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Maria R. Calderoni
Come era bello il Pci di Novelli
5 Gennaio 2007
Recensioni e segnalazioni
“L’ultimo libro dell’ex sindaco di Torino: non un’operazione nostalgia, ma una puntuta critica del presente”. Da Liberazione del 5 gennaio 2007

Quando c’erano le sezioni Pci (una per ogni campanile, già, era un vero partito di massa): lui dedica all’argomento due capitoli (“Vita di sezione” e “(Dolce vita di sezione”). «Le sezioni erano posti da frequentare anche la sera della domenica. A Torino ricordo la Eric Giacchino, la Bravin di Mirafiori, la Ilio Baroni, la Gino Scali, dove si andava a ballare... Alle 23 la musica si interrompeva ec’erailmomentodi “richiamo politico”».

Lui è Diego Novelli, ex giornalista dell’“Unità”, ex sindaco di Torino (per dieci anni, 1975-1985), ex parlamentare di lungo corso, nonché comunista non pentito. L’autoritratto se lofa con poche righe Ben tirate,proprio nell’incipit del suo nuovo libro (ne ha scritti altri venti), appena uscito per gli Editori Riuniti con un titolo-manifesto: “Come era bello il mio Pci” (pp. 153, euro 10). «Non sono un apostata come Giuliano Ferrara. Non mi sono iscritto al Pci per combattere il comunismo, come ha dichiarato Piero Fassino. Il partito di Berlinguer e il Pci per me erano la stessa cosa, contrariamente a quanto vorrebbe far credere Walter Veltroni. Non è vero che non sono mai stato comunista, come ora dice di sé Claudio Petruccioli. Sono stato comunista non solo perché avevo intascaunatesseradipartito.E oggi non sono un ex comunista solo perché non ho in tasca una tessera di partito».

Quel che si dice parlare fuori dai denti. Un vero outing, per di più assolutamente temerario, dati i tempi. Non un’operazione nostalgia, non il santo Pci icona venerabile; ma un libro di contingente polemica politica. Un libro che, proprio dal confronto con il Partito che fu (quello appunto che venne “sepolto vivo”, come accusa la Rossanda) trae ottima linfa per un puntatissimo pollice versus, contro Un Presente che non lo attrae né tanto né poco, diciamo Quercia e dintorni. Un ripudio del Botteghino (ma anche i tentativi ultimi, e perfino ultimissimi, di dare vita ad altri soggetti a sinistra dei Ds non lo vedono entusiasta: vedi l’ultimo rassmblement, quello in data 24 settembre 2006, della Sinistra europea, dove ,«il dibattito, se così si può chiamare, mi ha ricordato tristemente sproloquianti assemblee sessantottine »).

Insomma, “non va più”. Niente consolazione, dopo la Sepoltura, ma anche niente resurrezione, niente formidabile Nuovo Inizio, macché. Il Pci era rock, questi sono lenti, e questi sono i Ds e simili, sostiene Novelli. Raccontare di «come era bello il mio Pci», è per lui,quindi, oltre che un momento della Memoria, anche lo specchio per mostrare di come invece non è affatto bello - anzi piuttosto bruttino - ciò che è venuto dopo. A Babbo (Pci) morto.

Per esempio. Allora «la sezione aveva aspetti sacrali, sia nella distribuzione dei locali, sia per gli ideal-tipi che la frequentavano. La stanzetta della segreteria era il “tabernacolo” della nostra piccola chiesa, dove il segretario convocava i compagni per colloqui riservati, o per affidare loro dei compiti particolari e dove, in una minuscola scrivania, venivano gelosamente custoditi gli elenchi degli iscritti, le tessere in bianco da compilare per i nuovi reclutati, un quadernetto a quadretti, sul quale venivano registrati i movimenti di cassa». Immarcescibili sezioni Pci. «La vita della sezione, aperta tutti i giorni alle nove della mattina fino a sera tardi, aveva un suo preciso dipanarsi», secondo i giorni della settimana.«Al giovedì c’era l’assemblea degli iscritti. All’ordine del giorno, in primo piano, le campagne che il Partito promuoveva, ma dove si discuteva di tutto», ivi compreso la rete dell’illuminazione e la sistemazione delle strade.

