Riprendiamo dal “dossier” di Urbanistica informazioni (gennaio-febbraio1985) il saggio di uno dei partecipanti (insieme a Mario Cresci, Ferruccio Orioli, Raffaele Panella e altri) a un’esperienza che è stata rapidamente dimenticata. Eppure, rileggere oggi questo resoconto del lavoro compiuto è di grande interesse.
Perché è una interessante anticipazione dello spirito e dei modi della “pianificazione partecipata”, con il coinvolgimento della popolazione (compresi gli emigranti e i bambini delle scuole) finalizzata alla costruzione di un progetto di città e al suo governo.
Perché è un esempio (e un’anticipazione) di quel passaggio dal piano alla pianificazione che si cominciava allora a rivendicare.
Perché ricorda l’essenzialità della saldatura tra le indispensabili componenti della pianificazione della città e del territorio: quella politica, quella economico-sociale, quella fisica, tutte alimentate e sorrette da una dimensione etica dell’impegno professionale.
Nel file .pdf, scaricabile dal link in calce, oltre alle illustrazioni del saggio, utilissime per comprendere lo spirito e la sostanza del lavoro, sono riprodotte le schede, curate da Ferruccio Orioli, che illustrano le diverse componenti progettuali e attuative della pianificazione avviata con il PRG.
NOTE SUL PRG DI TRICARICO
1. ALCUNI DATI GENERALI
Le operazioni di piano a Tricarico (Matera) vanno dal 1966, anno del conferimento dell’incarico del Prg, al 1972, anno in cui vennero ultimati i Pp di volta in volta collegati all’attuazione della 167, alla costruzione di una nuova casa comunale e, infine, agli interventi nel centro storico.
Il Prg fu affidato dall’Amministrazione comunale di Tricarico al Laboratorio di ricerca e progettazione Polis di Venezia, avente come responsabile A. Musacchio per la sezione socio-economica e R. Panella per la sezione urbanistico-territoriale. Alla Polis parteciparono dagli inizi F. Orioli, che fin dal ‘67 (la Polis era nata nel ‘65) assume un ruolo direttivo nel settore urbanistico-architettonico a fronte di un progressivo distacco del gruppo di R. Panella e M. Cresci, che dopo una collaborazione in veste di grafico avrebbe curato le campagne fotografiche a Tricarico e l’uso della fotografia nei vari atti di piano.
La sigla Polis fu utilizzata per le operazioni di piano comprese fra il ‘66 ed il ‘69. A partire dal ‘70 nella titolarità degli atti di progettazione subentrò, praticamente sulla base delle stesse persone, il gruppo di progettazione “Il politecnico”, che si costituì direttamente a Matera, dove operò fino al 1974. Per la Polis hanno partecipato all’attività urbanistica e socio-economica a Tricarico essenzialmente: Mario Cresci, Aldo Musacchio, Ferruccio Orioli, Raffaele Panella, Luisa Tugnoli, Neri Braulin. Per il Politecnico: Mario Cresci, Amalia D’Adamo, Luciana Fabris, Giuseppe Grassi, Aldo Musacchio, Ferruccio Orioli, M. Silvia Pertempi, Cono Terranova, Pancrazio Toscano.
Fra il 1966 ed il ‘72 il Comune di Tricarico fu retto da una Giunta la cui continuità di governo fu assicurata dalla Dc, sindaco M. Molinari, un laureato in economia e commercio, funzionario del Banco di Napoli. Tutte le delibere relative agli atti di piano furono approvate dal Consiglio comunale all’unanimità. Alla metà dell’83 il Prg risultava realizzato nella misura del 65-70%. Nel corso dello stesso anno l’Amministrazione comunale, ora presieduta da una Giunta socialista-comunista, con sindaco Psi, conferiva l’incarico della revisione del piano a F. Orioli.
2. I fondamenti teorici del lavoro di gruppo
2.1.La Polis si formò sulla scorta delle esperienze comuni di alcuni operatori culturali facenti capo all’Iuav (Istituto universitario di Architettura di Venezia). (In precedenza, Musacchio era stato, a Venezia, Coordinatore del Corso superiore di disegno industriale, di cui era allievo Cresci).
Dall’intensa attività scientifica e dalla stessa effervescenza politica dell’Iuav di quegli anni la Polis eredita almeno due presupposti ideali, legati, soprattutto in Panella, ma in parte anche in Orioli, alla lezione di Giuseppe Samonà:
a) il mito del piano, come strumento di razionalizzazione dei fenomeni territoriali, e come grande fattore di mobilitazione e promozione sociale e d’allargamento della democrazia di base (il “piano partecipato”);
b) il mito dell’interdisciplinarietà quasi come corrispettivo e correttivo dell’univocità ideologica del gruppo di lavoro, di decisa estrazione marxista, ma fortemente interessato a portare avanti un discorso di applicazione e di interazione professionale di determinate discipline scientifiche, dentro una dialettica sperimentazione/ negazione delle scienze sociali derivante pure dalla frequenza - Musacchio, Panella - di ambienti veneti legati ai Quaderni rossi.
