Joel Kotkin, The City. A Global History, Random House, 2005 (edizione europea paperback 2006)
Utilissimo: su questo non c’è alcun dubbio. Utilissimo, perché è comunque opera meritoria concentrare in un libro di 160 pagine (più un’altra cinquantina fra note, indici, riferimenti bibliografici), che nell’edizione economica costa come qualunque romanzetto, tutta l’incredibile epopea dai primi grumi di capanne ai piedi di qualche santuario-fortezza agli albori della civiltà, alle torri di Shanghai che spuntano dallo smog del XXI secolo.
A dire il vero, a qualcuno come me, abituato forse troppo a certi riferimenti, fa una certa specie scorrere l’indice dei nomi e non trovare citati da nessuna parte per esempio Gutkind, o Gottmann. E magari posso trovare istintivamente curioso vedere nel testo che Howard è citato come “ planner”, e Jane Jacobs “ urbanist”. Ma si tratta ovviamente di personalissime fisime: i riferimenti sono sterminati, tanto quanto gli spunti, le prospettive di lettura, i semplici fatti esposti.
L’intento è sia divulgativo, che – come vedremo meglio poi – formativo, il che è una sfida non da poco coi ritmi forsennati che la narrazione imbocca da subito. Solo per fare un esempio, di questo passo: a pagina 4 siamo nella mezzaluna fertile mesopotamica, cinquemila anni a. C., coi primi grumi di insediamento stabile di tipo urbano, la mitica Ur, i sacerdoti, i rudimentali commerci; e a pagina 32 troviamo Roma già nel pieno del fulgore imperiale. Incalzante è dir poco.
Altra caratteristica è quella del linguaggio piano e scorrevole, nonché del frequente e affatto banale accostare tematiche storiche e contemporanee. Per esempio alla stessa pagina 32 si osserva come le strutture tecniche e sociali della capitale dell’Impero rendano possibile l’emergere di una rete commerciale assai diversa dai primitivi luoghi di scambio degli antichi villaggi e cittadine. “Commercianti di libri, pietre preziose, mobili e arredi si concentrano in quartieri specializzati. C’è l’horrea, che funge da supermercato, e una serie di botteghe più piccole al pianterreno delle insulae. Nell’epoca di maggior sofisticazione, Roma anticipa lo shopping center contemporaneo, col Mercato Traiano che offre una vasta gamma di prodotti organizzato su cinque livelli di negozi”. Questa del commercio è naturalmente una delle caratteristiche costanti dell’ascesa e organizzazione urbana delle varie città che nell’arco dei millenni, sparse qui e là per il pianeta a seconda delle fasi storiche, si collocano all’avanguardia dell’evoluzione sociale. Qualche secolo – e sedici pagine – più tardi dell’apoteosi di Roma, si ritrovano i medesimi ammiccamenti al trambusto del moderno mall anche nell’era di massimo splendore del Cairo, coi suoi bazaar tra cui spicca la Qasaba: “centinaia di botteghe, e i piani superiori ad ospitare 360 appartamenti, per una popolazione di circa quattromila persone … uno scrittore egiziano contemporaneo narra dell’incredibile abbondanza e diversità delle merci, nonché dell’assordante baraonda in cui spiccano le grida degli scaricatori che portano i prodotti alle barche sul fiume”.
Come sottolinea sin dalle prime battute Kotkin, la città affonda però le sue radici e la natura stessa della propria esistenza in una triade, articolata quanto inestricabile: fede, potere, scambi. Quando una delle componenti la triade viene a mancare, o si indebolisce troppo rispetto al ruolo sbilanciato delle altre, le città iniziano un declino: a volte inesorabile, a volte “temporaneo” (anche se in effetti è abbastanza difficile accettare la “temporaneità” di qualche secolo, o più). E dunque ecco la crisi che incombe sulle sorti delle città santuario, troppo dipendenti economicamente da un contado incontrollabile, o della fortezza quando non è più in grado di dominare il territorio da cui trae forza, o infine la decadenza nel lusso e nella pigrizia di una classe urbana brillantissima nel lucrare sugli scambi, ma che ha perso le spinte morali e ideali dei padri fondatori … E qui, per quanto riguarda il sottoscritto, inizia per così dire a cascare l’asino.
