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Paolo Berdini
Patti territoriali scellerati
2 Aprile 2005
Un esempio di uso perverso di strumenti sbagliati: per favorire la rendita Regione e Provincia calpestano l'aqutonomia comunale: Lazio, Roma, Grottaferrata. La corrispondenza è del 31 marzo 2005

1. La vicenda interessa il comune di Grottaferrata, venti chilometri a est di Roma, nel Parco regionale di Castelli romani, interamente vincolato ai sensi del D.l. 42/2004. L’area della società Re.Ga. 91 ha una previsione edificatoria di piano regolatore di circa 60.000 metri cubi su un terreno di undici ettari. Il piano urbanistico vigente risale agli anni ’70 (per la precisione fu approvato nel 1972): è dunque molto generoso e prevede lottizzazioni in ogni parte del territorio, anche in aree, come quella in questione, delicate sotto il profilo ambientale.

I quindici comuni compresi all’interno del parco hanno una popolazione complessiva al 2001 di circa 260.000 abitanti con un incremento rispetto al decennio precedente dell’8,3%. Grottaferrata presenta un ritmo di crescita di poco minore della media: i residenti nel 2001 sono circa 17.500 con un incremento rispetto al decennio precedente dell’8%. La crescita è ancora elevata a causa dell’ondata di abbandono che ha investito la capitale: comunque il numero delle famiglie (91.313) è pressoché uguale alle abitazioni occupate (90.375, mentre il numero di quelle non occupate è di 9.733).

Il territorio è dunque aggredito da cause esterne che hanno provocato finora un consumo di suolo pari al 29% delle aree inserite nel parco. Ma a causa della particolari caratteristiche geologiche, l’uso dissennato della risorsa territorio sta producendo una vera e propria emergenza per quel che riguarda le risorse idriche. I due laghi vulcanici presenti nel territorio del parco si abbassano di circa 20 centimetri all’anno: la diminuzione della piovosità; l’aumento del territorio impermeabile; l’incontrollata apertura di pozzi da parte delle numerose abitazioni abusive stanno provocando un irreversibile rischio del sistema dei laghi.

La dimostrazione del pericolo estremo che corrono quei territori è testimoniato da un recente e coraggioso atto del Comitato istituzionale dell’Autorità dei bacini regionali del Lazio che dopo aver dimostrato i pericoli dei fenomeni in atto, ha emanato il 20 gennaio 2004 severe misure di salvaguardia a protezione dell’acquifero vulcanico dei Castelli romani. In particolare, l’Autorità di bacino altre a limitare i prelievi per usi potabili e produttivi afferma che “Fatti salvi i piani regolatori comunali in vigore, non sono ammesse variazioni di destinazione d’usi del suolo che comportino una diminuzione dell’infiltrazione nel suolo delle acque meteoriche”. Una vera e propria emergenza ambientale.

2. La provincia di Roma continua a brillare per l’assenza dello strumento di pianificazione territoriale come previsto dalla legge 142 del 1990: nel decennio 1991-2001 Roma ha perduto circa 300.000 abitanti, gran parte dei quali si sono trasferiti nel territorio metropolitano, ma la questione non sembra preoccupare l’attività dell’istituzione. In verità, per due volte il Ptc viene adottato (nel 1997 governo di centrosinistra e 2003, governo di centrodestra) ma entrambe le volte il provvedimento non viene perfezionato ed oggi (governo di centrosinistra) è stato affidato un nuovo incarico per la redazione del piano.

Ma allo scarso impegno per delineare l’assetto del territorio fa riscontro una particolare attenzione alla pianificazione per progetti. Il Consiglio provinciale di Roma, il 10 novembre 2000 approva il Patto territoriale delle colline romane, e cioè l’applicazione nel territorio metropolitano orientale di Roma della legge 662 del 1996 che ha istituito ai fini dello sviluppo economico del paese , la programmazione concertata applicata al territorio e si dota di una società pubblica, l’Asp –Agenzia sviluppo provincia- con lo scopo di promuovere tutte le azioni necessarie all’attivazione del patto territoriale.

Nel settembre del 2001 viene dato il via alle procedure di presentazione delle Schede di progetto e nel febbraio 2002 si avvia la redazione dei progetti esecutivi: la società Re.ga. presenta all’Asp il progetto di trasformazione urbanistica dell’area di Grottaferrata. Esso non ha nulla di innovativo o particolarmente attento allo sviluppo economico del paese, come formalmente richiesto dalla 662: è un normale progetto di lottizzazione convenzionata per edilizia residenziale e un piccolo albergo.

3. Il progetto viene inserito nel Patto territoriale e trasmesso al comune di Grottaferrata. Il comune si esprime attraverso tre deliberazioni di Giunta municipale (il governo è di centrosinistra) che giudicano l’intervento non realizzabile poiché estraneo agli indirizzi dello sviluppo del territorio. I primi due atti sono del 4 e 25 luglio 2002. Il più recente del 24 settembre 2002.

Con rara efficienza amministrativa, dopo appena una settimana il 1 ottobre 2002 il Tavolo di concertazione istituito presso l’Asp preso atto che il Consiglio comunale di Grottaferrata non si era espresso nel termine previsto del 30 settembre decide, pur in presenza di tre motivati voti di Giunta municipale di mandare avanti l’esame istruttorio del progetto.