Una volta. Allora. «Oggi le cose vanno diversamente. L’attuale classe dirigente dei Ds non ha alcun rispetto non dico per gli elettori, ma nemmeno per gli iscritti. Loro fanno tutto in televisione,attraverso “Ballarò” e “Porta a porta”. Ci vanno sempre gli stessi». Un sassolino dalla scarpa o un sasso in fronte? (la domanda è retorica).

Per esempio. Allora «molto forte era lo spirito di solidarietà». L’episodio che Diego Novelli racconta è quello relativo all’alluvione del Polesine nel ’51. «Dalla Federazione arrivò un lapidario messaggio telefonico, ricevuto da Rosalia, l’impiegata, a tempo pieno, della sezione. «Bisogna organizzare subito gli aiuti per quella gente e provvedere a ospitare a Torino il maggior numero di bambini». Questa era “la direttiva”. In poche ore ci fu una straordinaria mobilitazione. Il giorno dopo, all’alba, partivamo con un camion Isotta Fraschini D/65, di proprietà di una ex cooperativa partigiana, carico di masserizie, indumenti, sacchi di pane, formaggi, scatolame, acquistati con fortissimo sconto presso lo spaccio della Alleanza cooperativa torinese di via Di Nanni. Tre giorni dopo eravamo di ritorno con una quarantina di bambini di Cavarzere », (tutti ospitati in casa di compagni della sezione).

Per esempio. Allora «il grande vivaio dei leader del Pci era la fabbrica, soprattutto a Torino. Dalle fabbriche arrivavano non solo operai, ma anche impiegati e tecnici. Diversi dirigenti della Federazione torinese furono paradossalmente eletti da Vittorio Valletta, visto che erano stati licenziati dallaFiat a causa della loro attività politica». Come Emilio Pugno, come Vito D’Amico diventati in seguito deputati. «C’era il culto degli operai nelle istituzioni, oggi non se ne vede più neanche uno. Non ci sono operai in parlamento, ma neppure nel Consiglio comunale di Torino». Quei fantastici metalmeccamici torinesi, capaci di«rifare i baffi alle mosche»,quegli strenui resistenti comunisti di Mirafiori, quei mitici compagni della Officina 32, il reparto “confino”, la famigerata Osr (officina sussidiaria residui), subito ribattezzata Officina stella rossa. Quei tipi come il Bonaventura Alfano e l’Antonio Bonazinga, i due operai iscritti al Pci, che «guidano la lotta dell’Officina 32»...

E quei tipi come il Nega - Celeste Negarville, ex operaio, dirigente del Pci torinese, poi deputato - «il Nega che aveva fatto dieci anni di “università speciale” nelle patrie galere, che conosceva a memoria tutti i canti dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, e che ci esortava a studiare dicendoci: “Ricordatevi, l’istruzione è obbligatoria, mentre l’ignoranza è facoltativa” ». E anche quei tipi come «il segretario della 39ª sezione di Torino che cerca di giustificare l’invasione sovietica dell’Afghanistan con la motivazione che “l’Armata Rossa è fatta per muoversi” ». I famosi tipi comunisti doc, quelli delle altrettanto famose frasi fatte, «nella misura in cui», il problema «che si pone», o, al contrario, «si solleva», il dibattito che «si apre» ed è sempre «approfondito », mentre «il Partito lo esige». «Un altro vezzo era quello di indicare nelle risposte tre punti. Come dice ancora spesso Piero Fassino, “le questioni sono tre”»... Sassolini dalle scarpe (uno si chiama Macaluso, un altro Chiamparino...), schizzi e ritratti, il libro ne abbonda. Uno riguarda Giuliano Ferrara (quello d’antan, quello di allora, dirigente del Pci torinese): infuriato con l’assessore della cultura Giorgio Balmas, reodinonaverdatosubitolanotizia della strage di Sabra e Chatila per non interrompere un concerto di Berio, per la pace, che il Comune aveva organizzato in piazza, «perdeva il controllo di sé, insultava l’assessore, malmenava il funzionario della ripartizione cultura, stendendolo sul selciato, con un cazzotto in pieno viso». Pci, un’altra storia

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