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PRG di Roma: Cronache e commenti
29 Marzo 2004
Roma
Le cronache e i commenti all’adozione del nuovo PRG dalle pagine dei quotidiani, raccolte dall’Ufficio territorio di Italia Nostra con la collaborazione della sezione di Roma (reimpaginazione di eddyburg) – I commenti diPiero Samperi, Giuseppe Campos Venuti, Stefano Garano, Vittorio Vidotto, Vezio De Lucia, Adriano La Regina e Walter Veltroni

CORRIERE DELLA SERA, 20 Marzo 2003

Campidoglio, votazioni-fiume nell’aula Giulio Cesare. Il documento urbanistico ha «tagliato» metà delle previsioni edificatorie

E’ «verde» il nuovo piano regolatore di Roma Su 130 mila ettari di territorio, 89 mila restano all’ambiente. Nuove costruzioni per 60 milioni di metri cubi

È la notte in cui il Campidoglio deve «adottare» il nuovo Piano regolatore, una decisione preparata da anni e attesa forse da decenni. L’ultimo, del 1962, prevedeva un’enorme espansione della Capitale. Tale da mettere in conto ben 120 milioni di metri cubi, un’intera città. Roma in quarant’anni si è fermata, dai cinque milioni previsti i suoi abitanti si sono bloccati a meno di tre milioni. Il nuovo Piano ha dunque «tagliato» la metà delle previsioni edificatorie per privilegiare l’ambiente, il verde tra pubblico e privato. Dei 130 mila ettari del territorio comunale (la superficie delle prime nove città italiane, Capitale esclusa) quasi 89 mila restano destinati al verde. Il nuovo Prg prevede poco più di 60 milioni di metri cubi da costruire, ma i due terzi sono stati già decisi o individuati. Restano «liberi», dunque, poco più di ventimila ettari. L’appuntamento col voto, caduto fatalmente nella nottata della guerra in Iraq, è stato preceduto da un dibattito durato alcuni giorni ma soprattutto da infinite polemiche tra centrodestra e maggioranza veltroniana. La CdL schierata contro il nuovo progetto urbanistico preparato da Rutelli e messo a punto dall’amministrazione Veltroni, la maggioranza impegnata a raccogliere i benefici effetti che derivano dal varo di un nuovo Piano regolatore. Tra questi, anche quelli elettorali: a maggio ci saranno le elezioni provinciali e il nuovo Prg della Capitale sarà un argomento da spendere nella campagna di Enrico Gasbarra. Nella comprensibile soddisfazione delle forze politiche che l’hanno portato al voto si infila una nota distonica: il «padre» del Piano, l’urbanista Giuseppe Campos Venuti, annuncia stamane di «ritirare la firma» del Prg. È una protesta contro la forte compressione dell’uso delle «compensazioni» per attuare gli obiettivi ambientalistici. Si tratta di una delle maggiori novità di questo Piano (il proprietario di un’area cede al Comune quattro quinti da destinare a verde ma può utilizzare il resto «a scopo sociale» con fini di reddito): è stata messa da parte a favore, soprattutto su pressione di Rifondazione, dell’uso dell’esproprio, uno strumento «senza compromessi» ma costosissimo per il Comune. Di qui il gesto di Campos Venuti. Il centrodestra ha rinunciato infine all’ostruzionismo ritirando migliaia di emendamenti. Ne sono stati votati centinaia, quasi tutti respinti. Il voto finale sul Piano era in programma per l’alba di stamane. Il sindaco Veltroni ha seguito fino all’ultimo le votazioni, impegnato a legare il suo nome al varo del nuovo Prg di Roma, il quinto da quando è Capitale (1883, 1909, 1931, 1962). «Abbiamo scritto le regole della futura Capitale - dice Lionello Cosentino, Ds - che punta sulla modernità. È un evento storico, ma il lavoro inizia ora. Nella cornice del Prg, le scelte urbanistiche sono tutte da costruire». Commenta Franco Dalia, della Margherita: «Dopo il voto, i cittadini potranno fare le loro osservazioni: è la prima volta che un Prg vede i romani protagonisti nella politica urbanistica. È straordinario». Aggiunge Silvio Di Francia, dei Verdi: «Di fronte a tanti interessi, l’amministrazione ha tenuto una linea dritta. Forse siamo alla fine delle logiche della rendita fondiaria che ha sempre pesato sulla città». L’opposizione contrattacca. Dice Gianfranco Zambelli, di FI: «Abbiamo rinunciato all’ostruzionismo perché il sindaco si è impegnato ad accogliere alcune mozioni politiche dell’opposizione che cambieranno in parte il Piano. Apprezziamo le scelte sul verde, ma questo Piano non crea occupazione, è sottodimensionato nell’edificazione. Dopo tanta attesa, una delusione». Bruno Prestagiovanni, di An: «Un evento storico non sfruttato a dovere. È un Piano non discusso dalla gente. E poi, quanti "buchi neri", quante domande senza risposta: non viene indicata una nuova discarica per la città e quella di Malagrotta sarà chiusa tra due anni». Infine, Marco Di Stefano, dell’Udc: «Con questo Piano Roma non offre nessun interesse per gli investitori, non porta lavoro. Se vinceremo le future elezioni, lo cambieremo». A mezzanotte, è giunto in aula Mimmo Cecchini, ex assessore all’Urbanistica che ha preparato il Prg per anni: «Questo Piano va bene, ma migliorerà col tempo». Un pizzico di veleno.

G. Pull.

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CORRIERE DELLA SERA, 20 Marzo 2003 IL SUPER ESPERTO Samperi: «Servono modifiche - Manca una vera struttura del Piano, che non va oltre i limiti del Comune»

Pietro Samperi, docente di materie urbanistiche alla Sapienza, è stato il responsabile del Piano regolatore dal 1968 al 1980. Da allora segue la città con l’occhio del super-esperto. Si definisce un «tecnico», anche se «cattolico e di centro».

Questo Piano di Veltroni è proprio da buttare? «In un Prg c’è sempre qualcosa da salvare. Questo Piano regolatore va corretto, modificato. Anzi: tutti i Piani andrebbero sempre aggiornati ma non cambiati rispetto a quelli precedenti, a meno che non siano da attuare autentiche rivoluzioni di tendenza. Il Prg del 1962 fu aggiornato con le Varianti del ’67 e del ’74».

Ma il «pianificar facendo» che ha ispirato il nuovo Piano non va in questa direzione? «No. Questa espressione vuol dire "decidere una cosa nuova e poi metterla nel Piano". Ma così non c’è più un Piano bensì una situazione di fatto. Io parlo di "pianificar aggiornando" in coerenza con il disegno del Piano». Cosa salverebbe del nuovo progetto urbanistico? «La manovra sul verde e l’ambiente. È una scelta di salvaguardia che speriamo funzioni. È uno sforzo da apprezzare».

Nient’altro? «Sì: l’analisi dei valori della città consolidata, l’aver individuato questi valori e averli classificati in categorie per epoche. Nel suo complesso, la città è più preparata ad essere difesa da trasformazioni che ne altererebbero un volto da conservare. Tuttavia manca una disciplina che tuteli gli abitanti-proprietari da interventi speculativi di trasformazione».

Quali sono le cose da buttare di questo Prg? «Manca la struttura del Piano, una forte configurazione del progetto urbanistico. Nel ’62 si poteva parlare, ad esempio, dell’Asse Attrezzato poi divenuto Sdo. Oggi cosa c’è al suo posto? Il verde? Ma è solo un complemento, seppure importante. Si parla di policentrismo, ma in cosa consiste? Le nuove "centralità" con quali criteri sono state fissate? Perché è stata decisa lì e non altrove? Quali rapporti hanno con i Municipi? Manca una proiezione su scala metropolitana, il Piano non va oltre i limiti del Comune. Regione e Provincia non hanno neppure provato a dire la loro in proposito. Il futuro urbanistico della città non può prescindere dal rapporto col territorio che la circonda. La "cura del ferro": in cosa consiste? Il Piano disegna lo stesso numero di linee del metrò del precedente, con la sola differenza che la D (ex Bufalotta-Laurentino) è stata sostituita da una linea, parallela alla B, che passerà in pieno centro storico. E le "ferrovie metropolitane", le FM, risalgono a una dozzina d’anni fa. E comunque non servono i romani, ma i pendolari».