Perché mai? Ci si potrebbe chiedere. In fondo è pur vero e documentabile (Kotkin lo argomenta e documenta, nella sua relativamente sterminata serie di letture e riferimenti) questo intreccio inscindibile fra le tre ragioni d’essere della città, certo mai riconducibili alla sola ragione sociale della bottega o impresa, alla fede qualsivoglia, alla forza bruta di armi e politica di potere. Ad esempio l’energia per la rinascita delle città europee dopo i secoli bui dalla caduta di Roma, è ben riassunta (a p. 66) da Kotkin con la frase di Henry Pirenne, secondo cui “ l’amore del profitto si sposa al patriottismo locale”. Ma anche in questo caso l’agilità del volume di poche pagine e agevole lettura aiuta moltissimo: basta procedere gradevolmente attraverso la città della rivoluzione industriale, fino all’ingresso nel secolo scorso, e doppiare il capo di pagina 100, o giù di lì.
È appunto nel secolo breve, detto da qualcuno anche il secolo americano, che parecchi nodi sinora elegantemente distribuiti e diluiti iniziano e stridere sul mio personalissimo pettine. Ad esempio, quando all’alba del movimento per la città giardino Kotkin pare scordarsi di botto l’amore per dettagli ed equanimità che sino ad ora sembrava pervadere la narrazione, e taglia netto: la città industriale fa schifo, viva la suburbanizzazione. Il che, tra parentesi, è l’esatto opposto di quanto sostenuto per parecchi lustri sia dal “ planner” Howard che da molti suoi collaboratori e allievi. E questa “crisi” della città intesa in senso tradizionale, come agglomerazione e vicinanza fisica, di fatto caratterizza sottotraccia tutta la parte (un terzo, circa) che il volumetto dedica alla città contemporanea, dallo white flight del secondo dopoguerra, alle megalopoli povere dei paesi in via di sviluppo, fino al recupero urbano di fine millennio e alle sue spesso (condivisibilmente) ridicole ideologie. Detto in altre parole, la triade fondativa delle città (meglio se diffuse) sembra infine declinarsi in un impasto tra fede, potere e mercato, che ricorda molto certe culture, abbastanza note anche a casa nostra.
Chi non l’avesse ancora fatto, ora è meglio vada a vedersi la breve nota biografica di Joel Kotkin in apertura, la quale nota chiarisce meglio certi punti di vista. Kotkin, oltre che autore piuttosto prolifico e di ampie prospettive disciplinari, è Irvine Senior Fellow alla New American Foundation. Proprio la fondazione nota, ad esempio, per ostentare nel consiglio direttivo il famigerato Francis Fukuyama, quello della Fine della Storia. E che nelle tematiche sociali, ambientaliste, politiche, militari ecc. da sempre affianca le posizioni neoconservatrici. Solo per limitarsi alla parrocchietta della forma urbana, ad esempio, le posizioni di gran lunga prevalenti sono quelle del suburbio auto-dipendente come scelta di libertà, pressoché automatica quando si raggiunge un certo livello di disponibilità economica, e che non deve essere in alcun modo ostacolata perché “naturale”. Siamo insomma ancora nei pressi di Robert Bruegmann, stavolta proiettato anche nel tempo e nello spazio, dalla culla di Abramo a Ur, al comunismo di mercato da cui spuntano nel suburbio di Shanghai le prime villone pacchiane con piscina: è la Storia, baby!
Soltanto una cultura del genere, può permettersi tranquillamente di iniziare uno dei paragrafi finali con “Il Medio Oriente islamico rappresenta la minaccia più immediata e letale alla sicurezza delle città a scala globale” (sic: p. 155). E il sottoscritto lettore, adesso, si è onestamente stufato di consumare gli occhi su un’opera più che discutibile, più che criticabile. Per fortuna a pagina 160 la tiritera si conclude, con un messaggio apparentemente aperto e di grande respiro: “È nella città, antica confluenza fra la dimensione sacra, quella della sicurezza, e delle attività, che si forgerà l’umanità del futuro nei secoli a venire”. Speriamo soltanto che non sia governata dalla New American Foundation!
Nota: per capire meglio l’Autore, di Joel Kotkin, su queste pagine, anche, Suburbio è bello (Architecture, gennaio 2005); Ascesa della Città Effimera (Metropolis Magazine, aprile 2005); La Città del Futuro (The Washington Post, 24 luglio 2005); Cos’è il Nuovo Suburbanesimo(Planetizen, 24 aprile 2006); molti dei temi di questi articoli, e spesso anche loro interi paragrafi, costituiscono con poche modifiche i capitoli finali del volume recensito (f.b.)