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Henry George
Progresso e Povertà.
1 Aprile 2004
Indagine sulle cause delle crisi industriali e dell’aumento della povertà in mezzo all’aumento della ricchezza. Il Rimedio, traduzione di Ludovico Eusebio, Robert Schalkenbach Foundation, New York 1963 (ristampa dell’edizione italiana UTET, Torino 1888)

brani scelti:

(1) - Libro I – Capitolo II, Significazione dei termini

(2) - Libro IV – Capitolo II, Azione dell’aumento della popolazione sulla distribuzione della ricchezza

(3) - Libro VII – Capitolo I, Ingiustizia della proprietà privata della terra

(4) - Libro VIII – Capitolo II, Come gli eguali diritti alla terra possano essere affermati e garantiti

(1) - Libro I – Capitolo II, Significazione dei termini

Il concetto espresso dal vocabolo “terra” comprende necessariamente non solo la superficie della terra, come distinta dall’acqua e dall’aria, ma l’universo materiale intiero, a parte l’uomo; imperocché gli è solo in quanto è sulla terra, da cui lo stesso suo corpo è tratto, che l’uomo può entrare a contatto colla natura e servirsene. Epperò, il concetto di “terra” comprende necessariamente tutte le materie, tutte le forze e tutti i beni naturali; quindi, nulla di ciò che è gratuitamente dato da natura potrà, propriamente, dirsi capitale. Un campo fertile, una ricca vena di minerale, una caduta d’acqua che fornisce forza, possono procurare al loro possessore vantaggi equivalenti al possesso d’un capitale; ma considerare queste cose come capitale sarebbe togliere ogni distinzione fra capitale e terra e, per ciò che concerne i rapporti fra le due cose, togliere ogni significazione ai due termini. (p. 21).

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(2) - Libro IV – Capitolo II, Azione dell’aumento della popolazione sulla distribuzione della ricchezza

Ecco; supponiamo una savanna sconfinata, estendentesi in una non interrotta uniformità di erbe, di fiori, di piante, di ruscelli, che stanca colla sua monotonie il viaggiatore. Arriva col suo carro il primo immigrante. Dove gli convenga meglio stanziarsi egli stesso nol sa dire: un acro è egualmente buono che un altro. Quanto a ricchezza di boschi, di acque, di fertilità, a situazione, non vi ha assolutamente nessuna scelta da fare e il nostro colono è addirittura nell’imbarazzo davanti a tanta ricchezza. Stanco di andar attorno a cercare un posto che sia migliore degli altri, ei si ferma dove vien viene e si dà attorno a costruirsi una casa. La terra è vergine e ricca, abbondante di selvaggina, le acque esuberanti di trote. La natura è generosa come non potrebbe esserlo di più. Il nostro colono ha là ciò che, se fosse in un paese popolato, basterebbe a farlo ricco. Eppure, esso è povero .Per non dir nulla della disposizione del suo spirito, che gli farebbe salutare con gioia l’arrivo del più stupido straniero, con cui poter scambiare una parola, ci lavora in mezzo a tutti gli svantaggi materiali della solitudine. Ei non può ricevere alcun temporaneo aiuto pei lavori che domandano una maggior unione di forza che quella che può offrirgli la sua famiglia o quel qualunque ausiliare, che ei si possa permanentemente tenere. Sebbene abbia bestiame, spesso non può avere carne fresca, in quanto per avere una bistecca dovrebbe uccidere un vitello. Ei deve essere il proprio fabbro, carradore, carpentiere, ecc., insomma “trattare tutti i mestieri e non saperne alcuno”. Ei non può far istruire i suoi ragazzi, perchè dovrebbe tenere e mantenere un maestro apposta. Le cose che non può produrre da sé, ei deve comperarle in grande quantità e tenerle in serbo, oppure deve farne a meno, non potendo ad ogni momento lasciare il suo lavoro e fare un lungo viaggio laggiù, all’orlo estremo della civiltà, per procurarsele;e quando vi è costretto, l’avere una fiala di medicina o il rimettere una ruota gli costa giornate e giornate di lavoro suo e dei suoi cavalli. In queste circostanze, la natura ha un bell’essere generosa; l’uomo è povero. Ben gli è facile avere di che mangiare, ma all’infuori di ciò il suo lavoro basta appena a soddisfare i bisogni più semplici e, ancora, nel modo più primitivo.