Il 18 settembre 2002 arriva anche il voto negativo del consiglio comunale di Grottaferrata, ma ormai il “tavolo di Concertazione “ si è messo in moto e 15 giorni dopo il voto del Consiglio comunale il progetto della Re.Ga. viene approvato.

Il 13 gennaio 2003 l’ormai incontenibile Asp chiede addirittura al comune di Grottaferrata di “ ridefinire gli atti deliberativi approvati il 18 settembre 2002”, ma il consiglio comunale vota nuovamente (29 marzo 2003) per giudicare inammissibile il progetto della proprietà.

Due motivazioni alla base dei dinieghi del comune di Grottaferrata vanno sottolineati. In primo luogo si affermava la mancata dimostrazione della soddisfazione dei nuovi fabbisogni idrici. La seconda rimarcava l’impossibilità del collegamento del nuovo insediamento (4.000 nuovi abitanti) al depuratore comunale, sottoposto da tempo a un eccessivo sovraccarico e quindi incapace di smaltire il nuovo allaccio.

4. Chi non ricorda il ritornello sulla fondamentale importanza dei programmi dei sindaci ai fino dello sviluppo del territorio? Tutta una finzione. La provincia di Roma se non trova il tempo necessario per dotarsi del piano territoriale di coordinamento, è quanto mai determinata a imporre singoli progetti di trasformazione del territorio. E’ in particolare molto tempestiva nell’aprire il 5 maggio 2003 la conferenza di servizi in cui incassa i pareri favorevoli della Regione Lazio e della Soprintendenza regionale per i Beni architettonici. Il Sindaco di Grottaferrata è presente alla conferenza di servizi e, richiamando le deliberazioni del consiglio comunale, ribadisce la contrarietà alla realizzazione della lottizzazione. Il 15 maggio la medesima Provincia di Roma giudica inammissibile (sic!) il dissenso del Sindaco e “vista l’unanimità dei consensi espressi dalle amministrazioni partecipanti” dichiara approvato il progetto Re. Ga.

5. A questo punto penserete che qualche Magistrato abbia preso coraggio ed abbia assicurato alla giustizia i dirigenti dell’Asp e della provincia. Niente affatto. Accade invece che il Sindaco di Grottaferrata che nel frattempo aveva attivato ricorso verso il Tar e verso il Consiglio di Stato, viene “sfiduciato” dal consiglio. Il 24 giugno 2004 viene nominato il Commissario prefettizio, dott. Claudio Colomba. Nel frattempo entra in campo anche la Regione Lazio di Storace che nomina il 9 agosto 2004 un Commissario ad acta per l’ottenimento della concessione edilizia.

Il Commissario prefettizio, da uomo di Stato, ha particolarmente a cuore i problemi occupazionali del paese e inizia una trattativa per comporre la questione Re.Ga. Il 24 novembre 2004 stipula con la società un accordo giudicato vantaggioso per l’amministrazione pubblica, poiché la proprietà rinuncia ad una piccola quota delle volumetrie realizzabili.

Il 7 dicembre 2004 con deliberazione commissariale n. 19, approva il citato accordo e – già che c’è - annulla le cinque deliberazioni di diniego del consiglio comunale di Grottaferrata. Nello stesso giorno con deliberazione n.20 il Commissario prefettizio approva il progetto Re.Ga e l’allegata convenzione.

Anche in tutto questo zelo, il Commissario non poteva esimersi dall’esprimersi sulle due principali motivazioni ostative addotte dal comune. E, bontà sua, afferma che “ Il progetto della rete idrica dovrà essere sottoposto al parere dell’attuale gestore Acea-Ato 2” e aggiunge che “Il depuratore delle acque nere non dispone al momento di sufficiente capacità, quindi, i permessi di costruire potranno essere rilasciati solo se la capacità del depuratore potrà essere aumentata”. Ciononostante la vicenda viene almeno per il momento chiusa.

6. La legge 626 serve dunque egregiamente, al pari dell’analoga legislazione, a soddisfare gli appetiti della rendita fondiaria piegando –come in questo caso- anche la volontà delle amministrazioni comunali. Il tavolo programmatorio sull’urbansitica aperto daProdi ha, come ha spiegato Vezio De Lucia, un compito molto impegnativo: quello di trarre un severo bilancio della cultura con cui il centrosinistra ha affrontato la questione territoriale nei cinque lontani anni di governo.

7. Una piccola postilla “di colore” mi viene suggerita da un consigliere comunale di Grottaferrata che ha cercato di impedire in ogni modo lo scempio (inviando documentazione anche alla Procura della Repubblica), Mauro Tombletti, della lista Di pietro . Il progetto Re.Ga è stato fortemente voluto dall’Azienda turistica Castelli romani il cui presidente del consiglio di amministrazione è l’ing. Massimiliano Merigioli. La società Re.Ga è proprietà di due società una delle quali, la Pa.La.Pa. ha come amministratore unico Pietro Gabrielli. Questi viene nominato amministratore delegato dell’Asp, mentre in qualità di responsabile tecnico del Patto territoriale viene nominato l’ing. Massimiliano Merigioli

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