2.2. Soprattutto in Musacchio e Panella, d’origine meridionale, gioca la volontà d’invertire la tendenza tradizionale dei “meridionali del Nord”, ridiscendendo al Sud per condurre un esperimento d’avanguardia nel sottosviluppo. Di questa determinazione è parte integrante la scelta di far coincidere, quanto più è possibile, luogo di lavoro e luogo di residenza; coll’avanzare dell’intervento urbanistico su Tricarico, in effetti, il gruppo si radicherà stabilmente in Basilicata (prima a Tricarico, poi a Matera).
3. IPOTESI DI LAVORO E RISCONTRI NELLA REALTÀ
3.1. Il nucleo fondamentale dell’impostazione teorica del lavoro di Tricarico è rappresentato dalla collocazione, al centro dell’attività di conoscenza e di progettazione urbanistica, di una riflessione d’ordine socio-economico; se il territorio - città e campagna - costituisce il luogo del rapporto società/economia, allora l’urbanistica è principalmente capacità di dare forma e razionalità spaziale ai vari stadi storici di tale rapporto.
3.2. L’ipotesi di lavoro per Tricarico discende da alcune valutazioni della congiuntura che il paese attraversa.
Dislocato nell’interno della Basilicata, lungo la strada statale che - all’epoca - unisce Matera a Potenza, Tricarico partecipa politicamente e socialmente di quella che Rocco Scotellaro ha chiamato la zona grigia dei movimenti contadini per la terra. Tra il ‘55 ed il ‘65 la popolazione locale è diminuita, per effetto dell’emigrazione verso il Nord ed il resto d’Europa, di 3 mila unità, passando all’incirca da 10 mila a 7 mila abitanti.
Per il momento il paese è tagliato fuori da qualsiasi programma di sviluppo: soltanto una zona periferica del suo territorio è stata toccata dalla riforma agraria, mentre l’industrializzazione di Val Basento lambisce appena il sistema collinare sottostante il paese, occupando solo poche unità lavorative.
In uno scenario del genere prevalgono, sotto il profilo socio-economico e demografico, le negatività:
- è l’emigrazione che fa vivere, con le proprie rimesse, i superstiti; nel ‘67 l’ammontare dei depositi fra casse postali e sportelli bancari è di circa 5 miliardi (per cinquemila anime);
- una frazione crescente dei ceti intellettuali borghesi si giova dell’impegno pubblico: soprattutto attraverso le istituzioni scolastiche e quelle sanitarie, assistenziali, previdenziali;
- le famiglie che hanno degli emigrati, proprio in questa seconda metà degli anni Sessanta, vanno istituendo una specie di “circolo virtuoso” del reddito, fondato sulla complementarietà di stato e mercato, e composto di una quota di risparmio migratorio e di quote di autoconsumo connesse alle economie naturali ed alla proprietà pressoché generalizzata della casa e di frammenti di latifondo contadino, di spezzoni di lavori collocati nell’agricoltura e nell’edilizia, di quote assistenziali (indennità di disoccupazione, pensioni di vecchiaia e soprattutto di invalidità), di lavoro domestico delle donne.
3.3. In questo contesto:
A) Qualsiasi previsione di sviluppo è aleatoria, in quanto - fra l’altro - non riconducibile ad alcun strumento di piano vigente in Basilicata a livello regionale. L’unico giudizio possibile, al momento, è che quello tricaricese sia un sistema a sviluppo zero, in cui ciò che viene impostato dall’esterno viene consumato parzialmente sul posto, lasciando come residuo una massa di capitali che, a sua volta, viene riportata all’esterno attraverso il sistema postale e bancario.
B) Le previsioni demografiche portano a pensare ad un lento declino della popolazione, soprattutto con effetti di senilizzazione e di femminilizzazione. Nell’incertezza delle dinamiche migratorie, l’obiettivo più realistico appare la stabilizzazione entro un decennio della popolazione su di un contingente di 5.800 - massimo 7 mila unità.
C) Che cos’è, che cosa può fare l’urbanistica nel sottosviluppo? Tricarico è (ha) un centro storico vincolato dalla Soprintendenza. Da secoli è sede di diocesi e, quindi, vanta una struttura nobile, tuttora non alterata da interventi distruttivi. La crisi di identità, prodottasi negli ultimi anni in conseguenza dei processi di mutamento generati dall’esodo fa sì che l’immagine ideale del paese sia decaduta presso la stessa mentalità comune. Ciò non ha provocato ancora l’aggressione del vecchio abitato, in quanto sono mancate le risorse finanziarie per farlo. Ora però l’emigrazione, fornendo tali risorse, mette in moto la macchina dell’edilizia; la quale sempre più si palesa come l’unica fonte d’occupazione e, quindi, di reddito per la forza lavoro (debole) rimasta in paese. Per un verso è lo Stato che attiva e sostiene l’industria delle costruzioni attraverso i finanziamenti della Cassa per il mezzogiorno in opere pubbliche e attraverso gli interventi nell’edilizia economica e popolare; per un altro verso è l’emigrazione che alimenta un crescente mercato delle abitazioni e delle aree. La massima e più diffusa aspirazione dei tricaricesi è di ristrutturare la casa di proprietà; ma l’eccedenza di risparmio - localmente non impiegabile in altri investimenti, dato che l’acquisto della terra in quanto bene agricolo è condizionato dall’incertezza del rientro degli emigrati e da un distacco dalla terra che, comunque, si avverte come definitiva - alimenta soprattutto l’espansione urbana.