Ben presto un altro immigrante arriva. Sebbene ogni acro della sterminata pianura sia egualmente buono che un altro qualsiasi, questo secondo immigrante non si troverà in nessun imbarazzo per la scelta della sua stanza. La terra è dappertutto la stessa, sì; ma una località vi è, che per lui è evidentemente migliore di qualunque altra, ed è dove già vi è un altro colono, dove potrà avere un vicino. Ei si stanzia accanto al primo colono, la cui condizione viene subito ad essere grandemente migliorata e a cui molte cose saranno ora possibili, che non erano prima, in quanto due uomini possono aiutarsi l’un l’altro a far cose che un uomo solo non potrebbe far mai.

Un altro immigrante arriva e, guidato dalle stesse considerazioni, si stabilisce accanto agli altri due; poi ne arriva un altro, poi altri ed altri, finché il primo colono si trova ad essere circondato da vicini. Il lavoro ha ora una efficacia, a cui, nello stato solitario, non poteva accostarsi. Se un qualche pesante lavoro è a farsi, i coloni hanno strumenti adatti e, insieme, fanno in un giorno ciò che ad uno solo avrebbe richiesto anni. Quando uno uccide un vitello, gli altri ne hanno una parte, che restituiranno quando uccideranno un vitello alla loro volta e così essi hanno sempre carne fresca. Insieme prendono un maestro di scuola, di guisa che i loro ragazzi sono istruiti per una frazione di ciò che lo stesso insegnamento avrebbe costato al primo colono. Diventa relativamente facile mandare alla città vicina, in quanto vi ha sempre qualcuno che vi si reca. Ma di questi viaggi non vi ha più tanto bisogno. Un fabbro ed un carratore non tardano ad aprir bottega e il nostro colono può far riparare i suoi strumenti non spendendo più per le riparazioni che una piccola parte del lavoro, che gli costavano prima. Anche si apre un magazzino, dove ei può procurarsi ciò di cui ha bisogno a misura che il bisogno sorge; poi, un ufficio postale lo mette in comunicazione col resto del mondo. Vengono in seguito un calzolaio, un falegname, un sellaio, un medico e ben presto anche sorge la chiesetta. Godimenti diventano possibili, che nello stato solitario non lo erano: godimenti e soddisfazioni per la sua natura di essere socievole e intelligente, quella che lo eleva al di sopra del bruto. La simpatia, il sentimento dell’associazione, la emulazione stimolata dal confronto o dal contrasto, aprono una vita più larga, più varia.

(...)

Ed ora, andate a trovare il nostro colono e ditegli: “tu hai tanti alberi da frutta che furono da te piantati; hai scavato un pozzo, costruito un granaio, una casa, ecc.; insomma, hai col tuo lavoro aggiunto tanto alla tua terra. Questa terra, in sé, non è più così buona come prima; tu l’hai già sfruttata e fra poco avrà bisogno di ingrasso. Ti darò l’intero valore delle migliorazioni che vi hai fatto attorno e tu dammi la tua terra a va colla tua famiglia a cercartene un’altra al margine estremo della civiltà”. Il nostro colono vi riderebbe in faccia. La sua terra non gli dà più tanto grano né tante patate come prima, ma gli procura una molto maggior somma di necessità e di comodi. Il suo lavoro applicato alla terra non gli dà più così abbondanti raccolti né, vogliamo supporre, raccolti aventi lo stesso valore di prima, ma gli procura una molto maggior somma di tutte quelle altre cose, per aver le quali l’uomo lavora. La presenza di altri coloni, l’aumento di popolazione, ha accresciuto sotto questo riguardo la produttività del suo lavoro applicato alla terra; e questa maggior produttività dà alla sua terra una superiorità sulle terre di qualità naturale pari, ma collocate dove non sono coloni.