Basta così o continua?

«C’è altro. Sono spariti tutti gli autoporti, i centri merci come Bufalotta, Romanina, Ponte Galeria: perché? Con le nuove destinazioni le aree non sono forse divenute più redditizie per i proprietari? E infine, il dimensionamento: ha seguito e non preceduto il Piano. I 60 milioni di m3 che prevede questo Prg sono la somma di interventi già decisi negli anni scorsi col "pianificar facendo", in parte realizzati o in corso di realizzazione. Non rispondono a un calcolo del fabbisogno. Ma non è la quantità di cubature che mi spaventa, ma la mancanza di una programmazione nel tempo poiché è stata rifiutata l’applicazione del III Piano poliennale di attuazione. Comunque, i 150 milioni di m3 decisi nel ’62 quando Roma cresceva di 100 mila abitanti l’anno non erano poi tanti, se oggi se ne prevedono 60 con popolazione in diminuzione e 50 milioni di m3 abusivi già costruiti».

Come giudica le «compensazioni», la novità di questo Piano?

«Sono un’invenzione improvvida, non prevista dalla legge. Le aree destinate all’edificazione ma non inserite nei Piani di attuazione possono tranquillamente cambiare destinazione senza compensazioni o indennizzi».

Insomma, il quinto Prg di Roma è un evento storico o no? «Era un dente da levare e ce lo siamo tolto. Comunque è meglio avere un Piano che...pianificar facendo. Speriamo che ne vengano rispettate le regole».

E cosa pensa dell’assessore Morassut?

«Ha cercato di rimettere a posto molte cose rispetto alla proposta di Piano che ha ereditato. Ma non ha potuto, come nel caso del Centro Congressi dell’Eur, perché erano state irrevocabilmente decise».

Giuseppe Pullara

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CORRIERE DELLA SERA, 20 Marzo 2003 IL PROGETTISTA Garano: «Cubature ridotte e qualità della vita migliore» «Contiene gli elementi più innovativi, ora possiamo competere con le altre metropoli»

Stefano Garano, direttore del Dipartimento di Pianificazione del territorio della Sapienza, fa parte del gruppo di urbanisti che, sotto la guida di Giuseppe Campos Venuti, ha «disegnato» il nuovo Piano regolatore.

Perché si è voluto fare un nuovo Prg? Quello del 1962 non andava più bene?

«Ci voleva un progetto coerente per rispondere ai nuovi bisogni della città. Già nel ’74 si fecero i primi tentativi di rinnovare il Piano con le Varianti circoscrizionali. Le città si trasformano, cambiano le esigenze produttive, di mobilità, di servizio. Anni fa fu creato il Poster Plan, un quadro di riferimento per una trentina di interventi specifici con cui riqualificare la periferia. Siamo partiti da lì».

Quando avete cominciato a fare il nuovo Piano?

«Il via è stato dato dal Piano delle Certezze del ’97, che definisce la città consolidata, i territori esterni da tutelare e la città della trasformazione, una zona mediana che viene rimandata alla competenza del nuovo Prg. Fu fissato, sui 130 mila ettari di un territorio comunale grande come la provincia di Milano, l’equilibrio tra verde e cemento. Fu cancellata la metà dei 120 milioni di m3 previsti dal vecchio Piano».

Lei dice: questo è un buon Piano. Perché?

«Perché contiene tutti gli elementi più innovativi dell’urbanistica contemporanea, seppure innestati in una legislazione vecchia, del 1942, che frena ogni progetto urbanistico. E perché risponde alle esigenze di una metropoli che ha bisogno di nuove strutture per dare qualità della vita ai cittadini. Così si espandono anche le opportunità economiche di Roma e si rende la città più competitiva con le altre capitali».

Qual è il modello ispiratore del nuovo Prg?

«Ci sono alcuni punti-base. Il policentrismo, in contrapposizione con l’idea centralistica di prima, che concentrava le funzioni: il direzionale, ad esempio, era fissato sull’Eur e sullo Sdo. Poi abbiamo puntato sulla riqualificazione delle periferie rilocando le funzioni pregiate (università, tempo libero, commercio, ecc.). Un terzo principio riguarda la mobilità su ferro, che è anche anti-inquinamento. Le nuove centralità vengono localizzate presso i nodi della mobilità. Il tutto, ed è il quarto criterio ispiratore del Piano, è immerso in un territorio fortemente tutelato con aree verdi e agricole di alto valore paesistico collegate al sistema dei parchi regionali».

Quali sono le novità di questo Piano?

« Parecchie. Il centro storico diventa "città storica", si passa da mille a settemila ettari tutelati (quartieri Parioli, Trieste, Garbatella, Flaminio, ecc.) nella diversità dei loro tessuti storici, dal Medioevo al Novecento. C’è anche il superamento della monofunzionalità delle destinazioni d’uso nei nuovi poli urbani. Ogni polo viene arricchito con diverse funzioni: servizi, commercio, ricettività, ricerca, case.....». Ma con quale criterio avete individuato le centralità? «Tenendo presenti i problemi della mobilità e il residuo del vecchio Piano. Dove erano previsti forti carichi di cubature, abbiamo ridotto». Continui con le novità. « Ecco: la limitazione degli espropri, costosissimi. Per evitare una spesa che il Comune non può sostenere - gli ettari vincolati sono migliaia - e per difendere il programma di verde e servizi di quartiere, è stata introdotta la "cessione compensativa", un sistema adottato a Torino e Reggio Emilia: al cedente resta un 20% di area su cui può realizzare servizi che danno reddito. Con i soldi risparmiati, il Comune risana le periferie e potenzia il trasporto pubblico. Purtroppo le esigenze della politica hanno ridotto l’uso di questo strumento».

E la storia degli edifici che si possono abbattere?

«Si, è un’altra novità. Al Tuscolano, Tiburtino, Marconi, quartieri ad alta densità abitativa, è previsto il "diradamento": verde e servizi al posto del cemento. I palazzoni abbattuti sono ricostruiti nelle aree di riserva, ma con densità minore».

Il cemento va così nelle aree agricole? Non è peggio?

«Si creano insediamenti più umani nella campagna romana: mettiamola così».

Perché il Prg non è allargato all’hinterland, all’area metropolitana?

« Per sua natura è comunale, non può farlo. Ma è un Prg "aperto" sotto l’aspetto della mobilità, del verde, delle centralità urbane. È perfino possibile una co-pianificazione con i comuni confinanti».

Anche questo Prg durerà 40 anni?

«La città cambia sempre: un Piano dovrebbe essere aggiornato ogni 10 anni».

G. Pull.

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CORRIERE DELLA SERA, 20 Marzo 2003 Piano regolatore, il voto arriva all’alba

Ma il «padre» del documento urbanistico, Campos Venuti, ritira la firma

Una maratona notturna per consentire al Campidoglio di «adottare» il nuovo Piano regolatore, una decisione preparata da anni e attesa forse da decenni. L’ultimo piano, del 1962, prevedeva un’enorme espansione della Capitale e disegnava una città da 5 milioni di abitanti. Oggi, che i residenti sono meno di tre milioni, il nuovo Piano ha «tagliato» la metà delle previsioni edificatorie per privilegiare l’ambiente, il verde tra pubblico e privato. Dei 130 mila ettari del territorio comunale, quasi 89 mila restano destinati al verde. Il nuovo Prg prevede poco più di 60 milioni di metri cubi da costruire. Nella comprensibile soddisfazione della maggioranza, una nota polemica: il «padre» del Piano, l’urbanista Giuseppe Campos Venuti, annuncia stamane di «ritirare la firma» del Prg per protestare contro la forte compressione dell’uso delle «compensazioni».