La decisione dell’Amministrazione comunale di Tricarico, allora, di far redigere il Prg non è tanto un atto illuminato di governo, quanto un modo di “superare” il vincolo della Soprintendenza (che - ai sensi della normativa urbanistica del tempo - in ogni caso obbliga Tricarico alla redazione di Piano regolatore), accettando e legittimando il boom dell’edilizia. L’urbanistica, dunque, come “licenza di costruire”. Non solo. L’emigrazione mette a disposizione della società locale una massa monetaria che stimola, oltre che il mercato immobiliare, la rendita fondiaria urbana.
Nel ‘67, a Tricarico, i suoli centrali - i suoli, cioè, che rientrano nell’area percepita come appartenente alla tradizione dell’abitare e del vivere nella comunità - hanno un prezzo che oscilla fra le 70 e le 100 mila lire al metro quadrato. Valori a livello metropolitano, dal momento che a Tricarico lo spazio “urbano” è un bene raro, ritenuto in via di esaurimento. Ciò significa, quali che siano le intenzioni dei progettisti, che il Prg, definendo una nuova forma urbana di Tricarico, finisce, comunque, col definire il mercato fondiario, dal momento che ci si trova davanti ad un eccesso di domanda e che un sovradimensionamento, pur calcolato, delle aree di espansione, da un canto incontrerebbe limiti fisici (oltre che storico-paesistici) insuperabili, dall’altro esporrebbe il Comune al rischio di dover espandere a dismisura la spesa per le infrastrutture e di servizi. Il che, forse, è ciò che accade dappertutto, o quasi. Quel che è proprio del sottosviluppo, invece, è che i capitali disponibili provengono per la massima parte dall’emigrazione, vale a dire dalla fuga dal Mezzogiorno dei più poveri, mentre di contro i suoli, essendo i più prossimi al vecchio abitato, appartengono per la massima parte alla borghesia locale.
Se ne deduce che l’urbanistica (il Prg) di fatto sanziona il passaggio dei capitali da alcune mani ad altre, anzi (di norma) da una classe ad un’altra o, più banalmente, da coloro che per sopravvivere hanno dovuto emigrare e coloro che, per una qualche ragione, sono riusciti a restare in paese.
Due conclusioni di ordine generale: a) in ogni caso gli emigrati si danno carico dei rimasti, sia che costoro appartengano alla categoria dei percettori di rendita, sia che costoro - tuttora appartenenti al proletariato - percepiscano un salario dall’edilizia promossa dal processo migratorio; b) che tutto questo processo trova un qualche corrispettivo programmatorio nell’urbanistica che, nel sottosviluppo, non potendo razionalizzare (appunto) lo sviluppo, si adatta a razionalizzare le forme “opulente” della marginalità e della sussistenza.
3.4. L’analisi della situazione congiunturale e delle contraddizioni di fondo dell’urbanistica nel sottosviluppo prende forma nell’estate del ‘66, in fase di studi propedeutici al piano, e costituirà uno dei leit-motiv del dibattito di gruppo negli anni della operatività in Basilicata. Una delle alternative fondamentali dinanzi alle quali ci si imbatte, a Tricarico, è quella relativa al dimensionamento delle aree da destinare all’urbanizzazione privata. Un’inflazione, contenuta, dei suoli immessi sul mercato calmerebbe probabilmente i costi, determinando tuttavia - va ripetuto - uno stato di disagio e addirittura di rischio delle finanze comunali, senza dire delle barriere che ad una dilatazione del perimetro urbano oppongono le preesistenze paesaggistiche e monumentali ed i condizionamenti geografici. Davanti al male “certo” di un sovradimensionamento che metterebbe in pericolo alcune soluzioni urbanistiche, senza garantire che gli operatori di mercato si comportino in maniera conforme alle previsioni (il mercato fondiario diviene estremamente aleatorio in una situazione in cui il compratore vuole ad ogni costo acquisire un bene di cui per secoli ha agognato l’acquisto e dove l’esborso di una certa somma, da una parte, riflette la sua nuova mentalità di inurbato aggiornatosi ai costi delle aree metropolitane, dall’altra è prova e simbolo, nello stesso tempo, del suo nuovo status, della sua mutata capacità di reddito), in queste condizioni, dunque, il male minore appare quello di attenersi, almeno in via di ipotesi, ad un piano di minima che si rifaccia strettamente ai margini di sviluppo ed alle quantità demografiche realisticamente prevedibili e dia per scontata, pure, una flessione nel tempo della domanda fondiaria ed immobiliare, a mano a mano che l’emigrazione si consolida nei luoghi di destinazione.