(...)

La popolazione continua ad aumentare e con essa crescono le economie, che il suo aumento rende possibili e che hanno per effetto di rendere maggiore la produttività della terra. La terra del nostro primo colono essendo il centro dello stanziamento, il magazzino, la fucina del maniscalco, la bottega del carradore si apriranno su di essa o immediatamente accosto ad essa; e presto sorgerà qui il villaggio; che andrà presto a svilupparsi a città, a centro degli scambi di tutta la popolazione del distretto. Senza che per ciò venga ad avere una produttività agraria maggiore di quella che avesse prima, la terra del nostro colono comincerà a sviluppare una produttività di più alta natura. Al lavoro speso per averne grano o patate essa non darà una quantità di grano o di patate maggiore di prima; ma al lavoro speso nei rami suddivisi della produzione, che la prossimità di altri produttori richiede e specialmente al lavoro spiegato in quella parte finale della produzione, che consiste nella distribuzione, essa darà redditi molto maggiori. Il coltivatore di grano può andare più oltre e trovare terra, su cui il suo lavoro produrrà una egual quantità di grano e a un dipresso una egual somma di ricchezza; ma l’artigiano, il manifatturiere, il negoziante, il professionista troveranno che qui, nel centro degli scambi, il loro lavoro frutterà loro molto di più che non anche solo un po’ più in là; e il proprietario di questa terra potrà pretendere il risultato di questa maggior produttività sotto tale riguardo, come potrebbe pretendere al risultato della maggior produttività della terra stessa quando fosse coltivata a grano. Così il nostro colono potrà vendere come lotti di terreni da costruzione alcuni acri della sua terra a prezzi , che non si sarebbero mai pagati per la terra stessa come terra destinata ad esser coltivata a grano, se anche la sua fertilità granifera fosse le tante volte maggiore. E per tal modo ei potrà costrursi una bella casa per sé e ammobigliarla con lusso. Insomma, per ridurre la cosa alla sua più semplice espressione, quelli, che desiderano servirsi della sua terra, gli costruiranno ed ammobiglieranno una casa, a condizione che permetta loro di servirsi della maggior produttività, che l’aumento della popolazione ha dato alla sua terra.

E la popolazione continua ad aumentare, dando alla terra una utilità sempre più grande ed una sempre maggior ricchezza al suo proprietario. La città è diventata una metropoli, una Saint-Louis, una Chicago, una San Francisco e va crescendo ognora. La produzione vi è condotta su grande scala, coi migliori meccanismi e nelle condizioni di agevolezza più favorevoli; la divisione del lavoro diventa estremamente minuta, moltiplicando la efficienza del lavoro in modo meraviglioso; gli scambi sono fatti a così grandi masse e con una tale rapidità che le perdite per attrito sono ridotte al minimo. Di qui partono tutte le strade, tutte le correnti, irradiandosi attraverso la circostante regione. Qui, se avete qualche cosa a vendere, è il mercato; qui, se vi abbisogna di comperare qualche cosa, sono i più grandi e meglio forniti magazzini. Qui si concentra, come in suo foco, l’attività intellettuale; di qui parte lo stimolo, che nasce dalla collisione delle menti. Qui le ricche biblioteche, i grandi serbatoi della scienza, i professori più sapienti, gli specialisti più famosi. Qui i musei, le gallerie artistiche, le collezioni scientifiche; qui tutto ciò che si può trovare di più raro, di più prezioso, di più scelto. Qui vengono da tutte le parti del mondo i grandi attori, i più eloquenti oratori, i cantanti più famosi. Qui insomma è un centro della vita umana in tutte le sue diverse manifestazioni.