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«Espropri troppo cari, meglio»

Legambiente, attraverso una presa di posizione di Maurizio Gubbiotti e di Mauro Veronesi, annuncia fin d’ora una serie di «osservazioni» al nuovo Piano regolatore: «Per ottenere la riduzione dell’obiettivo rischioso dei 32 metri quadri di verde e servizi per abitante». Gli ambientalisti ritengono infatti che questo obiettivo, che comporta l’esproprio di 3 mila ettari, è astratto non avendo il Comune la possibilità di finanziare una tale operazione. Per rendere invece realistico l’obiettivo da raggiungere (25 mq), gli ambientalisti chiedono che le aree destinate a verde e servizi (N) siano riclassificate H2 (aree agricole con valenza ambientale, ad edificabilità quasi nulla). In tal modo per «salvare il verde» non occorrerebbe spendere somme impossibili. La quota dei 32 mq per abitante era possibile, secondo le prime previsioni del Prg, ricorrendo alla manovra «perequativa» (il proprietario di un terreno lo cede restandone però utilizzabile un quinto). Ma nelle ultime settimane la quota di cubature collegata a questo meccanismo, 5 milioni di mc, è scesa a 1,2 milioni di mc con relativo aumento delle aree da espropriare dovendosi mantenere l’obiettivo dei 32 mq. Insomma, Legambiente trova irreale questa quota in quanto fondata su espropri «impossibili» perché troppo cari. Meglio usare lo strumento della «destinazione».

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LA STAMPA, 20 Marzo 2003 Luigi Nieri: «Fuksas ha ragione sulle periferie»

In dirittura d’arrivo il nuovo Piano Regolatore. Prosegue la maratona in consiglio comunale. L'approvazione del provvedimento è prevista nella notte. Ieri per tutto il giorno è continuato l'esame degli emendamenti. Udc e Forza Italia hanno ritirato quelli ostruzionistici. Il consiglio ha cominciato i lavori alle 11 e dopo una pausa per il pranzo e la conferenza dei capigruppo, ha ripreso i lavori alle 15,30. Un'ulteriore sospensione dei lavori è stata prevista dalle 19 alle 22.30, per la cena, ma soprattutto per consentire ai consiglieri romanisti di seguire la partita Roma-Ajax. Dopo la mezzanotte è previsto che si voti senza discussione. In stretto collegamento con l’adozione del nuovo Prg, prossime sedute del consiglio sono previste lunedì e martedì prossimi: all'esame saranno le delibere attuative del vecchio piano regolatore, quelle che prevedono numerose edificazioni, tra cui Tor Pagnotta e le compensazioni di Tor Marancia. La rivoluzione è rappresentato dall'idea di città policentrica, caratterizzata da 20 centralità, cioè aree con proprie vocazioni e riqualificate con un mix di uffici, servizi e funzioni moderne. Queste le innovazioni. Il maxi emendamento Presentato dalla maggioranza, prevede la riduzione di nuove edificazioni fino a 61 milioni di metri cubi, dai 64 milioni inizialmente previsti; la possibilità di costruire nelle aree individuate nell'ambito delle compensazioni derivanti dalla Variante delle certezze; maggiore e definitiva tutela per l'agro romano. A 1 km dalla stazione Roma crescerà con le sue infrastrutture su ferro. Niente edifici se si trovano a più di un chilometro da una stazione della metro o di ferrovia. Tutela città storica Dai 1000 ettari del centro storico ai 7mila ettari della città storica, comprendendo anche edifici dell'800 e del '900, con cinque ambiti strategici: Tevere, Mura aureliane, anello ferroviario, direttrice Appia, Eur e Flaminio. Demolizioni La riqualificazione di aree degradate, come ad esempio quelle del quartiere San Lorenzo, avverrà attraverso il sistema della demolizione e ricostruzione. La città si trasformerà senza ricorsi a varianti o espropri, ma con il sistema delle compensazioni. 500.000 stanze in meno Rispetto al piano del '62 che prevedeva 120 milioni di metri cubi, le nuove edificazione saranno per 61 milioni di metri cubi (il 58% servizi), di cui 42 già deliberati e 19 milioni ancora da decidere. Più verde e parcheggi Le aree destinate a verde e servizi: 32 metri quadri per abitante, contro 22 metri quadri del resto d'Italia e i 18 del precedente piano. In particolare, gli standard del nuovo Prg prevedono, in media, 22,5 metri quadri di verde per abitante, 7,3 di servizi e 2,9 di parcheggi. Il verde tutelato aumenta rispetto al cosiddetto Piano delle certezze: da 82mila a 87mila ettari (dal 66 al 68% del territorio). Trasporto su ferro Oggi: 49 stazioni e 36 chilometri di metropolitana. Domani: 57 stazioni e 129 chilometri. Aumentano anche le ferrovie metropolitane: da 430 a 470 chilometri. La maggioranza «Con questo piano - ha osservato il capogruppo dei Ds Lionello Cosentino - finisce l'espansione a macchia d'olio della città». Per il capogruppo della Margherita Franco Dalia, «Importante è la tutela delle aree agricole e la parte normativa che dà certezze sulle procedure». Il capogruppo di Rifondazione Patrizia Sentinelli sottolinea che si mette fine «al pianificar facendo e all'idea che si possa costruire in modo scriteriato in aree agricole». «Il prg pone un limite allo sviluppo indiscriminato della città - ha aggiunto il capogruppo dei Verdi, Silvio Di Francia - tutela le aree agricole e pone il principio che non ci può essere sviluppo senza infrastrutture e servizi». L’opposizione Il centrodestra ha annunciato che voterà contro. Per il capogruppo di An, Bruno Prestagiovanni, «c'è una cementificazione senza criterio, senza infrastrutture di collegamento, e ci sono poi alcuni problemi senza risposta, ad esempio lo smaltimento dei rifiuti solidi della città». Secondo l'eurodeputato, coordinatore regionale e consigliere comunale di Forza Italia Antonio Tajani, «c'è carenza sul fronte della viabilità e degli aspetti sociali e sanitari, anche se abbiamo cercato di presentare emendamenti migliorativi, come quelli per l'impiantistica sportiva. La fermezza non si misura con gli strilli». Infine il capogruppo dell'Udc, Marco Di Stefano: «Il nuovo piano regolatore è sottodimensionato. Prevede solo 10 milioni di metri cubi di nuove edificazioni, il resto sono residui del piano del '62. Ossia le attuazioni del vecchio piano che ci apprestiamo ad approvare: 47 milioni di metri cubi, il grosso delle quali sono Tor Pagnotta e le compensazioni di Tor Marancia». L’iter Dopo la pubblicazione del piano, che avverrà tra 45 giorni, scattano i 60 giorni per le osservazioni dei cittadini. Potranno essere presentate anche su carta semplice. Il piano poi dopo le controdeduzioni del consiglio alle osservazioni dei cittadini, alla fine dell'anno andrà al parere della Regione Lazio.