Entro tali margini i veri obiettivi di piano, in gran parte coincidenti, possono identificarsi nella salvaguardia del patrimonio storico-monumentale, nella regolamentazione degli interventi di risanamento e conversione, nell’elevazione infine degli standard abitativi e residenziali, attraverso misure e servizi d’ordine vastamente igienico-sanitario, in grado di diffondere quei “modelli urbani” e quella “qualità della vita” che i flussi monetari provenienti dall’esterno finalmente consentono di raggiungere. Senza, tuttavia, incoraggiare “sprechi”: tentando, cioè, di evitare che l’accumulazione di capitale si riversi in surplus edilizio, in opulenza abitativa, in dilatazione abnorme del perimetro cittadino. Tutti fenomeni, che si tradurrebbero in oneri insopportabili per l’ente locale, senza che, peraltro, esista una ragionevole certezza che gli emigrati beneficino effettivamente delle risorse investite, tranne che nei brevi ritorni in paese per le festività tradizionali.
Inserendosi in quello che è il ganglio vitale del nuovo rapporto economica/ società istituito dall’emigrazione, il Prg si colloca fra gli strumenti, ed anzi col tempo si manifesta come il più efficace fra gli strumenti, politico-amministrativi per il governo della transizione di Tricarico da una formazione contadino-artigiana, ad una caratterizzata da un generico e ancora non definito processo di modernizzazione.
A Tricarico, insomma, il Prg coincide con la fine della miseria, come condizione generale della vita collettiva, e con l’introduzione di nuovi costumi, di diversi modelli di consumo, con la conseguente apertura al mercato di aree geografiche finora rimaste praticamente escluse dalle correnti di scambio delle merci; di processi pressoché generalizzati d’istruzione, che negli anni immediatamente a venire convoglieranno massicciamente l’investimento del risparmio migratorio verso l’educazione dei figli.
4. GLI OBIETTIVI PRINCIPALI DEL PIANO
4.1. Obiettivi politici
Nel lavoro del gruppo agiva l’ideologia propria dell’Iuav, e tipica di quegli anni, dell’equazione di lavoro professionale e di lavoro politico. In particolare, a Tricarico, la Polis tentò di verificare la possibilità che i processi d’informazione e di coinvolgimento diretto della popolazione nell’ideazione e nel dibattito delle linee di piano divenissero strumenti effettivi di democrazia materiale.
In sostanza la partecipazione della società locale alle varie fasi di piano si articolò secondo quattro modalità:
a) l’intervista a singole persone e, più spesso, a nuclei familiari, con visite e sopralluoghi alle loro case. In queste occasioni il contatto si estendeva, di frequente, al vicinato, ma sempre nelle dimensioni del “piccolo gruppo”, del quale si raccoglievano indicazioni, proteste, denunzie di bisogni, aspirazioni sociali. I dati statistico-sociali per nucleo familiare erano stati prelevati dalle schede censuarie; quelli relativi alla morfologia dell’alloggio venivano, invece, raccolti sul posto;
b) riunioni con gruppi sociali più vasti facenti capo ad un intero rione, per il quale il gruppo poteva proporre, o per il quale potevano essere suggeriti dai presenti, interventi infrastrutturali complessi, organizzazione di servizi collettivi, soluzioni urbanistiche di quartiere;
c) assise per categorie sociali omogenee (artigiani, commercianti, contadini, professionisti) in relazione a problemi come la dislocazione delle attività economiche e commerciali, l’insediamento di nuove strutture istituzionali, la distribuzione del traffico e simili;
d) assemblee anche dell’ordine di 600-700 persone per la discussione dei vari stadi d’avanzamento del Prg, compresa la stesura finale.
Sotto il profilo sociologico è d’un qualche rilievo sottolineare come la maggior quantità di dati e di informazioni a livello di “nuclei familiari” e di “piccoli gruppi” sia stato fornito dalle donne, come detentrici dell’esperienza e del sapere quotidiani e quindi attente ai problemi della casa, dal vicinato, dei servizi collettivi e così via; mentre, nelle riunioni pubbliche, a parlare siano stati soprattutto gli uomini (i quali, del resto, in queste sedi costituivano la massima parte, se non la totalità dei presenti) su argomenti per lo più incentrati su grandezze territoriali ed economiche connesse al lavoro o alla produzione.
In ogni caso è doveroso rilevare come tutta l’esperienza partecipativi di Tricarico sia stata agevolata dalla relativa modestia delle quantità demografiche in gioco, e come lo spirito sperimentale e pionieristico della Polis mettesse in conto tempi di lavoro e strumenti di indagine e d’intervento non propriamente di tipo professionale, dal momento che il gruppo di lavoro traeva da altri lavori (professionali e/o accademici) i mezzi per la propria autonomia economica.
Infine, fra gli obiettivi politici rientrava, come meglio si avrà modo di precisare in seguito, l’instaurazione di un rapporto organico non solo con gli organi elettivi dell’Amministrazione comunale, ma anche (e, in un certo senso, a maggior ragione) con l’Ufficio tecnico comunale, la cui collaborazione era ritenuta essenziale per l’impostazione e la redazione del piano, ma ancor più per la futura attuazione.