Così enormi sono i vantaggi che questa terra ora presenta, che invece di un uomo solo inteso a lavorare, con un paio di cavalli, più e più acri, voi potete in certi luoghi contare sopra un acro solo migliaia di lavoratori, che lavorano gli uni sul capo agli altri, in edifizi elevantisi di cinque, sei sette ed anche otto piani sopra il suolo, mentre sotto terra rombano le macchine a vapore, che spiegano la forza di migliaia di cavalli.

Tutti questi vantaggi sono inerenti alla terra; gli è su questa terra e non su un’altra che essi possono essere utilizzati, in quanto qui è il centro della popolazione, il foco degli scambi, il mercato e il laboratorio delle più alte forme dell’industria. Le forze produttive, che la densità della popolazione attribuisce a questa terra, equivalgono ad una moltiplicazione della sua fertilità originaria per cento o per mille. (pp. 139-143).

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(3) - Libro VII – Capitolo I, Ingiustizia della proprietà privata della terra

Quanto al far derivare un diritto individuale esclusivo e pieno all’uso della terra dalla priorità di occupazione, gli è questa, se possibile, la più assurda base, su cui uno possa collocarsi per difendere la proprietà della terra. La priorità di occupazione dare un titolo esclusivo e perpetuo alla superficie di un globo, su cui, nell’ordine della natura, generazioni innumere si succedono! O che gli uomini dell’ultima generazione avevano forse maggior diritto all’uso di questo globo che noi della generazione attuale? O lo ebbero quelli di cento, di mille anni fa? O lo ebbero i costruttori dei mounds, gli abitanti delle caverne, i contemporanei del mastodonte o del cavallo a unghia triflessa, o quelle più remote generazioni, che in tempi avvolti nella notte e che arriviamo appena a rappresentarci solo come epoche geologiche, si succedettero su questa terra, che noi occupiamo ora per sì breve giorno?

O che il primo arrivato ad un banchetto avrà il diritto di capovolgere le sedie e di pretendere che nessuno degli altri invitati tocchi la mensa apprestata, se prima non sia venuto a patti con lui? E chi primo presenta un biglietto alla porta di un teatro ed entra, acquisterà per questa sua priorità il diritto di chiuder le porte e di avere la rappresentazione per sé solo? E il viaggiatore che primo sale in vagone avrà il diritto di occupare coi suoi bagagli tutti i posti e di costringere quelli che salgono dopo di lui a starsene in piedi?

(...)

I nostri diritti di presa di possesso non possono essere esclusivi, bensì debbono dappertutto essere limitati dagli eguali diritti degli altri. Come il viaggiatore nella vettura può occupare, lui ed i suoi bagagli, quanti posti vuole, finché altri viaggiatori non salgano, così un colono può prendere ed usare quanta terra gli piace, finché questa non diventa necessaria ad altri – fatto che si rivela quando la terra acquista valore – Allora, il suo diritto viene ad essere falcidiati dagli eguali diritti degli altri. Se così non fosse, un uomo potrebbe, in virtù della priorità di appropriazione, acquistare e trasmettere a chi meglio gli piacesse il diritto esclusivo non solo a 160, o a 640 acri, ma ad una città intiera, ad uno Stato, ad un continente. (pp. 202-204).

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(4) - Libro VIII – Capitolo II, Come gli eguali diritti alla terra possano essere affermati e garantiti

Non propongo né di comperare né di confiscare la proprietà privata della terra; l’una cosa sarebbe ingiusta, l’altra inutile. Gli individui, che ora lo hanno, conservino, se loro abbisogna, il possesso di quella, che essi chiamano la loro terra, e continuino pure a chiamarla così; continuino a poterla vendere, legarla, dividerla – noi potremo ben lasciar loro il guscio se ci prenderemo la nocciuola.