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IL MESSAGGERO, 20 Marzo 2003 Piano regolatore, la lunga notte del Consiglio

Seduta fiume nell’aula Giulio Cesare, ultima tappa per varare la nuova manovra urbanistica - di CLAUDIO MARINCOLA

«Aspetteremo le due di notte, e solo allora, allo scadere dell’ultimatum di George W. Bush, ritireremo i nostri emendamenti». Sembrava uno scherzo, una minaccia buttata lì. Era invece l’ultimo scampolo di “intransigente opposizione" che ha costretto il Consiglio comunale ad una lunga maratona notturna. Nulla a che vedere ovviamente con la guerra, anche se a metà seduta Nunzio D’Erme (Rifondazione) ha esposto la bandiera della pace e Roberto Lovari (FI) gli ha risposto sventolando quella americana. Nulla a che vedere con la guerra ma neanche con l’ostruzionismo ad oltranza agitato nei mesi scorsi. Tutta l’opposizione si è condensata in una notte. Un passaggio obbligato prima di annunciare alla città un evento in un certo senso “storico": l’adozione del nuovo Piano regolatore. Arriverà a 41 anni di distanza dal Piano elaborato dalla commissione di esperti guidata nel 1962 da Luigi Piccinato. Ma rimanda al Prg del 1909, l’unico adottato dall’aula Giulio Cesare al termine di un lungo percorso democratico. Ieri l’ultima tappa, anche se in realtà tutto o quasi era già deciso. Un hortus conclusus al quale mancavano piccoli aggiustamenti definiti in aula, col rischio che comporta un intervento in extremis, l’incremento o la riduzione delle aree di riserva. Dinanzi ad una maggioranza compatta, nonostante le differenze affiorate anche ieri (sul futuro di Corviale e sui Ponti di Laurentino 38, ad esempio) l’opposizione si è divisa. È successo col Bilancio, approvato in anticipo. E una volta spianata la strada, frantumato il fronte, il sindaco Walter Veltroni ha intravisto la possibilità di chiudere entro marzo. Progetto che ora sembra a portata di mano, visto che da lunedì prossimo si tornerà in aula per approvare le delibere attuative. Una coda tutt’altro che irrilevante, il rispetto dei diritti acquisiti durante il vecchio Prg. La lunga notte, in realtà, è cominciata sin dalle 11 del mattino, a mano a mano che i gruppi dell’opposizione cominciavano a ritirare gli emendamenti ostruzionistici. «Questo piano non ci convince - ha comunque ribadito Antonio Tajani, coordinatore regionale di Forza Italia - ma voteremo contro perché non ne condividiamo l’assetto generale. Abbiamo cercato una opposizione costruttiva presentando emendamenti migliorativi, come quelli per l’impiantistica sportiva». Il maxi emendamento della maggioranza prevede la riduzione di nuove edificazioni dai 64 milioni previsti inizialmente a 61. Rispetto al Piano del ’62, il nuovo Prg di Morassut - l’assessore all’Urbanistica che ha continuato il lavoro del suo predecessore Domenico Cecchini, con il concorso di Giuseppe Campos Venuti, di Maurizio Marcelloni e Daniel Modigliani - definisce l’idea della città policentrica. Non rincorre il “ferro", ma si sviluppa quadruplicando la rete dei trasporti. Promette verde, servizi, parcheggi, tutela ed estensione della città storica, la riqualificazione delle aree degradate e della periferia anche attraverso lo strumento della demolizione e ricostruzione. «Non ci può essere sviluppo senza infrastrutture - spiega Silvio Di Francia, l’esponete verde che ha cucito i rapporti tra maggioranza e opposizione - le osservazioni dei cittadini potranno rafforzarlo ulteriormente». Prendono corpo anche le nuove centralità urbane, alcune già pianificate altre nuove. Saxa Rubra, Acilia-Madonnetta; La Storta; Massimina e Santa Maria della Pietà. Ma anche Torre Spaccata, Fiera di Roma, Bufalotta, Ostiense, Sdo Tiburtino, Polo Tecnologico, Lunghezza, Alitalia, Castelluccio, Tor Vergata. Nomi e località tornati a ripetizione anche ieri nella lunga notte del Prg suscitando nuovi contrasti. Su un solo punto i consiglieri si sono trovati d’accordo: la pausa dalle 19.30 alle 22.30. Giocava la Roma.

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IL TEMPO, 20 Marzo 2003 Quarant’anni dopo il nuovo Prg

Ora dovrà andare alla Regione per le eventuali modifiche

IL CONSIGLIO comunale ha approvato in tarda notte il nuovo Piano Regolatore. La maggioranza ha votato a favore, la Casa delle Libertà invece contro. «È UN PIANO poco partecipato, che non risponde alle esigenze di una capitale del terzo millennio — ha spiegato il capogruppo di An Bruno Prestagiovanni — C’è una cementificazione senza criterio, senza infrastrutture di collegamento». «Questo Prg non ci convince — ha aggiunto l’eurodeputato di Forza Italia Antonio Tajani — Votiamo contro perché non condividiamo l’assetto generale, c’è carenza sul fronte della viabilità e degli aspetti sociali e sanitari». E anche dal segretario romano dell’Udc Marco Di Stefano arriva una sonora bocciatura: «È un Piano sottodimensionato, che prevede solo 10 milioni di metri cubi di nuove edificazioni, il resto sono residui del piano del ’62». «Quello che volevamo affermare — afferma soddisfatto Silvio Di Francia — è che le regole valgono per tutti, il progetto-città viene prima delle scelte caso per caso. E in più abbiamo messo fine a quel consumo delle aree agricole andato avanti per anni».

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MESSAGGERO, 21 marzo 2003 «Nel nuovo Piano le regole per lo sviluppo» - Il Nuovo PRG

Trenta ore di discussione e dodici sedute del Consiglio comunale: entro martedì prossimo, con le attuazioni, si chiuderà la sessione urbanistica.

Dalle 5,20 di ieri Roma ha un nuovo Piano regolatore. Lo ha votato il Consiglio comunale al termine di una seduta fiume con 35 voti favorevoli e 18 contrari. Alla maggioranza è mancato solo il voto di Nunzio D’Erme, consigliere di Rifondazione, nonché leader dei centri sociali, d’accordo, però, sul maxiemendamento presentato dalla giunta. Il sindaco Veltroni è rimasto in aula tutto il tempo, seguendo su un piccolo televisore le prime immagini della guerra. Ci sono volute in totale 30 ore e 12 sedute. Che sembrano tante ma sono meno del previsto. Consentiranno di archiviare la sessione urbanistica al massimo entro martedì prossimo con l’approvazione delle attuazioni del vecchio Prg. «Mi ero impegnato a chiudere la manovra entro il 31 marzo, mi scuso per l’anticipo», ha chiosato Veltroni, annunciando «l’evento storico» nella conferenza stampa tenuta ieri pomeriggio in Protomoteca. Con lui tutta la “squadra": il vicesindaco Enrico Gasbarra, l'assessore all'Urbanistica Roberto Morassut, la giunta, i capigruppo e i consiglieri di maggioranza. «Erano cento anni che l'organo sovrano dei cittadini non adottava un piano regolatore, l' ultimo fu quello ai tempi del sindaco Ernesto Nathan nel 1909», ha puntualizzato il sindaco, rimarcando il carattere democratico del nuovo strumento urbanistico. A seguire i ringraziamenti: «alla maggioranza «che si è dimostrata compatta e non si è sfarinata dinanzi alle prime difficoltà» e «al coordinatore Di Francia e ai capigruppo». Ma anche all’opposizione che, nonostante i 5000 emendamenti inizialmente presentati sul bilancio e gli 8000 sul Prg, «non si è chiusa a testuggine, non è caduta in un ostruzionismo privo di qualsiasi capacità propositiva». Si è corso il rischio di un corto circuito istituzionale. «Lo abbiamo evitato - dice ora Veltroni - perché non siamo mai stati arroganti e non abbiamo perso la capacità di ascolto. Errore che invece ha fatto Milano». La città aspettava questo piano da 41 anni. «Roma è cresciuta per molti anni senza regole urbanistiche, senza relazione fra infrastrutture e nuove edificazioni. Ora queste regole ci sono», ha continuato il sindaco. Il percorso si completerà in consiglio comunale con l'approvazione delle delibere attuative del vecchio piano, con programmi di trasformazione urbana «che porteranno ad investimenti di 5 miliardi di euro nei prossimi 8 anni e 100mila posti di lavoro». Il nuovo Piano riassunto in sintesi punta sulla tutela dell'agro romano, e sulla diminuzione della previsione edificatoria che nel precedente piano nel '62 prevedeva di 120 milioni di metri cubi e che ora passa a 62 milioni. cubi. Aumenta la tutela del verde che passa da 82 a 87 mila ettari e divenuta "sistema" con una rete ecologica. I Prg prevede centralità metropolitane e urbane, programmi integrati, ambiti di trasformazione residenziale e non residenziale e verde attrezzato. Distingue tra la città storica con cinque ambiti strategici (Tevere, Mura Aureliane, Anello Ferroviario, Direttrice Appia, Eur e Flaminio), in tutto 1.500 ettari all’interno delle mura più 6.500 tutelati da una “carta della qualità". E tra una città da ristrutturare (le borgate abusive e le zone 0). L’intero Prg è governato dal piano della Mobilità, legato in modo indissolubile allo sviluppo, definisce il nuovo polo della Stazione Tiburtina. Ma fatto il nuovo piano ora bisogna metterlo in pratica. «Anche per questo, ora è importante chiudere subito la sessione - è l’impegno di Franco Dalia, capogruppo della Margherita - ciò vuol dire attivare sviluppo, posti di lavoro, fare di Roma un grande polo per attrarre investimenti nazionali e internazionali». E l’opposizione? Quelli di An, sfiniti anche loro per la notte insonne, hanno scelto di presentarsi sulla piazza del Campidoglio una carriola carica di mattoni. Nel gesto il senso della loro protesta. Nelle parole del consigliere Luca Malcotti il risentimento per non essere stati "ascoltati": «Sono stati respinti quasi integralmente i 13 punti che il nostro partito aveva indicato come qualificanti».