4.2. Obiettivi pedagogico formativi
L’iniziativa della Polis conteneva, in matrice, una forte connotazione pedagogica ed educativa riferita al “valore piano”. Questo aspetto del progetto su Tricarico emerse principalmente con la redazione di un Quaderno del piano distribuito in 5 mila copie nelle scuole di ogni ordine e grado per le ricerche di classe. Il formato era di due sedicesimi. Uno, con immagini in bianco e nero commentate da didascalie che, spiegando che cosa fossero la città e il territorio, di che natura gli obiettivi dell’urbanistica, quali le strutture e gli oggetti su cui si esercitava il piano e così via, forniva il corredo di tutta una serie di dati storici e statistici su Tricarico; il secondo di carta bianca, quadrettata, destinato a completare e commentare il testo a stampa attraverso le ricerche di classe. La sceneggiatura ed i testi erano di A. Musacchio, la grafica e le fotografie di M. Cresci, l’impostazione generale del gruppo. Il Quaderno, oltre che nelle aule e nelle case degli studenti, finì nei diversi luoghi di destinazione dell’emigrazione, come raccolta sistematica di immagini e documenti - e quindi di “memorie” - su Tricarico.
Un secondo strumento di avvicinamento della popolazione locale a tematiche culturali fu individuato nelle mostre: una, fotografica, di Mario Cresci che espose, nel ‘67, i ritratti eseguiti nel corso della campagna fotografica dell’anno precedente, suscitando grande interesse, curiosità e a volte risentimenti e rivalità da parte delle persone riprodotte (si calcola che la mostra sia stata visitata da poco meno di 1000 persone); un’altra, di pittura, di un giovane artista locale, Michele Santangelo, vicino al gruppo per la tematica dei suoi quadri, presentati nel catalogo da A. Musacchio (sempre nel 1967).
Un aspetto più propriamente formativo dell’azione del gruppo fu costituito dal progressivo coinvolgimento di un nucleo di giovani locali nel lavoro di rilevazione e di indagine. Battere questa via significò, per il gruppo, soprattutto tentare di far crescere sui temi socio-economici ed urbanistici alcuni “quadri” intellettuali in grado, in seguito, di gestire il piano. Questo disegno formativo, delineatosi con la Polis e il Prg, fu concretato da Il politecnico nel ‘70, quando in fase di pianificazione particolareggiata di Tricarico (ma, più in generale, nell’attività complessiva dello studio) vennero inseriti stabilmente - nel settore delle ricerche socio-economiche - due insegnanti tricaricesi, Giuseppe Grassi e Pancrazio Toscano (quest’ultimo, non a caso, forse, da qualche anno sindaco socialista di Tricarico).
4.3. Obiettivi tecnico-scientifici e culturali
Nel lavoro del gruppo prevalse, in maniera abbastanza netta, la tendenza a privilegiare l’osservazione e la ricerca empirica di campo, secondo una metodologia molto vicina a quella delle scienze sociali e quindi con sopralluoghi, visite, interviste ed un lavoro di rilevazione di dati e di situazioni oggettive (tipologie edilizie, particolari costruttivi, modelli dell’arredamento tradizionale, inventario dei materiali da costruzione ecc. ecc.) che, oltre ad esser puntato sulle strutture architettoniche ed urbanistiche, teneva di continuo sotto osservazione, e probabilmente privilegiava, il contesto storico e socio-culturale in cui i vari fenomeni ed i diversi oggetti si erano prodotti, il tipo di “scienza sociale diffusa” da cui nasceva un certo modo di costruire e di usare il paese, le funzioni economiche e sociali assolte dai vari ambienti e spazi urbani (quelli chiusi e quelli aperti, i privati ed i pubblici, e così via).
Alla luce di queste tematiche la fotografia assunse un ruolo importane, e a volte decisivo, almeno in tre direzioni:
A) Documentazione. La campagna fotografica si compose, alla fine, di circa 2 mila immagini. Più che di un’immediata riduzione della fotografia a strumento di documentazione, di memoria, di conoscenza urbanistica, si trattò - in un primo tempo - di recuperare i segni ed i singoli elementi linguistici del paesaggio urbano e rurale di Tricarico, per estendere poi la ricerca alle varie forme di azione sociale della comunità ed ai modelli antropologici e culturali emergenti (sia a livello di persone che a livello di oggetti). Al termine della campagna fotografica ci si rese conto che la serie delle immagini, nell’assieme, era passibile anche di un’utilizzazione urbanistica, ma che più in generale l’iconografia raccolta permetteva una rappresentazione entro la quale era possibile muoversi in parecchie direzioni: da quella più propriamente urbanistica ad una di tipo sociologico, fino ad una terza a contenuto marcatamente antropologico, e così via.
