta con piazza delle Coppelle e piazza della Pace. Oggi c’è l’asse delle bevute piazza Trilussa - ponte Sisto - Campo de’ Fiori, dove si parla più inglese che italiano.

Già Alessandro Manzoni ha chiuso i conti con la cultura delle grida, sanzioni che si sa non saranno applicate. A intervenire sugli effetti, si pesca l’acqua con le reti. Come ritrovare un’idea condivisa di spazio pubblico, d’interesse generale, di vita collettiva? Comprendendo che la democrazia si nutre di diversità. Non ha molto a che fare con ciò che è omologato. Bisogna imparare di nuovo a coltivare il pluralismo. C’è stato un momento in cui Roma è stata davvero un modello per il mondo. La città di Los Angeles mi ha invitato per capire come realizzare, partendo dall’sperienza romana, una Los Angeles after dark, dopo il tramonto.

Se l’obiettivo è una Roma attraente, competitiva in Europa, come Parigi o Barcellona, perché non usare l’urbanistica? Le effettive nuove centralità romane sono l’Auditorium, San Lorenzo, Testaccio, in parte l’Ostiense. Ahimè, tutte espansioni a macchia d’olio del centro già esistente. Perché non reintrodurre almeno - partendo da zone come Campo de’ Fiori - il controllo delle destinazioni d’uso sostenibili? Qualcosa di analogo ai vecchi piani del commercio, che Rutelli abolì negli anni Novanta, senza pensare di aprire la strada alla trasformazione del centro in uno shopping mall a cielo aperto, con bar e ristoranti.

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