Claudio Marincola

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LA STAMPA, 21 marzo 2003 Questo non è più il mio Piano» - i chiarimenti di Campos Venuti

Notizia che mette in difficoltà il Campidoglio: il professor Giuseppe Campos Venuti, l’anziano urbanista bolognese considerato «padre» del nuovo Prg, disconosce il Piano.

Perché il suo «no», professor Campos Venuti? «Guardi, con gli ultimi emendamenti approvati nella notte, è stato disfatto il meccanismo innovativo del "mio" Piano. In questa maniera, gran parte dell’innovazione diventa irrealizzabile».

Addirittura? «Sì... La posizione dei gruppi che definirei più estremisti, ha inferto un serio danno. Spero che si possa ricucire nella fase delle osservazioni. E mi rendo conto che il sindaco doveva tenere conto di tutte le posizioni. Anche di quelle più ritardatrici, immobiliste, ma che paradossalmente danno spazio a quelle antitetiche, le liberiste a oltranza, di chi dichiara faccio-quello-che-mi-pare. Così gli opposti estremismi finiscono per danneggiare il riformismo. Ma d’altra parte è una vecchia storia in questo Paese».

Si sente in minoranza? «Putroppo sì. Anche qui: una lunga storia. Ho fatto la resistenza. Ero nel partito d’Azione. Poi tante battaglie urbanistiche. E tante sconfitte».

Il punto che lei contesta è sul meccanismo delle compensazioni. La maggioranza in Campidoglio ha preferito la via degli espropri. Ci spieghi la differenza. «Semplice. Con le compensazioni, che stanno funzionando benissimo in tanti piani regolatori, specie al Nord, noi garantivamo migliaia di ettari gratis. Un terreno contro un altro. Con gli espropri, ci vorrebbero migliaia di miliardi. E i soldi non ci sono. Se ci fossero, il Comune costruirebbe le metropolitane che mancano».

E ora? «Gli amministratori romani sono troppo avvertiti per non sapere che si dovrà tornare alle compensazioni. Altrimenti salta tutto. E’ molto bello il meccanismo di far costruire accanto alle future stazioni della metro o della ferrovia. Ma come si fa a convincere i costruttori? A qualcuno fa schifo spostare i diritti edificatori? E allora che resta: la forza? li convinciamo manu militari? oppure a suon di miliardi? La legge parla chiaro: i terreni vanno pagato a prezzo di mercato. Ed è giusto così».

Quelli che lei chiama «immobilisti» la pensano diversamente. «Il Piano ha indubbiamente delle norme innovative a cui io stesso ho dato un contributo. Ma se lo ingessiamo a monte, lo si rende ingestibile. Con la mia lettera, ho voluto testimoniare coerenza. Oltretutto, c’è un aspetto tragicomico che emerge dalla notte del consiglio comunale: a forza di togliere e aggiungere, la somma algebrica dei metri cubi previsti è superiore a quella dell’inizio».

Di qui la sua lettera aperta. «La mia paura è l’ennesima sconfitta. Già ne ho incassata una, ai tempi del governo di centrosinistra, sulla legge urbanistica che poi non ha mai visto la luce. Ora non vorrei assistere al disastro del Piano regolatore che è il più importante d’Italia. E’ anche quello più innovativo e che si erge contro l’altro modello, quello di Milano, dove trionfa il liberismo. Lì il consiglio comunale decide caso per caso, tu sì e tu no, tu mi piaci e tu mi stai antipatico. A Roma doveva essere un’altra cosa».

Francesco Grignetti

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MESSAGGERO 21/03/03 L’accusa di Campos Venuti - la lettera al sindaco

È considerato il "padre" del nuovo Piano regolatore di Roma. Per anni ha collaborato con il Campidoglio per definire le linee guida del nuovo strumento urbanistico. Ma ieri, a poche dall’adozione del Prg, ha scritto al sindaco per «separare le sue responsabilità». Il professore bolognese conclude la sua lettera pregando o al sindaco di cancellare il suo nome dai consulenti del nuovo Prg «nella versione adottata dal consiglio comunale, nella speranza spero non illusoria che questo gesto individuale contribuisca in futuro a riproporre il percorso urbanistico che oggi sembra abbandonato». L’accusa che Campos Venuti muove è di aver liquidato le compensazioni a beneficio degli espropri, ovvero stravolto la strategia innovativa del piano per non dividere la coalizione, un «prezzo» pagato alla politica, insomma. «Il meccanismo attuativo - scrive ancora l’urbanista - dimezzava le vecchie previsioni residue del ’62 ma evitava di aprire un contenzioso giuridico sulle previsioni non cancellate». E ancora: «questo meccanismo attuativo, costruito assieme al piano in anni di lavoro è stato sacrificato sbrigativamente in poche settimane». Il professore prende quindi le distanze dal maxiemendamento proposto dalla giunta che «ha provocato una inevitabile turbolenza in tutto il sistema del piano». Secca la risposta di Veltron: «Ho già parlato con lui. Continuerà a lavorare con noi - ha commentato il sindaco - al di là della riserva su un aspetto, resta il suo giudizio assolutamente positivo sugli aspetti innovativi del piano».

Claudio Marincola

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LA STAMPA, 21 marzo 2003 Il varo di un nuovo Piano regolatore - l'opinione di Vittorio Vidotto

«L’idea delle venti centralità è bella ma c’è il rischio che ogni municipio si rinserri nel suo piccolo privilegio. Il piano del 1962 nei fatti non è mai stato attuato: prevedeva l’Asse attrezzato a Est, invece è nato all’Eur».

Giornata storica, quella che vede il varo di un nuovo Piano regolatore. Capita in media una volta ogni quarant’anni. E’ il caso, insomma, di parlarne con uno storico. Vittorio Vidotto, ad esempio, insegna Storia contemporanea alla Sapienza. Conosce bene le vicende di Roma avendo da poco licenziato un paio di volumi sulla Capitale.