B) Produzione culturale. Il lavoro di Cresci assunse progressivamente i caratteri di una vera e propria rielaborazione creativa delle immagini prelevate dalla realtà tricaricese. A parte, dopo la mostra fotografica a Tricarico, Cresci assoggettò i materiali raccolti ad una serie di trattamenti d’ordine grafico, che espose - sempre nel ‘67, con una presentazione di Musacchio - al circolo La Scaletta di Matera. Il suo lavoro ebbe anche sviluppi pittorici (alcuni cartoni dipinti ed album di disegni con progetti anche di sculture) e, infine, cinematografici con un abbozzo di documentario a passo ridotto (1969). Il tutto con l’avallo culturale e finanziario del gruppo, che considerava l’attività espressiva di Cresci come uno dei possibili esiti del lavoro collettivo su Tricarico.
C) Applicazione della fotografia in urbanistica. Soprattutto in sede di redazione dei piani particolareggiati il gruppo cominciò a pensare all’adozione della fotografia come “strumento urbanistico”. E ciò in due sensi. Anzitutto proprio dalle riunioni a carattere pubblico era emersa la quasi impossibilità di comunicare a persone per lo più di mestiere e di cultura contadina dati, informazioni e progetti urbanistici concepiti ed espressi dentro la categoria dello spazio cartesiano. La cartografia normalmente usata dagli urbanisti risultava molto spesso incomprensibile al pubblico, specie ai vecchi e alle donne (tuttora in maggioranza analfabeti). Si ricorse, in un primo tempo, a disegni a carattere accentuatamente “figurativo”; poi ci si rese conto che il sistema di segni più agevolmente acquisibile da parte della generalità dei partecipanti alle assemblee era appunto la fotografia, che secondo il senso comune riproduceva con la maggiore fedeltà possibile la realtà. Questa esperienza portò a pensare ad un secondo livello d’impiego della fotografia sia per la rappresentazione dello stato di fatto, sia per le indicazioni progettuali da riportare sulle tavole di piano. Dopo una rigorosa ricerca di omogenei criteri matematici e geometrici in grado di garantire il rispetto delle dimensioni, dei volumi, delle distanze, della scala ecc. ecc., la fotografia fu usata direttamente per la redazione delle tavole di piano, in particolare nei piani particolareggiati. In questa operazione furono impiegati tanto metodi grafici (le immagini vennero retinate, disegnate e, in genere, trattate come si sarebbe fatto con qualsiasi altro materiale cartografico) quanto metodi fotografici (a cominciare dal montaggio).
Un’altra occasione di approfondimento e di trasferimento all’esterno di nozioni e problematiche tecnici scientifiche fu offerta dal Piano di zona della 167, alle cui tavole ed alla cui normativa fu allegata una guida all’edificazione. L’obiettivo era quello di comunicare una metodologia della progettazione e dell’edificazione ad una comunità che, con l’emigrazione e con la graduale scomparsa dei capimastri, aveva perduto gran parte della propria (spontanea) scienza delle costruzioni.
La zona d’insediamento della 167, come quasi sempre a Tricarico, era molto scoscesa: si trattava, pertanto, di intervenirvi facendo ricorso non soltanto ai moderni criteri urbanistici in tema di tipologie, di allineamenti, di rispetto degli standard e così via, ma anche ai vecchi criteri d’insediamento sul terreno, di sfruttamento delle pendenze a fini costruttivi, di consolidamento a monte delle abitazioni, di prevenzione dell’umidità ecc. ecc.
Il piano di zona fu concepito come una sorta di quotizzazione, cioè di ripartizione del terreno in quote, che, assemblate, davano luogo ad un lotto. Ogni lotto corrispondeva alla quantità minima di suolo necessaria per dar luogo ad un intervento edilizio rispondente alla normativa della 167: essendo i lotti di varia ampiezza, ad ogni tipo di lotto corrispondeva un preciso volume edificabile (naturalmente nel rispetto di tutti gli standard previsti dalla legge). In questo modo - fra l’altro - ogni cittadino era in grado di valutare autonomamente quanto suolo gli servisse per poter costruire secondo i propri bisogni. Sulla scorta della giacitura e della inclinazione dei terreni, inoltre, la guida proponeva una serie di possibili piante (componibili sulla scorta delle specifiche soluzioni derivanti dalle combinazioni superficie/volume) in relazione - ovviamente - alle tipologie edilizie previste dallo strumento urbanistico. Benché rivolta all’insieme della cittadinanza, quest’operazione, in definitiva, intendeva fornire una nuova strumentalizzazione metodologica e tecnica soprattutto ai professionisti locali, in primo luogo ai geometri, avendo cura di non sostituirsi ad essi ma di fatto suggerendo un ventaglio di soluzioni progettuali, che aggiornavano le tecniche d’aggressione dei terreni, le scelte tipologiche, i principi di distribuzione degli ambienti ecc.
5. LE SCELTE URBANISTICHE
5.1. L’operazione tentata a Tricarico va collocata nel contesto storico e socio-culturale locale. Nel ‘66 - ‘67 Tricarico era come immerso in una prospettiva di possibile scomparsa materiale. L’emigrazione aveva drammaticamente suggellato una riflessione collettiva di più ampio periodo intorno alla decadenza del paese e ad una sua più o meno inevitabile fine. Il paese sembrava ai suoi abitanti medesimi tagliato fuori dalla storia, né gli stessi movimenti contadini dei primi anni di questo dopoguerra avevano dato la sensazione alla collettività locale d’un recupero pieno di attualità.