Non è punto necessario confiscare la terra; è solo necessario confiscare la rendita.

Né per prendere la rendita per usi pubblici è necessario che lo Stato stia a confondersi coll’affittamento delle terre e corra il pericolo del favoritismo, delle collisioni, delle corruzioni che potrebbero accompagnarlo. Non è punto necessario di crear alcun nuovo meccanismo amministrativo. Il meccanismo esiste già. Invece di complicarlo, tutto ciò che rimane a fare si è di semplificarlo e di ridurlo. (...) Servendoci dello stesso meccanismo che già esiste, noi potremmo, alla cheta e senza scosse, affermare il diritto comune alla terra, prendendo la rendita pei bisogni pubblici. Noi prendiamo già una parte della rendita mediante le imposte. Non abbiamo che a fare alcuni cambiamenti nei nostri modi di tassazione per prenderla tutta. Dunque, ciò che io propongo (...) è l’appropriazione della rendita mediante l’imposta.

(...) Nella forma, la proprietà della terra rimarrebbe ciò che è ora. Non c’è bisogno di spossessare alcun proprietario, né di stabilire limite alcuno alla estensione di terra che uno può tenere; imperocché, la rendita essendo presa coll’imposta dallo Stato, la terra, sotto qualunque nome essa sia e quale ne sia la sua divisione, sarebbe realmente proprietà comune ed ogni membro della comunità parteciperebbe ai suoi vantaggi. Or, siccome la imposta sulla rendita o sui valori fondiari deve necessariamente essere aumentata coll’abolire che noi facciamo le altre imposte, così noi possiamo dare alla proposizione una forma pratica col proporre di:

Abolire tutte le imposte, tranne quella sui valori fondiari.

Come vedemmo, il valore della terra, al principio della civiltà, è nullo; ma a misura che la società si sviluppa coll’aumento della popolazione e col progresso dell’industria, questo valore diventa sempre più grande. In tutti i paesi inciviliti, anche nei più nuovi, il valore della terra, presa nel suo insieme, basta a sopperire a tutte le spese del governo. Nei paesi sviluppati, è molto più che sufficiente. Epperò non basterà semplicemente mettere tutte le imposte a carico del valore della terra; bensì, dove la rendita eccede le entrate attuali dello Stato, , bisognerà corrispondentemente aumentare la somma, che coll’imposta si domanda, e continuare ad aumentarla a misura che la società progredisce e che la rendita aumenta. Ma ciò è così naturale e così facile a farsi che lo si può considerare come compreso o almeno come sottinteso nella proposizione di collocare tutte le imposte sui valori fondiari. (...) Dovunque la idea di concentrare tutte le imposte sui valori è considerata con un po’ di attenzione, essa fa invariabilmente il suo cammino, ma che delle classi, che più specialmente ne sarebbero avvantaggiate, poche sono quelle, che vedano a prima giunta e neppure dopo lungo tempo tutta la sua importanza e la sua portata. Riesce difficile ai lavoratori sgombrare il loro cervello dall’idea che un reale antagonismo vi sia fra capitale e lavoro; riesce difficile ai piccoli affittavoli e ai piccoli proprietari togliersi di capo l’idea che il far cadere tutte le imposte sulla terra sarebbe un’ingiustizia a loro danno. Ad entrambe poi queste classi riesce difficile deporre l’idea che esentare il capitale da qualsiasi imposta sarebbe un rendere il ricco sempre più ricco e il povero sempre più povero. Queste idee nascono da un pensiero confuso. Ma dietro all’ignoranza ad al pregiudizio vi ha un interesse potente, che finora dominò la letteratura, l’educazione e l’opinione. Le grandi ingiustizie non muoiono mai se non difficilmente e la grande ingiustizia, che in tutti i paesi incivili condanna masse d’uomini alla povertà ed al bisogno, non sparirà senza una viva lotta. (pp. 239-240).

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