Professor Vidotto, ci si avvia ad archiviare il Piano Regolatore del 1962. Dobbiamo esserne dispiaciuti? «Non c’è mai stato un Piano meno applicato di quello. Ricordiamo che prevedeva un cosiddetto Asse attrezzato a Est, dove sarebbero dovuti sorgere uffici e ministeri, ma in quarant’anni non s’è mai fatto. Al contrario, non previsto da quel Piano, il centro direzionale è nato all’Eur. Cioè verso Sud e il mare come voleva Mussolini. In pratica, tra urbanistica democratica e urbanistica del fascismo, nonostante la Liberazione, vinse quest’ultima. D’altra parte basta guardare le biografie personali: Virgilio Testa, il dominus dell’Eur, l’uomo che portò a compimento il quartiere, e riuscì a tenere assieme qualità edilizia e verde pubblico, portandosi dietro l’Archivio di Stato e l’edificio della democrazia cristiana, le residenze e gli uffici, era l’ex segretario generale del Campidoglio ai tempi del Governatorato fascista».

Quale fu il tallone d’Achille del Piano regolatore? «La coesione tra politica ed economia. Andarono ciascuno per la sua strada. Ma siccome la domanda di alloggi è incomprimibile, lo sfogo fu l’abusivismo a macchia d’olio. Non tanto quello dei tuguri, quanto interi quartieri di palazzine e di villette. Poi ci si misero i cosiddetti Peep, i Piani di edilizia economica popolare, che nacquero a raggiera un po’ dappertutto, a Est, ma anche a Sud. Nacquero il Laurentino o Spinaceto. Ma così si spostarono irrimediabilmente persone e mezzi. Mettiamoci poi che il Raccordo Anulare è stato snaturato, è diventato sul malgrado il vero Asse attrezzato, trasformandosi da via di scorrimento veloce extraurbana a urbana, ed ecco la città d’oggi».

Da come ne parla, sembra che il primato della politica abbia preso una bella bastonata dall’economia. «No, attenzione, stiamo parlando degli anni democristiani. Fu una scelta politica anche quella di accontentare tutti, accogliere ogni sollecitazione, concedere licenze che pure contraddicevano il Piano regolatore in cambio di consenso. Il primato della politica non ne venne affatto intaccato. Solo che era cambiato il disegno. E gli interessi cacciati dalla porta rientravano dalla finestra».

Fu la speranza (o illusione) della pianificazione, allora, a esserne infranta? «Senza un’idea precisa dei tempi e dei luoghi di dove costruire, senza priorità, insomma senza una volontà politica più che salda, non poteva che essere un’illusione».

E oggi? Cosa dobbiamo attenderci da questo Piano regolatore che il Campidoglio ha appena votato? «Oggi la città è forse ferma quanto a incremento demografico, ma non è ferma tout court. Ha nuovi bisogni. I miei studenti affannosamente cercano di andare via di casa. Proprio in questi giorni, un’allieva mi raccontava che assieme a quattro altri colleghi hanno affittato un appartamento all’Esquilino. Ecco, i giovani hanno dei bisogni a cui si deve dare risposte. E non dimentichiamo quel recente passato in cui la distribuzione delle case pubbliche ha premiato la violenza. Nel complesso s’era dato un senso di incertezza permanente. L’abusivismo è stata una scelta obbligata. Ma i danni sotto gli occhi di tutti».

Cioè? «Quando si permette di costruire senza strade adeguate, o in un budello, interi quartieri saranno invivibili. D’altra parte è solo di recente, con la giunta Rutelli, che si comincia seriamente a mettere al centro della città i trasporti pubblici su ferro. La speculazione edilizia non è un male in sé. A me, a noi, non importa se un costruttore guadagna poco o tanto: importa che che sia ben guidato. Importa che le linee di comunicazione siano veloci. Oggi, spostarsi da Est a Ovest è un dramma. Bisogna mettersi a fare calcoli: quanto tempo ci vuole? Ne va della vivibilità generale della città».

E per il futuro? Ottimista? «Mica tanto. E’ bella questa idea delle venti centralità, di dare orgoglio ai municipi. Ma se deve diventare microcampanilinismo, se poi tutti insorgono contro una via di scorrimento veloce o un parcheggio sotterraneo, se diventa dominante l’idea che non si deve più toccare un mattone e che ognuno sta rinserrato nel suo piccolo privilegio, allora non ci sto. D’altra parte si sente nell’aria quest’idea che il futuro si sia fermato. Un’idea neoconservatrice di città, trasversale a destra e sinistra. S’è rinunciato all’audacia dell’innovare».

Francesco Grignetti

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IL TEMPO, 23 marzo 2003 Storace esclude che possa essere discusso prima delle prossime elezioni per la Pisana - Prg, l’esame alla Regione dopo il 2005

IL PIANO Regolatore sarà approvato dalla prossima giunta regionale, non certo da quella attuale. Ne è sicuro Francesco Storace che però gela le speranze del centrosinistra che intravede in questo modo la possibilità di affidarlo a un futuro presidente, possibilmente non di centrodestra: «Se è la loro speranza allora il Comune se lo dovrà tenere per altri 20 anni». STORACE interviene anche sulle polemiche esplose dopo l’approvazione alla Regione della nuova legge sui parchi. «L’OPPOSIZIONE ha presentato 6 mila emendamenti, erano stati chiaramente scritti solo per fare ostruzionismo. E noi avevamo il diritto-dovere di stroncarlo. Se avessero presentato solo 100 emendamenti ci potevamo anche stare, ne avremmo discusso per una settimana, serenamente. Invece hanno perso e non lo accettano».

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IL MANIFESTO, 24 marzo 2003 Che forma avrà Roma? Il piano regolatore approvato dal comune è pessimo. Ma almeno è un piano regolatore, e rifiuta la logica della contrattazione con i privati area per area. La città comunque rischia di snaturarsi in modo gravissimo, se non ci saranno modifiche migliorative. Il lavoro è tutto davanti a noi - VEZIO DE LUCIA

Il sindaco Walter Veltroni ha ragione di essere soddisfatto. Non perde occasione di ricordare che solo Ernesto Nathan, nel 1909, era riuscito a far adottare un piano regolatore dal consiglio comunale di Roma. I due successivi strumenti urbanistici furono approvati, con una legge quello del 1931, e da un commissario prefettizio quello del 1962. Veltroni ha il merito di aver condotto con equilibrio e autorevolezza l'ultima fase di formazione del piano, apportando, mi sembra, miglioramenti rilevanti alle elaborazioni ereditate dalla precedente amministrazione. Al nuovo piano regolatore si mise mano all'inizio dell'amministrazione Rutelli, circa dieci anni fa, assumendo subito la parola d'ordine del «pianificar facendo», che è una specie di contraddizione in termini nel senso che, mentre si lavorava alla stesura del piano con vaste risorse, anche propagandistiche, al tempo stesso si «anticipava» il piano, sfornando interventi di ogni genere, di ogni misura, in ogni angolo della città, per un totale di oltre 40 milioni di metri cubi di nuova edificazione (vedi Paolo Berdini, Il Giubileo senza città, Editori Riuniti, 2000).

Così Roma ha continuato a espandersi a macchia d'olio, in tutte le direzioni. Il consumo del suolo, secondo me, è la questione centrale dell'urbanistica romana. Vale la pena di ricordare che, negli ultimi quarant'anni, la capitale ha sacrificato sotto il cemento e l'asfalto 30mila ettari di agro romano. Mille ettari all'anno. In 40 anni, la popolazione è aumentata del 13 per cento e il territorio urbanizzato del 360 per cento. Oggi Roma, come tutte le grandi città, è in forte declino demografico. Secondo i dati, ancora provvisori, del censimento 2001, la popolazione di Roma è diminuita di 270 mila unità rispetto al 1991, si è ridotto anche il numero delle famiglie e addirittura il numero delle abitazioni che, evidentemente, sono state destinate ad altri usi.