L’emigrazione, perciò, non era stata solo una necessità, ma anche un atto consapevole di rinunzia, tant’è vero che - attorno al ‘55 - i primi ad abbandonare Tricarico erano stati i leader politici e sindacali delle lotte per la terra della seconda metà degli anni Quaranta.
Di questa regressione dell’identità storico-sociale di Tricarico era espressione non secondaria un sentimento di ambivalenza nei confronti del paese: pur dichiarando di amarlo, alcuni affermavano apertamente che l’unica soluzione fosse di abbatterlo e ricostruirlo, magari sullo stesso posto. Ma il sentimento più frequente, come si è accennato in precedenza, era di esaurimento dello spazio storico di Tricarico. Avendo vissuto il centro storico come scena primaria e unità di luogo della loro vicenda collettiva, i tricaricesi non riuscivano a concepire un altro teatro praticabile.
Un intervento di edilizia economica e popolare dei primi anni del dopoguerra, insediato in posizione speculare a quella del centro storico e ad una distanza di poche centinaia di metri, veniva sprezzatamente chiamato “il villaggio” (“villaggio” come modello urbano e antropologico-culturale in contrapposizione a “paese”).
Esaurito il ristretto sito collinare sul quale Tricarico era stato per secoli confinato, la capacità progettuale della collettività s’era come paralizzata, nell’incapacità di rivedere i meccanismi che per secoli avevano governato le dinamiche centripete del sistema. Oltrepassare i limiti della periferia tradizionale, dilatare le dimensioni del vissuto collettivo e dalla rete di relazioni, fruire dei mezzi di locomozione moderni (del resto già ampiamente diffusi) per spostarsi entro un ambito riconoscibile ancora come “conforme” allo spirito comunitario: tutto ciò sembrava fuori della portata della mentalità e perfino dell’immaginazione della società locale.
5.2. Uno dei compiti principali degli operatori urbanistici era, dunque, quello di riproporre uno spazio storicamente reale alla collettività: di progettare, in altri termini, una dimensione del vivere sociale che restituisse a Tricarico la forma della contemporaneità (o per meglio aderire alle categorie mentali e culturali della collettività locale) della modernità.
Un simile stato delle cose richiedeva al gruppo di lavoro di espungere ogni residuo estetizzante o sentimentalista della concezione dell’operazione da compiere. Si trattava, in un certo senso, di liberarsi dal mito del Sud, trattando finalmente la forma urbana di un paese come Tricarico al di fuori di qualsiasi nostalgia della civiltà contadina (anche se nella consapevolezza e nel rispetto dei suoi valori). Occorreva, a ben vedere, che ciascuno dei fatti territoriali fosse sottratto al deficit di significato che l’aveva colpito e ricollocato entro un nuovo orizzonte di senso: senza essere manomesso, ma semplicemente predisposto a nuove potenzialità d’uso.
Specie la campagna fotografica aiutò il gruppo a leggere la pluralità dei fenomeni urbanistici, economici e sociali di Tricarico come un complesso di relazioni, che potevano essere riconnesse fra loro entro mutati codici di regolamentazione spaziale. In altri termini, la fotografia rese evidente come i vari componenti del “sistema Tricarico” potessero essere riassorbiti in un nuovo quadro di riferimento.
5.3. Fin dal principio fu chiaro, sia ai progettisti che agli amministratori comunali, che l’attività di pianificazione non si sarebbe esaurita col Prg, ma sarebbe divenuta un work in progress da realizzare attraverso una successione coerente di atti urbanistici distribuiti lungo l’arco di alcuni anni, così da aggiornare di continuo il rapporto fra il piano ed i processi di cambiamento in atto, che già mostravano i caratteri di una accelerata, “grande trasformazione”.
5.4. Il Prg si sforzò di intervenire su Tricarico senza enfatizzare a priori alcuna valenza a danno di altre: la stessa vitalità del centro storico doveva essere misurata, più che sui suoi intrinseci valori estetici e documentari, sull’attitudine a partecipare ad un nuovo discorso urbanistico. In breve i perni del nuovo sistema urbano e territoriale di Tricarico possono essere riportati ai seguenti punti:
A) Conservazione attiva del centro storico, con riqualificazione ed esaltazione così della sua qualità residenziale complessiva, come delle sue funzioni di rappresentanza e dei suoi giacimenti monumentali. Con due linee maestre di orientamento: 1) conservazione a Tricarico di alcune funzioni direzionali, legate ad un secolare ruolo (protrattosi fino ai nostri giorni) di centro dispensatore di servizi a livello comprensoriale (Vescovado, ospedale, scuole pubbliche e private di grado superiore, pretura, ufficio del registro, centro dell’Ente riforma ecc. ecc.); 2) miglioramento del livello della residenza e, contemporaneamente, strategia d’espansione del demanio comunale della casa in vista sia di interventi pilota connessi ai programmi d’edilizia economica e popolare, sia di eventuali iniziative a favore degli anziani (case-albergo a carico degli enti locali), sia infine, di una possibile valorizzazione turistica.