Ma il consumo del suolo continua a ritmo frenetico. L'agro romano è la più importante riserva archeologica d'Italia, forse del mondo; è il nucleo originario dell'identità romana, eppure continua a essere considerato buono a tutti gli usi. E' ormai ridotto a brandelli, sopraffatto da periferie in perenne espansione che hanno raggiunto la costa e i confini comunali. E' attraversato da una rete imponente di strade, ferrovie, elettrodotti, e frantumato dalla diffusione, in forma legale e più spesso illegale, di case e casette, impianti sportivi, servizi pubblici, uffici e attività produttive, depositi, esposizioni di ogni genere, vivai, maneggi, discariche, squallide distese di piccoli orti, spazi dismessi o in abbandono. Anche all'interno dei parchi naturali è evidente la disseminazione edilizia. Le uniche residue superfici agricole di consistente ampiezza sono quelle di proprietà pubblica (Castel Porziano, Santo Spirito) e poche altre grandi proprietà private.

La conseguenza di tutto questo è una città dov'è smodato lo spreco del territorio. Più che nelle altre città italiane ed europee. Nel 1961 ogni cittadino romano utilizzava meno di 60 metri quadrati di spazio urbanizzato, 40 anni dopo la superficie pro capite è aumentata a quasi 180 mq. Per completare il quadro, una recentissima legge della regione Lazio conferma l'edificazione nelle aree agricole.

Di fronte a tendenze come queste sommariamente descritte, sarebbe stato necessario un energico provvedimento volto a porre un freno alla rovina della campagna romana. La bassa densità delle periferie avrebbe potuto indurre a scelte di riorganizzazione e di ristrutturazione del territorio urbanizzato prevedendo un'intensificazione del suo uso, evitando un ulteriore consumo del suolo. Così non è stato. Il piano regolatore di Roma adottato mercoledì scorso prevede invece che, entro il 2012, la superficie urbanizzata aumenti di quasi 15 mila ettari e il volume edilizio di oltre 60 milioni di metri cubi.

Non si tratta solo di quantità esorbitanti. Un altro difetto fondamentale del nuovo piano riguarda la forma della città futura. Il decrepito piano regolatore del 1962, un piano indifendibile, immaginato per una città di cinque milioni di abitanti, senza alcun'attenzione per il rapporto con l'ambiente circostante, era però fondato su una suggestiva idea di città: accanto alla Roma storica, nei settori della periferia orientale doveva prendere corpo la città moderna. Lì dovevano trasferirsi i ministeri e le altre attività terziarie, liberando il centro - da riservare alla residenza e alle più pregiate funzioni di rappresentanza istituzionale - dalle oltraggiose condizioni di congestione e di inquinamento in cui viveva, e continua a vivere. Il successivo progetto Fori, ponendo l'archeologia al centro della città, completava un'immagine straordinaria della Roma moderna. Il nuovo piano, ahimè, non prevede niente del genere. Non c'è un'idea, se non quella, modestissima, di una quindicina di cosiddette centralità, più o meno una per ogni municipio (le vecchie circoscrizioni), dove concentrare attività commerciali e poco più. Il requiem al progetto Fori è stato celebrato di recente ponendo sull'area un vincolo monumentale che ne impedisce la trasformazione, inconfessato omaggio al regime fascista. Con tanti saluti al lavoro e alle speranze di Antonio Cederna, Luigi Petroselli e Adriano La Regina.

Se penso così male del nuovo piano di Roma, perché giudico positiva l'azione condotta da Veltroni? In primo luogo, perché è comunque un bene che la capitale non abbia rinunciato, come proponevano tanti portatori di interessi fondiari operanti in tutti gli schieramenti politici, alla pianificazione del territorio, e cioè al primato del- l'azione pubblica. Non va dimenticato che Milano ha, di fatto, rinunciato al piano regolatore generale, avendo assunto come strada maestra la contrattazione con i proprietari immobiliari, e che in larga parte d'Italia gli strumenti urbanistici sono ormai consunti simulacri di altre stagioni, all'ombra dei quali s'infittiscono le pratiche di accordo diretto con i privati, com'è consentito dall'ultima generazione di leggi varate ben prima del governo Berlusconi.

In secondo luogo, l'azione condotta da Walter Veltroni è positiva perché, senza il suo intervento, il piano sarebbe molto peggiore. Mi riferisco alla strumentazione attuativa e, in particolare, alla cosiddetta compensazione, che è il presupposto dell'urbanistica contrattata, un marchingegno perverso, funzionale all'obiettivo di rendere potenzialmente edificabile qualunque suolo, in qualunque circostanza. La possibilità di far ricorso alla compensazione ha indotto, con un madornale errore giuridico, a considerare diritti edificatori le vecchie previsioni urbanistiche. Grazie alla compensazione, si sono moltiplicati gli scambi obbrobriosi fra verde pubblico e nuova edificazione, con esiti paradossali, fino a 80 metri quadrati ad abitante di verde pubblico nel XII municipio, sì da indurre le associazioni ambientaliste a pretendere meno verde. Lo stesso sindaco ha preso le distanze dalla compensazione. A difenderla sono rimasti i costruttori e pochi altri. Alla fine, grazie a una decisiva mobilitazione di associazioni ambientaliste, dei verdi, di Rifondazione comunista, che si sono avvalsi anche di illustri specialisti (il giurista Vincenzo Cerulli Irelli, l'urbanista Edoardo Salzano), la compensazione urbanistica è stata depennata dagli strumenti di governo del territorio in uso nella capitale. Mi sento in obbligo di ricordare l'impegno lucido e convinto di Patrizia Sentinelli, capogruppo di Rifondazione comunista, protagonista delle discussioni negli ultimi mesi. L'esperienza di Roma non è conclusa.

All'adozione del piano farà seguito, nei prossimi mesi, la presentazione di osservazioni consentite agli operatori della materia e a chiunque intenda portare un contributo. La risposta spetta al consiglio comunale. Tutto può ancora succedere, non si possono escludere colpi di coda degli interessi colpiti. Spero che prevalga la ragione e siano possibili altri miglioramenti. Spero soprattutto che la vicenda del piano di Roma fornisca l'occasione per riflettere sull'urbanistica italiana, sui disastri degli ultimi anni, sui comportamenti delle istituzioni e del mondo politico. Anche a proposito di programmi del dopo Berlusconi. E' stato notato che in uno degli ultimi fascicoli di MicroMega, quello che conteneva i programmi della sinistra, erano elencate ventiquattro voci, dalla giustizia alla polizia, al lavoro, all'emigrazione, eccetera, ma niente che riguardasse il territorio, la città, le condizioni urbane. Un tempo l'urbanistica era una voce importante della politica, particolarmente a scala locale; e l'urbanistica romana, nel bene e nel male, era un riferimento per tutti. Si potrebbe ricominciare.