B) Concezione unitaria del centro storico e degli immediati dintorni a partire da una vasta area inedificata a verde, detta Conca di S. Antonio, a valle del percorso della S.S. n. 7, Appia, tuttora improntata solo dalla presenza di due antichi conventi.
C) Dentro il nuovo disegno urbano, in parte prefigurato dai processi d’urbanizzazione spontanea in corso, definizione di un perimetro a ferro di cavallo, a monte del quale sono dislocate le nuove zone d’espansione urbana e produttiva, ed a valle del quale (appunto nella Conca di S. Antonio vista come un tutt’uno col centro storico, in quanto paesaggio storicamente sedimentato entro una concezione unitaria di città murata - natura) andrà a collocarsi (F. Orioli, 1973), nell’ambito di un apposito piano particolareggiato, la nuova Casa comunale con funzioni (anche) simboliche di centro della rinnovata forma urbana di Tricarico. In pratica, il discorso urbanistico muove, ora, al centro storico per dipanarsi lungo l’Appia fino a toccare il cosiddetto “villaggio”, recuperandolo alla coscienza sociale ed alla vita di relazione della collettività tricaricese.
D) Rafforzamento della rete dei servizi e delle infrastrutture sia con riguardo alla funzionalità ed agibilità del corpo urbano con le sue articolazioni, sia con riguardo ai rapporti di Tricarico col mondo esterno (in seguito, nel pieno degli anni Settanta, Tricarico diverrà sede di Comunità montana). Nelle strategie di raccordo fra espansione urbana e dotazione d’infrastrutture e servizi collettivi il Prg persegue l’obiettivo di “agganciarsi” agli insediamenti di edilizia pubblica già costruiti o in programma assumendoli come “volani” per le urbanizzazioni private. E ciò, al fine sia di accrescere la capacità di tenuta dell’ente locale di fronte alle esigenze poste dalla fin troppo rapida espansione del centro abitato, sia di proporre come modello al settore privato i principi d’ordine e di regolamentazione edilizia ed urbanistica generalmente propri degli interventi pubblici.
Rispetto ai rapporti col territorio circostante il Prg indica:
a) la costruzione di un collegamento viario veloce con la Val Basento che è, nello stesso tempo, la sede degli impianti chimici dislocati nel nucleo d’industrializzazione, della superstrada Basentana (in quel tempo, nella prima fase di costruzione), della tratta della ferrovia Taranto-Potenza-Napoli (e/o Roma);
b) il miglioramento delle reti viarie di penetrazione nelle aree produttive delle campagne tricaricesi, con particolare riferimento al centro della Riforma agraria di Calle, ormai consolidatosi come autonomo insediamento, umano e produttivo;
c) il piano, che allarga e precisa il campo delle funzioni urbane senza tuttavia inflazionarne il significato, immette due valenze nuove nella vita economica e sociale di Tricarico. La prima è costituita dall’individuazione di due aree per attività produttive: una è situata all’interno del perimetro urbano, ed è prevalentemente di servizio ad attività artigianali e commerciali; l’altra è esterna, dislocata in una località di campagna, alla confluenza di alcune strade a carattere intercomunale e quindi di scambio di merci e di persone con Irsina, Grassano, lo scalo ferroviario di Val Basento ecc. Queste scelte predispongono Tricarico a poter ospitare, in qualsiasi momento, eventuali iniziative industriali. La seconda valenza consiste nella proposta di valorizzazione turistica del bosco comunale di Fonti-Tre Cancelli, posto a 900 m. d’altezza, a monte di Tricarico lungo la statale per Potenza; d) tutta l’esperienza urbanistica di Tricarico ha confluito verso il coinvolgimento diretto del gruppo di lavoro nella “gestione dell’urbanistica”. Uno dei punti chiave della filosofia del gruppo è stato che i fondamenti astratti della scienza urbanistica non dovessero - per principio - prevalere sulle “ragioni” dell’Ente locale, e che fosse buona regola di comportamento politico-civile e “d’igiene mentale” tentare di divenire (per quanto possibile) amministratori, contribuendo ad amministrare appunto l’urbanistica assieme al personale politico e burocratico dell’ente locale prima, durante e dopo il processo di piano, verificando che ciascun progetto avesse una copertura finanziaria o attraverso le entrate del bilancio comunale, o attraverso il ricorso ad una qualche legge che consentisse l’accensione di un mutuo garantito dai cespiti ancora delegabili da parte di un’Amministrazione comunale oberata da pesantissimi debiti; assumendo responsabilità in prima persona sulla conduzione dell’Ufficio tecnico comunale (interinato di F. Orioli, nel ‘69), rappresentando o fungendo da consulente del comune in tutte le sedi politico-amministrative in cui si decidessero in parte o in tutto le sorti del piano. E così via.