Vezio De Lucia

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LA STAMPA, 24 marzo 2003 La rivoluzione di Roma

Appena approvato tra mille polemiche il provvedimento ora passa alla fase attuativa - Dagli inizi con la giunta Rutelli all’allargamento politico della maggioranza - L’assessore all’Urbanistica ripercorre i passaggi salienti ed elenca le priorità di un piano storico Morassut: «Il Nuovo Piano Regolatore è una scommessa delle periferie»

Una rivoluzione copernicana. Si parte dalla concezione stessa della città, politica e culturale, per rinnovarla dalle radici. Si arriva alla forma estetica della metropoli il più possibile equilibrata, bella da vedersi, buona da viversi. Questi gli ambiziosi obiettivi del Nuovo Piano Regolatore, approvato la settimana scorsa a quarant’anni dall’ultimo provvedimento urbanistico, a cento dall’ultimo Piano votato da un’assemblea democraticamente eletta e non per decreto presidenziale. Tanti gli artefici di questo riassetto cittadino, tra loro, in primo piano, l’assessore all’Urbanistica Roberto Morassut che ha raccolto un’eredità fitta di storia che ha voglia di raccontare:

«Il Piano nasce nel `96 con la giunta Rutelli come base di un bilancio urbanistico romano temporalizzato. Con la variante delle certezze, primo rivoluzionario passaggio, si chiudeva con il passato e la sua pesante eredità fatta di abusivismo, degrado generalizzato condizionato da Tangentopoli. Questa Variante completava la Variante di Salvaguardia iniziata da Signorello sulla quale la sinistra impegnò una dura battaglia politica finalizzata e migliorarla. Ci riuscì e poi con Rutelli si completò. A questo punto, 1996-1997, si costituì il gruppo di lavoro del quale fece parte da subito anche Campos Venuti. Nel 2000 ci fu una prima proposta di Giunta accompagnata da atti importanti, articoli 11 mirati al recupero delle periferie, più in generale al recupero urbano e alla salvaguardia dell’ambiente. Su questi punti si è articolato il lavoro di Bettini che diede la barra politica del risanamento».

E siamo ai giorni nostri. La giunta Veltroni a questo punto come si è mossa? «Abbiamo ereditato un Piano che esce, dopo un anno e mezzo di lavoro, arricchito anche nel suo quadro politico. Penso a Rifondazione, alla riorganizzazione del centro. Ci vedo pure una coerenza maggiore un rapporto tra Piano e sistema della Mobilità più fluido. Infrastrutture, senza le quali non c’è edificabilità. Gli architetti Colasante e Maltese, tecnici del Comune, hanno lavorato molto alle previsioni di sviluppo legate all’edilizia residenziale pubblica». [RMINTERV]A questo proposito, il Piano pare pensi poco all’edilizia residenziale pubblica, sembra più un piano di protezione... «È un’offerta che dovremo implementare con scelte che privilegino il recupero di aree dismesse e che non sfruttino il suolo nuovo. Tor Pagnotta, forse lì l’edificabilità è eccessiva (1 milione e mezzo di metri cubi) pur se già ridotta di tre quarti rispetto a prima. Su Tor Marancia avevamo avuto un parere di non edificabilità che adesso ci pone il problema delle compensazioni, la necessità di costituire la riserva di aree pubbliche per onorare questo debito. Trecento ettari di aree di riserva, un esperimento per trovare il giusto equilibrio con le istanze ambientaliste. Dobbiamo mettere a punto una manovra sostenibile per l’edilizia residenziale pubblica in accordo con la Regione che promuova bandi anche per incentivare il riuso del già esistente. Dando premi per chi vuole recuperare edifici dismessi da strappare al degrado».

Ma i costi sono maggiori e gli imprenditori non ci stanno «Costi maggiori, soprattutto una filiera produttiva diversa, competenze, tecniche e rischio imprenditoriale differente, anche la sfida di superare una cultura vecchia. Io ho molta fiducia in una certa ala di imprenditori romani che ha imboccato la strada della consapevolezza e della qualità, costruttori dalla mente aperta, sensibili, che vedo ben guidati. Se fossero aiutati dagli incentivi pubblici andrebbe ancora meglio. La Regione deve dare una mano alle imprese di costruzioni romane».

E i 105 mila immigrati che gravitano su Roma dove andranno a vivere? «Mai in quartieri ghetto. L’edilizia residenziale pubblica è fatta di programmi per l’affitto da destinare i monoreddito, a coloro che comprano casa a costi ridotti con incentivo pubblico e alle fasce del bisogno e all’emergenza. Quest’edilizia deve tendere a forme sparse, inserite in quartieri di alto e medio livello; Massimina, Romanina, La Storta, che sono le centralità del futuro. Così garantiamo un’integrazione e un’articolazione del sistema sociale».

L’opposizione vi accusa di avere messo insieme un Piano poco partecipato, nato e cresciuto nelle segrete stanze. Come ribatte alle accuse? «Con la realtà. Tutti i Municipi hanno votato tre volte gli elaborati del Piano. Abbiamo ascoltato le associazioni e i comitati dei cittadini con grandissimo senso di responsabilità. E ne è venuto fuori un Piano moderno che punta a recuperare il gap infrastrutturale, che valorizza il lascito ambientale, culturale e storico di Roma. L’agro romano, per esempio, perché la capitale non è solo dentro le mura».

Il padre ideologico del Piano, Campos Venuti, ha fortemente criticato una parte del provvedimento, tanto da ritirare la sua firma. La sua riserva era puntata sullo strumento della perequazione. Lei come risponde? «Accolgo le osservazioni di Campos Venuti. Bisogna acquisire aree verdi per i servizi locali senza usare come unica arma l’esproprio. La perequazione è una via percorribile. Si tratta dell’acquisizione gratuita di un terreno in cambio di un 20% da lasciare ai proprietari. Questo 20% deve essere usato per pubblici esercizi, o ambulatori o servizi socio-assistenziali. Uno strumento nuovo che utilizzeremo nella città da ristrutturare. Vorrei approfondire la discussione che deve però essere svincolata dal contrappunto tra urbanisti riformisti e urbanisti massimalisti, altrimenti si rischia di rendere poco chiaro il contorno del problema. I fatti sono che si deve riorganizzare il tessuto delle borgate intermedie, mi riferisco a Torre Maura, Vitinia, Monte Spaccato, Giardinetti, cresciute tra palazzoni di periferia e una vasta proliferazione abusiva della corona esterna. Ecco quel tessuto manca di infrastrutture, intese persino come marciapiedi. Questa situazione può cambiare anche con la perequazione. Accetto le critiche di Campos Venuti. Mi dispiace la sua radicalità, non penso che il "suo Piano" sia stato stravolto. Lui era consapevole delle tante istanze che abbiamo rafforzato. Il passaggio da centro a città storica, il policentrismo, la ricerca di un equilibrio tra periferia e centro ancora lontano dall’essere raggiunto e soprattutto l’importanza dei municipi».

In definitiva, avremo modo di vedere una città architettonicamente omogenea, innovativa, in grado di coniugare passato e presente in modo armonioso? Come si può ottenere questo risultato? «Grazie agli architetti che progetteranno su uno schema preliminare di assetto unitario dell’intera centralità. La qualità urbana è proprio nelle nostre priorità, per questo abbiamo pensato a un comitato per la qualità con la partecipazione di urbanisti di chiara fama che dovranno approvare i progetto con un occhio aperto al nuovo ma compatibile con il già esistente».

I costruttori lamentano che non sia inserito, all’articolo 1 del piano, la parola «sviluppo». Perché è stata omessa? «Perché il Piano Regolatore non è uno strumento per promuovere sviluppo ma è la base per le politiche di crescita. Il Piano è la maglia, agli imprenditori il compito di dotarsi degli strumenti adatti allo sviluppo».

Michela Tamburrino

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CORRIERE DELLA SERA, 24 marzo 2003 «Il centro? Ha ragione il sovrintendente» Le associazioni sono d’accordo con le accuse, ma gli amministratori replicano: stiamo facendo molto

Gli abitanti della zona con La Regina, i politici con l’amministrazione. Se, da una parte, l’associazione «Centro storico» e gli ambientalisti di «Scopriroma» concordano in pieno con quanto denunciato ieri sul Corriere dal sovrintendente ai beni archeologici, dall’altra assessorato al Commercio e Primo Municipio, ricordano quanto, fin qui, è stato fatto per salvare la parte pregiata della città dal degrado. «Oggi stesso chiederò un incontro con Adriano La Regina. Voglio parlare con lui per fare il punto su quanto è stato fatto e su quello che c’è da fare». L’assessore al Commercio Daniela Valentini, dopo il j’accuse

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